Avv. Barbara Pirelli del Foro di Taranto; email: barbara.pirelli@gmail.com
Non sussiste l'obbligo di esperire la mediazione obbligatoria per le cause dinanzi al Giudice di Pace. E' quanto afferma in un'ordinanza il Giudice di Pace di Civitanova Marche (Avv. Giuseppe Fedeli) in cui ha affronta la questione (sollevata da parte convenuta) dell'improcedibilità di cui all'art. 5, 1° co., D. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 per non essere stato esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione.
Il Giudice di Pace osserva innanzitutto che la normativa sulla mediazione non appare contenere alcun richiamo al processo dinanzi al Giudice di Pace. Ma la questione si fonda sull'interpretazione dell'art. 320 c.p.c. che, come fa notare il Giudice Fedeli, prevede già un obbligo per il Giudice di esperire dinanzi a sè il tentativo di conciliazione. Insomma il Giudice di Pace è già un conciliatore ex lege.
Visto che l'art. 320 non è stato abrogato ne' modificato dal D.Lgs.n.28/10, l'applicazione dell'istituto della mediazione, per le materie del Giudice di Pace, costituirebbe una inutile duplicazione delle competenze dell' Ufficio. Inoltre, lo stesso art.322 cpc prevede che: "L'istanza per la conciliazione in sede non contenziosa è proposta anche verbalmente al Giudice di Pace competente per territorio secondo le disposizioni della sezione III, capo I, titolo I, del libro primo."
Qui di seguito il testo dell'ordinanza.
UFFICIODELGIUDICE DI PACE DI CIVITANOVA MARCHE
Posto che il decreto legislativo
4 marzo 2010, n.28 (pubblicato nella G.U. n.53 del 5 marzo 2010) sulla mediazione in materia civile e commerciale regolava già il procedimento di composizione stragiudiziale delle controversie vertenti su diritti disponibili ad opera delle parti, attuando, al contempo, la direttiva dell'Unione europea n. 52 del 2008, il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (decreto "del fare", convertito in legge 9 agosto 2013 n. 98) ha ripristinato il procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale nelle materie elencate dall'articolo 5, comma 1 del predetto d.lgs. 28/2010. Osserva dunque sulla questione posta della improcedibilità di cui all'art.5, comma 1, del D.Lvo 04.03.2010 n.28, come modificato dalla nuova normativa, quanto segue:per quanto concerne l'obbligatorio preventivo esperimento del procedimento di mediazione, questo è già stato previsto la Legislatore all'art.30 L.n 374 del 21.11.1991, la ratio della norma essendo volta a deflazionare il contenzioso ed a favorire soluzioni alternative rispetto alla pronuncia giudiziale come per rito. Del resto la norma di cui al prefato art.5, comma 1 non può considerarsi avulsa dal contesto preesistente e va necessariamente applicata all'interno dell'ordinamento giuridico nel quale la stessa viene inserita e s'inserisce. Orbene, nel raffronto e rapportando quanto contemplato dall'art.5, comma 1, nel giudizio davanti al Giudice di Pace, la cui disciplina rituale contempla il disposto di cui all'art.322 cpc -che disciplina il tentativo di conciliazione in sede non contenziosa-; atteso, inoltre, che l'art.320, 1 comma cpc prevede che "nella prima udienza il giudice di pace interroga liberamente le parti e tenta la conciliazione" e, laddove la conciliazione riesca redige processo verbale a norma dell'art.185, ultimo comma cpc., va ulteriormente fatto rilevare -tra l'altro- che "nel giudizio innanzi al giudice di pace, l'omissione dell'obbligatorio tentativo di conciliazione delle parti alla prima udienza (art. 320 c.p.c.) non è espressamente sanzionata con la previsione di nullità e può produrre tale effetto soltanto qualora abbia comportato, in concreto, un pregiudizio del diritto di difesa." (Cfr. Cassazione civile sez. II, 11 maggio 2010, n. 11411). Ordunque, come è evincibile dalla richiamata pronuncia, l'istituto della conciliazione è già presente nel procedimento di rito ed è considerato, dagli Ermellini, obbligatorio; inoltre, l'art.311 cpc prevede espressamente che "il procedimento dinanzi al giudice di pace per tutto ciò che non è regolato nel presente titolo o in altre espresse disposizioni, è retto dalle norme relative al procedimento davanti al Tribunale in composizione monocratica, in quanto applicabili"; orbene, tale norma non soltanto si pone in rapporto di specialità rispetto al procedimento dinanzi al Tribunale, ma dispone in via diretta che il procedimento davanti al Giudice di Pace è regolato dalle norme del titolo secondo del libro secondo come richiamato e, per ciò che le norme ivi contemplate regolano, fa premio (salvo "lacune") rispetto a quelle sul procedimento innanzi al Tribunale in composizione monocratica (di cui al capo terzo del libro primo di detto libro). È appena il caso di osservare come, in ossequio al D.Lgs.n.28/10, la nuova normativa sulla mediazione non appare contenere alcun richiamo al processo dinanzi al Giudice di Pace. Il richiamato articolo 320 cpc contiene disposizioni espresse in ordine al(l'obbligo del) tentativo di conciliazione come sopra evidenziato. Detto art.320 cpc non appare essere stato abrogato e/o modificato dal D.Lgs.n.28/10, sicchè l'applicazione dell'istituto della mediazione per le materie del Giudice di Pace comporterebbe una inutile duplicazione di quanto già assegnato alla competenza di questo Ufficio e riuscirebbe d'ostacolo alla celerità del processo ed alla sua ragionevole durata (art. 111 Cost e art. 6 CEDU). Il richiamato art.322 cpc prevede che:.
[I]. L'istanza per la conciliazione in sede non contenziosa è proposta anche verbalmente al giudice di pace competente per territorio secondo le disposizioni della sezione III, capo I, titolo I, del libro primo.
[II]. Il processo verbale di conciliazione in sede non contenziosa costituisce titolo esecutivo a norma dell'articolo 185, ultimo comma, se la controversia rientra nella competenza del giudice di pace.
[III]. Negli altri casi il processo verbale ha valore di scrittura privata riconosciuta in giudizio."
Ergo, il procedimento dinanzi al Giudice di Pace già prevede sia la conciliazione in sede non contenziosa in virtù dell'art.320, 1 comma cpc, che in sede non contenziosa (non prevista dinanzi al Tribunale) ai sensi dell'art.322 cpc e, detti istituti preesistono al D. Lgs n.28/10. Invero, il D.Lgs n.28/10 (al pari della successiva normativa in subiecta materia) non contiene come detto alcun richiamo al GdP né dispone espressamente l'abrogazione degli art.320 e 322 cpc. Ne deriva che nel procedimento dinanzi al GdP vanno applicate le disposizioni di cui al libro II, titolo I, dall'art.311 all'art.322 cpc.
Appare a questo giudice che una diversa interpretazione si manifesterebbe paradossale, e comunque contra legem, in evidente contrasto con il delineato quadro sistemico e finirebbe per vanificare lo scopo del legislatore diretto proprio a favorire la conciliazione delle controversie di competenza del gdp che già svolge ex lege la funzione affidata al mediatore , assorbita dalle pregresse evidenziate motivazioni: diversamente, verrebbe conculcato il diritto di cui all'art. 24 Cost.(tertium comparationis, in collegato con l'art. 111 Cost., 1° e 2° comma). Il merito di aver tracciato questo percorso va al pronunciamento della Corte costituzionale sentenza n. 314 del 17 dicembre 2013 ), i cui punti nodali sono: l'intenzione (mens) del legislatore, cui fa riferimento l'art. 12 delle Preleggi, non è, a ben riflettere, quella soggettiva della maggioranza parlamentare che redige la norma, ma è quella oggettiva ed autonoma dello Stato, staccata dalla volontà dell'organo ed inserita armonicamente in seno al più ampio ordinamento giuridico: le norme vanno, pertanto, interpretate ed applicate alla stregua dei criteri di coerenza interna all'ordinamento, di non contraddittorietà e di razionalità". Il giudice deve cioè dedurre dall'ordinamento positivo nella sua sistematicità, e in primis dalla Costituzione, tutti i principi giuridici che possono esserne tratti, compresi quelli espressi direttamente dalla Corte Costituzionale nelle sue pronunce, e applicarli ai casi concreti della vita. E ciò perché lo Stato di diritto ha elaborato un complesso ed armonico sistema giuridico, alla cui stregua non è propriamente legittimata un'interpretazione anelastica, asetticamente avulsa dall'intero sistema, della singola norma, a differenza di quanto può avvenire nel c.d. "Stato di legge" nel quale manca la stessa nozione di ordinamento giuridico. Consegue che, nel nostro ordinamento, il giudice, ordinario o speciale che sia, non applica, di fatto, quella norma che si manifesta incompatibile col quadro generale sistematico risultante dall'ordinamento nella sua totalità ; tenendo conto il lettore che il giudice deve interpretare le leggi ordinarie applicando anche, ove occorra, direttamente la Costituzione(norme precettive, drittwirkung).Già nel 1950 la migliore Dottrina aveva riconosciuto che al giudice ordinario, per quanto egli fosse "incompetente a pronunciare l'illegittimità costituzionale di una legge", non si potesse negare la competenza ad interpretare ed applicare direttamente la Costituzione se non altro in quanto gli era consentito di rigettare "come manifestamente infondata la pregiudiziale di incostituzionalità": il giudice, nel momento stesso in cui decide di non sottoporre una disposizione di legge ordinaria al giudizio della Corte Costituzionale, viene a dare di tale disposizione una interpretazione conforme a quello che a suo giudizio è il significato della Costituzione, pur in presenza di riserva del sindacato di costituzionalità attribuita alla Corte Costituzionale. Il precipitato è che non vi è monopolio alcuno della interpretazione delle norme costituzionali a favore della Corte Costituzionale: come la Corte costituzionale non può fare a meno di interpretare le norme di legge ordinaria nel giudizio di costituzionalità, così i giudici comuni debbono poter partire dalle norme costituzionali nella interpretazione delle leggi ordinarie applicate ai casi concreti della vita, traslitterati in controversie giudiziari. Ciò, in forza del potere creativo del diritto degli organi investiti della funzione giurisdizionale a tutto vantaggio dei giudici ordinari nei confronti della Corte Costituzionale. Riconoscendo che la Costituzione ha codificato determinate scelte politiche fondamentali, imponendole a tutti i poteri dello Stato, ivi compreso quello giudiziario, autorevoli Giurisperiti individuano compiti peculiari e specifici che i giudici sono chiamati ad assolvere, in particolare l'applicazione diretta delle norme costituzionali quando ciò sia tecnicamente possibile in relazione alla res litigiosa, e l'interpretazione di tutte le leggi in conformità ai principi contenuti nella Costituzione.
Ciò stante, questo Giudicante ritiene inconferente ergo disattende l'eccepita improcedibilità.
Quanto premesso,
FISSA
Ex art. 320, 1° comma cpc l'udienza per il preliminare tentativo di conciliazione per il__________________________h___________;
In difetto di conciliazione, come sopra disposto, fissa per la medesima udienza i termini di cui all'art.320, 3° e 4° comma cpc.
Il Giudice di Pace
Avv. Giuseppe Fedeli