Chi manomette le prove al fine di depistaggio rischia il carcere fino a 4 anni, con le ulteriori aggravanti previste per i pubblici ufficiali e nelle ipotesi di processi di strage, associazioni mafiose e sovversive.
È questo il contenuto del "nuovo" reato di depistaggio e inquinamento processuale introdotto dall'apposito ddl approvato nei giorni scorsi dalla Camera.
Il delitto entrerà autonomamente nel codice penale, prevedendo la punizione di chiunque, col fine di ostacolare o impedire le indagini e i processi, si renda responsabile di modifiche al corpo del reato o alla scena del crimine, distruggendo, occultando o alterando prove oppure creando false piste.
La pena prevista è la reclusione fino a 4 anni, con inasprimenti "crescenti", da un terzo alla metà, quando l'autore del depistaggio sia un pubblico ufficiale, ovvero quando il reato inerisca processi per stragi e terrorismo, associazioni mafiose o segrete, traffico di armi e materiali nucleari, chimici o biologici o altri gravi delitti (tratta delle persone; sequestro a scopo estorsivo, ecc.).
Per chi si adopererà a ripristinare lo stato di cose esistenti (la scena del reato o le prove) o collaborerà con i magistrati, saranno previste riduzioni di pena, mentre niente sconti per la prescrizione, che raddoppia i suoi termini in caso di depistaggio aggravato.
Salutato dai promotori come "una svolta storica" per il Paese, dove, spesso, depistaggi e occultamenti hanno impedito la scoperta della verità e la punizione dei responsabili, il provvedimento, a firma del Pd, è passato con 351 sì, 26 astenuti, e 50 no, dei berlusconiani e degli alfaniani che invocano, invece, modifiche all'impianto di un reato che rischia di far accusare di depistaggio anche chi ha "una teoria o un teorema" alternativi.
Intanto la parola ora passa al Senato.
Nemes