Corte di Cassazione, Sezione VI Civile - 30 gennaio 2014, n. 2089.
Tra il giudizio di nullità del matrimonio concordatario e quello avente ad oggetto la cessazione degli effetti civili dello stesso non sussiste alcun rapporto di pregiudizialità, tale che il secondo debba essere necessariamente sospeso a causa della pendenza del primo ed in attesa della sua definizione (Cass. civ., sezione I, n. 11020 del 25 maggio 2005 e n. 24990 del 10 dicembre 2010), posto che trattasi di procedimenti autonomi, non solo sfocianti in decisioni di diversa natura e con peculiare e specifico rilievo in ordinamenti diversi.
Pertanto, impugnare una sentenza di divorzio al solo fine di impedire la formazione del giudicato sulla dichiarazione di scioglimento del matrimonio in sede civile e, in attesa della pronuncia definitiva sull'annullamento del giudice ecclesiastico, costituisce ipotesi di lite temeraria ex art. 96 c.p.c.
A dirlo è la Cassazione con la recente sentenza n. 2089 del 30 gennaio 2014.
Oggetto del giudizio, il motivo di gravame proposto dall'ex coniuge avverso la sentenza non definitiva di cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Nella specie, quest'ultimo, lamentava di esser stato leso nella sua qualità di cattolico praticante allorquando, la pronuncia di scioglimento agli effetti civili del matrimonio avesse anticipato l'esito del giudizio rotale di annullamento ancora in corso e, per tali motivi, proponeva domanda riconvenzionale affinché gli venisse riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni da esso derivanti.
Portata dinanzi alla Corte d'Appello prima e, alla Corte di Cassazione poi, la vicenda veniva conclusa in questi termini.
"Nell'ordinamento giuridico italiano, non esiste - affermano i giudici romani - una condizione privilegiata dei cittadini cattolici a ottenere che i giudizi ecclesiastici di annullamento del matrimonio siano decisi preventivamente rispetto ai giudizi civili di scioglimento del matrimonio ex legge n. 898/1970. Né si può ipotizzare la sussistenza di una lesione di legittime aspettative del cittadino cattolico alla definizione della controversia in sede ecclesiastica anziché davanti alla giurisdizione italiana perché la pronuncia del giudice italiano non pregiudica la prosecuzione del giudizio ecclesiastico il cui oggetto non coincide se non indirettamente con quello di divorzio".
Non può allora, che dichiararsi la condanna del ricorrente per lite temeraria, per aver proposto un ricorso consapevolmente infondato e privo di motivazioni giuridiche.
L'"ostruzionistico delle iniziative processuali del ricorrente intese a conclamare senza alcuna giustificazione giuridica il diritto del'ex coniuge a una pronuncia che attiene alla sua condizione personale e la cui dilazione viene a pesare negativamente sulla sua serenità e libertà di organizzazione della vita privata", questi i criteri sui quali determinare l'entità del danno.
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