- di Maurizio Città, avvocato del Foro di Termini Imerese (maurizio-citta@libero.it)

Una recente ordinanza, del 3 aprile 2014, pronunciata dal Tribunale di Roma, Sezione XIII, offre lo spunto per tornare ad affrontare alcuni, degli innumerevoli, aspetti problematici connessi (non solo) alla mediazione disposta ex officio in corso di causa (ma, anche alla mediazione ante causam).

Vorrei dire "fermiamoci" a riflettere su questi ulteriori aspetti, ma mi rendo conto che le criticità immanenti nel sistema della mediazione delegata sono tali da non consentire soste, ed impongono un incessante esame sotto il cartello lampeggiante "work in progress".

Questa volta l'attenzione sarà rivolta alle "complicanze" che possono sopravvenire, o discendere, dal fatto che alla mediazione delegata -ed all'eventuale accordo transattivo condiviso e concluso tra i partecipanti aventi titolo- non partecipino tutti i soggetti coinvolti nella controversia giudiziale nella qualità di coobbligati in solido, o, nel caso di garanzia c.d. impropria, nella qualità di terzo obbligato a manlevare il convenuto in giudizio, ovvero, dal fatto che, pur in presenza di quest'ultimo, non aderisca il convenuto "principale"

Si tratta di una ipotesi che può farsi concreta, come è dato evincere dall'ordinanza in esame del Tribunale di Roma.

A tal proposito, la predetta interessante ordinanza, oggetto di queste brevi note -che ovviamente non possono avere, e non pretendono di avere il pregio della completezza, ma solo il proposito di offrire spunti di riflessione- sollecita una riflessione sui seguenti aspetti:

  • difetto di un effettivo esperimento della mediazione delegata e conseguenze per il prosieguo del giudizio;

  • limiti all'utile esperimento della mediazione delegata in assenza di tutti i soggetti coinvolti nel giudizio;

  • segue: rapporto tra l'art.1304 c.c. ed utile esperimento della mediazione delegata;

  • conclusioni provvisorie

Nell'affrontare, con approccio volutamente problematico, detti profili, si terrà conto anche del fatto che lo stesso Tribunale di Roma, con altri due provvedimenti altrettanto interessanti, la sentenza non definitiva del 10 aprile 2014, e contestuale ordinanza, offre ulteriori spunti per le riflessioni problematiche qui svolte.

1.Difetto di un effettivo esperimento della mediazione delegata e conseguenze per il prosieguo del giudizio.

1.1. Dunque, anzitutto, per un verso, viene in evidenza che il Tribunale di Roma, a differenza del Tribunale di Firenze (si veda il mio articolo «"Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi": brevi note sulla mediazione delegata, a margine dell'ordinanza del Tribunale di Firenze del 19 marzo 2014», pubblicato su questo stesso quotidiano online), non ritiene che la mancata partecipazione di una delle parti alla mediazione, e, soprattutto, per quel che qui interessa, il mancato esperimento effettivo della stessa, impedisca l'avverarsi della condizione di procedibilità.

1.2. In tal modo, secondo questo meno rigoroso orientamento del Tribunale di Roma, viene garantito all'attore incolpevole (com'è invero necessario, e non solo opportuno, che sia garantito), la possibilità di "rientrare", senza ulteriore pregiudizio, nel processo.

1.3. Diversamente, infatti, il sistema potrebbe entrare in corto circuito qualora il convenuto nel giudizio optasse per non partecipare alla mediazione, impedendone l'effettivo esperimento, dato che, secondo l'orientamento del Tribunale di Firenze, la personale mancata partecipazione del convenuto impedirebbe l'avverarsi della condizione di procedibilità per mancato effettivo esperimento della mediazione.

1.4. A tal riguardo, però, lo stesso Tribunale di Firenze, con altra ordinanza, del 17 marzo 2014, sebbene solo incidentalmente, ed in nuce, offre lo spunto per superare l'impasse.

1.5. Imbattutosi in un caso di mancato effettivo esperimento della mediazione, già precedentemente disposta, nella quale gli avvocati delle parti, presenti con delega, si erano limitati a dichiarare che le parti non intendevano esperire la procedura di mediazione, il Tribunale di Firenze ha rinviato le parti avanti al mediatore, disponendo il "proseguimento" del procedimento iniziato "ma non concluso", ed ha dato avviso alle parti delle sanzioni applicabili nel caso di "mancato esperimento dell'effettivo tentativo": improcedibilità della domanda per la parte attrice e applicazione dell'art.8, comma 4 bis, del d.lgs. n.28/2010, per la parte convenuta.

1.6. Sebbene il Tribunale di Firenze enunci le predette sanzioni contestualmente, ed in relazione all'eventuale "mancato esperimento dell'effettivo tentativo", i due tipi di "sanzione" dovrebbero ritenersi alternative: se il "mancato esperimento dell'effettivo tentativo" è causato dalla mancata attivazione (rectius: adesione alla mediazione demandata dal giudice) da parte dell'attore, la domanda giudiziale diviene improcedibile; se, invece, "il mancato esperimento dell'effettivo tentativo" è causato dalla mancata adesione del convenuto, il processo può essere ripreso, applicandosi, nei confronti del convento, l'art.8, comma 4 bis, del d.lgs. n.28/2010.

1.7. Una siffatta soluzione di contemperamento dei diversi interessi processuali coinvolti (di continuazione del processo, occorrendo, per l'attore, e di improcedibilità per il convenuto) è rinforzata dal fatto che il Tribunale di Roma, con la citata sentenza del 10 aprile 2014, nel disporre ex officio l'esperimento della procedura di mediazione, al contempo, ha stabilito che nel caso di mancato raggiungimento di accordo tra tutte le parti coinvolte, avrebbe regolato autonomamente i rapporti tra le parti rimaste in conflitto (compresa la parte contumace).

1.8. Il caso affrontato dal Tribunale di Roma, con la citata sentenza non definitiva del 10 aprile 2014, riguarda un caso di responsabilità sanitaria. Nel ritenere necessaria una nuova c.t.u., il Tribunale, intanto, ha emesso sentenza non definitiva, epperò, prima di disporre la nuova c.t.u., ha ritenuto opportuno disporre ex officio l'esperimento di mediazione civile ex art.5, comma 2, del d.lgs.n.28/2010.

1.9. Quanto disposto dal Tribunale di Roma è di notevole interesse, e merita di essere riportato testualmente: "ritiene il giudice, prima di disporre la nuova consulenza, che per la regolamentazione dei rapporti fra le parti possa essere vantaggioso avviare un preventivo percorso di mediazione demandata ai sensi dell'art.5 co.II° decr.legisl.28/2010 al quale parteciperanno da una parte la casa di cura convenuta e dall'altra le assicurazioni convenute (la presenza di (OMISSIS) non è ritenuta necessaria dal giudice ma utile)" [n.d.a. si tratta del medico chirurgo, la cui responsabilità la c.t.u. già espletata e la documentazione in atti, aveva escluso] "la convocazione dovrà riguardare anche l'assicurazione rimasta contumace in questa causa. Ciò al fine di propiziare un accordo pieno che riguardi tutte le compagnie coassicuranti. Senza che sia di ostacolo all'esperimento del procedimento di mediazione ed al raggiungimento dell'accordo l'eventuale assenza di una o più di esse. Vi sono infatti situazioni in cui non è pensabile, in termini di efficacia giuridica, un accordo al quale non partecipino tutte le parti interessate. Pena che il negozio giuridico eventualmente siglato risulti inutiliter dato. Vi sono altre situazioni, e questa vi rientra, in cui non sussistendo alcun litisconsorzio necessario, la presenza di tutte le parti convocate è utile ma non indispensabile. Invero, nel caso in esame, una volta che fra la casa di cura e le assicurazioni chiamate in causa sia stato raggiunto l'auspicato accordo, il giudice provvederà a regolare, autonomamente, i rapporti fra la casa di cura e quella fra le assicurazioni che dovesse non aderire all'invito o non partecipare all'accordo. Che sia qui costituita o meno. Le valutazioni ed i provvedimenti che si dovessero trarre dalla mancata partecipazione alla procedura di mediazione ai sensi delle norme vigenti (art.8 co.4 bis decr.lgsl.28/2010) riguarderanno tout court le assicurazioni costituite e solo ai sensi dell'art.116 cpc l'assicurazione contumace. La procedibilità delle domande della casa di cura di chiamata in giudizio e manleva delle compagnie di assicurazione resta pertanto subordinata al puntuale adempimento di quanto testé prescritto".

1.10. Ebbene, la decisione del Tribunale di Roma merita attenzione, in particolare, per il fatto che: a) dispone la mediazione anche per la parte rimasta contumace in giudizio (nel senso che essa deve essere chiamata in mediazione); b) riserva a sé, anche per la parte contumace, la definizione del contenzioso che dovesse residuare all'esito dell'esperimento della procedura di mediazione (con la conseguenza che la definizione della controversia nel suo complesso non si esaurisce con la mediazione, ma va "integrata" con una sentenza); c) resta fermo, però, che le conseguenze previste dal d.lgs. n.28/2010 per l'ipotesi di mancata partecipazione alla mediazione non riguardano la parte contumace, la cui eventuale mancata partecipazione, secondo il Tribunale di Roma, sarebbe da valutare ai sensi dell'art.116 c.p.c.; d) "il puntuale adempimento di quanto … prescritto" costituisce condizione di procedibilità "delle domande della casa di cura di chiamata in giudizio e manleva delle compagnie di assicurazione" (compresa quella rimasta contumace in giudizio).

1.11. Si potrebbe aggiungere, anche se queste brevi note non seguono un approccio risolutivo, che, in generale, nell'avocare a sé la definizione del residuo contenzioso, il giudice che, disposta la mediazione ex officio, si trovi a constatare che l'accordo non è stato raggiunto tra tutte le parti costituite in giudizio, potrebbe avocare a sé, ai sensi dell'art.185 bis, ricorrendone i presupposti, l'ulteriore definizione (conciliativa) del residuo conflitto tra le parti in causa, riservando alla sola parte contumace (che chiamata in mediazione, non abbia aderito), la definizione giudiziale del contenzioso (ma entro i limiti di legge, come si vedrà).

1.12. Intanto, una riflessione merita, in quest'occasione, anche la possibile pratica dilatoria che la parte (con interessi dilatori) potrebbe mettere in atto sul piano della regolarizzazione (o meglio della non regolarizzazione) della rappresentanza.

1.13. E' il caso della parte che "partecipa" alla mediazione demandata a mezzo rappresentante legale o volontario, ma la rappresentanza non risulta regolarmente documentata.

1.14. Infatti, se si tiene conto dell'orientamento del Tribunale di Firenze, secondo cui, affinché possa dirsi effettivamente esperita la procedura di mediazione delegata, è necessaria la partecipazione della parte, allora, la mancata documentazione della rappresentanza volontaria, o legale, o la produzione di documentazione che risulti inidonea, o insufficiente, (dovrebbe) comporta(re) la sospensione della procedura.

1.16.Ovviamente, nel caso limite in cui la regolarizzazione non dovesse essere effettuata entro il termine stabilito, e decorra il termine di legge stabilito per l'esperimento della procedura di mediazione, si (ri)propone il problema principale, qui considerato, delle conseguenze del mancato effettivo esperimento della procedura di mediazione delegata.

2. Limiti all'utile esperimento della mediazione delegata in assenza di tutti i soggetti coinvolti nel giudizio.

2.1. Altro aspetto, molto importante, che le citate pronunce del Tribunale di Roma hanno il merito di evidenziare, è quello della complessità, sotto il profilo dei soggetti coinvolti, della gestione dell'attività di mediazione, e della gestione in via transattiva della controversia, per i "non positivi" riflessi processuali che potrebbe produrre l'omessa adozione, in sede di transazione, delle opportune cautele necessarie a scongiurare il persistere di motivi per "continuare", o meglio "riprendere" a litigare in giudizio.

2.2. Nel caso oggetto della ordinanza del Tribunale di Roma del 3 aprile 2014, è accaduto che un professionista, convenuto in giudizio per responsabilità professionale, non ha partecipato alla mediazione disposta ex officio, alla quale ha aderito, però, l'assicurazione del professionista, terza chiamata in causa a scopo di manleva.

2.3. Il mediatore ha ravvisato nella mancata partecipazione del convenuto professionista una ragione per ritenere inutile la prosecuzione del procedimento di mediazione, che ha dichiarato infruttuosamente esperito, e concluso.

2.4. Il Tribunale di Roma, come sopra già rilevato, per un verso, ha consentito la ripresa del giudizio (ancorché nessuna sessione di mediazione con il professionista convenuto fosse stata intrapresa), pur non mancando di evidenziare che, a suo modo di vedere, non era da escludere la possibilità che un accordo conciliativo fosse raggiunto tra l'attore e l'assicurazione del convenuto; tuttavia, al contempo, il Tribunale di Roma ha dovuto dare atto del fatto che una soluzione di accordo conciliativo raggiunto in mediazione solo tra attore ed assicurazione (terzo chiamato in causa dal convenuto per manleva), al quale sarebbe rimasto estraneo il (professionista) convenuto (in giudizio), avrebbe potuto comportare l'insorgere di problematiche non trascurabili qualora nell'accordo non fosse stata inserita la clausola che l'attore rinunciava ad ogni altra maggior pretesa oltre a quanto concesso dall'assicurazione in sede di mediazione.

2.5. Ora, a prescindere dalla sottesa questione della efficacia vincolante o meno, per il creditore-rinunciante, di una siffatta rinuncia, a ben vedere, per quel che qui interessa mettere a fuoco, la considerazione del Tribunale, in definitiva, equivale ad una utile riflessione per i mediatori, nella mediazione civile delegata, circa l'opportunità di verificare, e percorrere, ogni soluzione che possa rendere utile l'esperimento della mediazione disposta ex officio.

2.6. Si tratta di uno spunto di riflessione che configura un punto di collegamento con l'orientamento del Tribunale di Firenze: la mediazione va effettivamente tentata ogniqualvolta non sia possibile escludere -con l'adozione delle cautele negoziali del caso (o con l'adozione, già con il provvedimento che dispone la mediazione, di funzionali "prescrizioni", come si è visto, è avvenuto, con i provvedimenti del Tribunale di Roma del 10 aprile 2014)- un potenziale utile svolgimento di essa, che, però, è bene evidenziarlo, possa mettere fine alla lite giudiziaria (perché è solo in questo caso che, nel sistema del d.lgs. n.28/2010, dovrebbe potersi dire che la mediazione è stata utilmente esperita, salvo ritenere applicabile una definizione "integrata" della complessiva controversia, secondo un approccio pragmatico, come quello tenuto dal Tribunale di Roma con i citati provvedimenti del 10 aprile 2014, certamente meritevole, ma non in linea con la teorica aspettativa che la mediazione delegata consenta di sostituire l'accordo alla sentenza, senza più necessità di un giudizio).

3.Segue: rapporto tra l'art.1304 c.c. ed utile esperimento della mediazione delegata

3.1. Non meno complessa della ipotesi che vede coinvolto il terzo chiamato in giudizio dal convenuto a titolo di garanzia c.d. impropria, è l'ipotesi delle obbligazioni con più debitori in solido tra loro (o supposti tali).

3.2. Nelle obbligazioni solidali, dal lato passivo, ai fini della estensione degli effetti favorevoli di derivazione negoziale è necessario che gli altri coobbligati in solido, rimasti estranei all'accordo, manifestino la volontà di volere profittare degli effetti per sé favorevoli.

3.3. Lasciando in disparte sia la peculiare ipotesi che diversi siano i titoli per i diversi coobbligati in solido (come nel caso di garanzia del fideiussore), sia la peculiare ipotesi che l'an sia stato già accertato giudizialmente e la causa, nel corso della quale è demandata la mediazione, abbia come oggetto solo il quantum debeatur, per il resto v'è da considerare che solo nel caso di dichiarazione, del coobbligato (o coobbligati) in solido che non ha(nno) partecipato all'accordo, di volere profittare della transazione, può ritenersi superata la questione dell'an oggetto del giudizio che vede coinvolti tutti i coobbligati in solido.

3.4. Si veda, per esempio, proprio il caso esaminato dal Tribunale di Roma con la sentenza del 10 aprile 2014: il medico aveva resistito in ordine all'an, ed il Tribunale gli ha dato ragione; ma se il Tribunale non avesse emesso una sentenza non definitiva, e la transazione fosse intervenuta prima della decisione definitiva di assoluzione da responsabilità, il medico avrebbe avuto ragione di non profittare di una transazione che, sia pure in via transattiva, a stralcio e a saldo, comunque avrebbe comportato un esborso da lui non dovuto come se fosse stato responsabile.

3.5. Solo nel caso in cui gli altri condebitori in solido dichiarino di volere profittare della transazione, dunque, viene scongiurato il rischio di ulteriore contenzioso giudiziale (ancorché ripreso in separata sede, come nel caso di residuo conflitto in sede di regresso).

3.6. Ma è sempre necessario che si tratti di c.d. transazione "aperta" ex art.1304, comma1, c.c., ovvero, è necessario che il creditore ed il debitore (o più di un debitore solidale) transigente(i) non abbia(no) circoscritto la transazione nei limiti della quota (se l'obbligazione è divisibile) del(i) codebitore(i) transigente(i), ma la transazione investa l'obbligazione solidale nel suo intero.

3.7. Se la transazione è "chiusa" (e ricorrendone i presupposti essa è ammissibile anche per la Corte di Cassazione: S.U. n.30174/2011), l'accordo eventualmente così raggiunto in sede di mediazione lascia in vita un residuo contenzioso giudiziario, tal che non può ritenersi soddisfatto l'obiettivo e la finalità della mediazione disposta ex officio (almeno in linea teorica-ordinamentale, perché in concreto, invece, non è da escludere che il giudice, come si è visto nel caso sopra esaminato del Tribunale di Roma con i provvedimenti del 10 aprile 2014, enuclei una definizione, in concreto, "di tipo integrata": mediazione-giudizio, ovvero, mediazione-conciliazione ex art.185 bis c.p.c.-giudizio).

3.8. Un ambito di concreta insorgenza della problematica può ravvisarsi nei giudizi per c.d. responsabilità sanitaria, nel quale, oltre al medico presunto responsabile, sia stata convenuta, a titolo di coobbligato in solido, anche la struttura sanitaria, epperò nel procedimento di mediazione disposta ex officio, non partecipi il medico, o il medico non si accordi, e l'accordo sia raggiunto solo tra il danneggiato e la struttura sanitaria; ovvero sia stata convenuta in giudizio solo la struttura sanitaria a titolo di responsabilità per il fatto del suo dipendente o, comunque, collaboratore, e la struttura sanitaria convenuta in giudizio non chiami in giudizio il proprio coobbligato in solido, riservandosi di rivalersi in separata sede (per esempio con azione di rivalsa del danno erariale alla Corte dei Conti nel caso di pubblico dipendente).

3.9. Deve darsi contezza, a tal proposito, di un caso, davvero emblematico, in cui il medico, dipendente di una struttura sanitaria pubblica, non ha aderito all'accordo di conciliazione raggiunto in sede di mediazione, promossa dalla stessa struttura sanitaria di cui era dipendente, la quale ha esborsato in via transattiva anche la di lui quota, con conseguente giudizio avanti alla Corte dei Conti del medico "resistente" alla mediazione, e la di lui condanna.

3.10. Per come si sono evoluti i fatti, anche quelli processuali post mediazione, è dato ritenere che il mediatore ha colto nel segno nel procedere comunque alla mediazione (si tratta di una soluzione in linea con l'orientamento del Tribunale di Roma che qui si commenta, e che, come si è visto, in definitiva, costituisce spunto per una adeguata riflessione da parte dei mediatori circa l'opportunità di dar corso alla mediazione ogni qualvolta l'esperimento della procedura possa consentire, utilmente, di deflazionare il contenzioso giudiziario).

3.11. Tuttavia, resta qualche perplessità su come possa essere determinata, se non in sede giudiziale, la misura della quota della parte (coobbligato in solido) che non aderisca alla mediazione, o non condivida e non partecipi all'atto di transazione, ogni qualvolta la misura della quota non risulti già da un titolo, e sul punto, anzi, vi sia conflitto in giudizio, senza dire dell'ipotesi che il coobbligato in solido rimasto fuori dall'accordo in mediazione coltivi il conflitto sull'an debeatur.

3.12. Quanto alla soluzione della transazione pro quota, nel caso di obbligazione con più debitori coobbligati in solido, poiché ciò presuppone (almeno) il contestuale scioglimento del vincolo solidale, come si è già visto, è necessario che ciò sia inequivocabilmente specificato nella transazione.

3.13. Il caso problematico non è quello in cui il creditore si accordi in sede di mediazione con uno dei più condebitori in solido nei limiti di una somma pari alla quota da lui comunque dovuta in relazione all'intero, ma l'ipotesi in cui la transazione abbia ad oggetto l'obbligazione solidale nel suo intero, epperò in giudizio si controverte sull'an debeatur, o, comunque, si controverte sulla misura delle rispettive quote dovute da ciascun condebitore in solido (che certo non potranno essere determinate in mediazione, in via transattiva, in assenza di tutti i presunti coobbligati in solido).

3.14. Trattandosi di accordo che ha come oggetto l'obbligazione solidale nel suo intero, può applicarsi l'art.1304, comma 1, c.c.. Ma che accade se gli altri condebitori in solido, che non hanno partecipato all'accordo, non dichiarano di volerne profittare? si ripropone la problematica di prima, che il Giudice, e comunque anche il mediatore, dovrebbero prendere in considerazione nell'ambito della loro propedeutica valutazione prognostica sugli effetti dell'esperimento della procedura di mediazione relativa a controversia plurisoggettiva, e che implichi, sotto il profilo soggettivo del contenzioso, le problematiche qui considerate.

3.15. Il punto di domanda che la situazione pone non è uno solo: è già acclarato, o comunque incontrovertibile e non controverso, l'an debeatur, e su di esso non residua possibilità di contenzioso? Non è controversa, o è acclarata la misura della quota per cui risponde ciascuno dei condebitori in solido, e non residua possibilità di contenzioso? ed, ancora, più preliminarmente, è incontrovertibile, o acclarato, il quantum dell'obbligazione solidale nel suo intero, considerato come punto di partenza in sede di transazione, e non residua possibilità di contenzioso sul punto?

3.16. Invece, se anche i condebitori in solido rimasti estranei all'accordo dichiarano di volerne profittare, ex art.1304, comma 1, c.c., allora si ha che, per dirla con le parole delle S.U. della Corte di Cassazione (sentenza n.30174/2011), "la riduzione dell'ammontare del debito eventualmente pattuita in via transattiva con uno solo dei debitori operera', in tal caso, anche per gli altri che dichiarino di volersene avvalere, non diversamente da quel che sarebbe accaduto se anch'essi avessero sottoscritto la medesima transazione. Ne' tale conseguenza potrebbe essere evitata introducendo nella transazione per l'intero debito una clausola di contrario tenore, per l'ovvia considerazione che una simile clausola sarebbe destinata ad incidere su un diritto potestativo che la legge attribuisce ad un soggetto terzo, rispetto ai contraenti, e del quale percio' questi ultimi non sarebbero legittimati a disporre. Lo stabilire poi se, in concreto, la transazione tra il creditore ed uno dei debitori in solido ha avuto ad oggetto l'intero debito o solo la quota del debitore transigente comporta, evidentemente, un'indagine sul contenuto del contratto e sulla comune volonta' che in esso i contraenti hanno inteso manifestare, da compiere ad opera del giudice di merito secondo le regole di ermeneutica fissate nell'articolo 1362 c.c. e segg."

3.17. Nell'ambito della stessa sentenza, le S.U. hanno avuto modo di chiarire anche il seguente principio, che sovviene a corroborare quanto sin qui si è avuto modo di considerare, relativamente all'ipotesi che risulti che le parti abbiano inteso porre ad oggetto dell'accordo solo una determinata quota di debito.

3.18. Ebbene, l'aspetto concreto della problematica è stato evidenziato dalla Corte di Cassazione con un esempio: "si faccia l'esempio di un credito verso tre condebitori solidali, d'importo pari a 90, e si ipotizzi che la transazione sulla quota di uno dei debitori abbia determinato il pagamento di 20), un conto e' affermare che gli altri condebitori restano tenuti per l'ammontare non soddisfatto del credito (pari, nell'esempio fatto, a 70), altro dire che il loro debito si riduce in misura proporzionale alla quota ideale del condebitore venuto meno (cio' che, nel suddetto esempio,legittimerebbe il creditore a pretendere dai condebitori esclusi dalla transazione solo 60)".

3.19. A tal proposito, la Suprema Corte di cassazione, cui è affidata dall'ordinamento la funzione nomofilattica, ha stabilito che, siccome "la transazione parziaria non puo' ne' condurre ad un incasso superiore rispetto all'ammontare complessivo del credito originario, ne' determinare un aggravamento della posizione dei condebitori rimasti ad essa estranei, neppure in vista del successivo regresso nei rapporti interni, e' giocoforza pervenire alla conclusione che il debito residuo dei debitori non transigenti e' destinato a ridursi in misura corrispondente all'ammontare di quanto pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito. In caso contrario, se cioe' il pagamento e' stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al transigente, il debito residuo che resta tuttora a carico solidale degli altri obbligati dovra' essere necessariamente ridotto (non gia' di un ammontare pari a quanto pagato, bensi') in misura proporzionale alla quota di chi ha transatto, giacche' altrimenti la transazione provocherebbe un ingiustificato aggravamento per soggetti rimasti ad essa estranei".

3.20. Il chiarimento delle S.U. della Corte di cassazione è destinato a far luce in sede di decisione giurisdizionale, ma, per quel che qui interessa, dovrebbe costituire anche un ineludibile criterio di scrutinio, da parte del giudice che dispone la mediazione ex officio, dell'utile esperimento della stessa nell'ambito di un giudizio plurisoggettivo avente ad oggetto obbligazioni solidali. Ed è da ritenere che, comunque, la stessa valutazione propedeutica andrebbe compiuta anche dal mediatore.

3.21. Resta da chiedersi, poi, se la valutazione propedeutica di siffatto tipo possa estendersi sino al punto che il giudice, che dispone la mediazione ex officio, formuli "prescrizioni" funzionali, volte a massimizzare l'utilità della demandata mediazione.

3.22. Ed inoltre, va affrontato il seguente quid iuris: si resta nel'alveo della mediazione delegata ex art.5, comma 2, del d.lgs. n.28/2010, e della sua finalità ordinamentale, nel caso in cui, il giudice preveda funzionalmente, per la stessa controversia giudiziale, una definizione "integrata" della controversia: accordo in mediazione-conciliazione ex art.185 bis-sentenza?

4. Conclusioni.

4.1. In conclusione, forse un approccio pragmatico da parte del giudice che dispone ex officio la mediazione, che non esiti a fissare, già con il provvedimento, "prescrizioni" funzionali all'utile esperimento della procedura di mediazione (ovvero a massimizarne l'utile applicazione), ogni qual volta la causa sia una causa plurisoggettiva, può rendere più facile la difficile vita del mediatore, fermo restando, però, che l'attività del mediatore richiede valutazioni che portano la sua attività al di là di una mera azione maieutica sulle parti, facilitativa della conciliazione.

4.2. Infine, un'avvertenza: le considerazioni qui svolte, sono solo provvisorie perché queste brevi note hanno carattere problematico, e non risolutivo; in questa sede, infatti, ci si è limitati ad individuare, ed evidenziare, aspetti meritevoli di riflessione, fermo restando che la individuazione di eventuali soluzioni alle problematiche affrontate, necessita di ulteriori, più approfondite, estese e complete considerazioni, stante l'inevitabile approccio casistico che richiedono, ai fini della loro risoluzione nei singoli casi concreti, le complesse ed articolate problematiche di cui trattasi.


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