Ha suscitato grande scalpore, nei giorni scorsi, la "prima adozione da parte di una coppia gay italiana" - o almeno quella che così è stata definita dai mass-media. Non stiamo parlando dell'approvazione - fulminea! - di una legge costitutiva di un nuovo diritto, bensì di un provvedimento giurisdizionale che, a detta del Giudicante, non fa che applicare norme già vigenti.
Andiamo con ordine. Tizia, convivente con Caia, diventa nel 2003 (grazie a una procedura di fecondazione assistita eseguita all'estero) madre biologica di una bambina, che per la Legge non ha alcun rapporto di parentela con Caia e dunque ha un solo genitore. Tizia e Caia, assistite dall'Associazione Italiana Avvocati di Famiglia e Minori, decidono allora di rivolgersi all'Autorità Giudiziaria per ottenere una pronuncia che renda anche Caia madre legittima della piccola. La Legge, infatti, è dalla loro parte! L'art. 44 del T.U. sulle Adozioni del 1983, così come modificato nel 2001, recita che "nel superiore e preminente interesse del minore a mantenere anche formalmente con l'adulto, in questo caso genitore ‘sociale', quel rapporto affettivo e di convivenza già positivamente consolidatosi nel tempo", possa essere presa in considerazione anche l'adozione da parte di persone omosessuali. Su queste basi, il Tribunale per i Minorenni di Roma ha semplicemente dato atto - conferendo ad essa valore legale - di una situazione preesistente.
In questo caso, poi, sarebbe più corretto parlare di adozione da parte di una donna gay (Caia - "non madre" biologica), e non già di una coppia, visto che Tizia aveva già riconosciuto la propria figlia in qualità di madre naturale della stessa. E comunque si tratta di una pronuncia che "certifica" una situazione di fatto corrente, e non costituisce ex novo un rapporto di genitorialità.
Certo è che - con buona pace di Giovanardi & co! - la sentenza de qua segna comunque un'importante apertura del c.d. "diritto vivente" nei confronti di un possibile riconoscimento del diritto alla filiazione delle persone omosessuali.