di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza n. 20735 del 1 Ottobre 2014. Quali limiti incontra la pubblica amministrazione, in sede di emanazione di bando concernente concorso finalizzato al reclutamento di pubblici impiegati e figure dirigenziali, nella scelta del candidato da ritenersi idoneo? Nel caso di specie la Suprema corte ha sottolineato come sia illegittima la clausola concorsuale che riserva all'amministrazione la facoltà di procedere alla scelta, non ragionevolmente giustificata, di candidato diverso rispetto al primo classificato, oppure di non procedere affatto alla nomina.
La sentenza in oggetto mette in evidenza la natura ambivalente del bando di concorso pubblico, che da un lato è un provvedimento amministrativo e dall'altro è un atto negoziale.
Nel primo caso, la pubblica amministrazione è vincolata al perseguimento dell'interesse pubblico primario insito nel bando stesso, e cioè la copertura di determinati posti al fine del buon andamento dell'azione amministrativa, non potendosi la stessa trasformare in mera attività di verifica di idoneità professionale relativa ad assunzioni future ed incerte; nel secondo caso, la clausola, presente nel bando impugnato, di subordinare l'obbligo di assunzione alla mera volontà dell'amministrazione è da dichiararsi nulla ex art. 1355 codice civile (condizione meramente potestativa).
L'inserimento di tale clausola in un bando di concorso integra dunque arbitrio da parte del potere pubblico procedente, quindi eccesso di potere del relativo provvedimento conclusivo del procedimento. In capo al soggetto giunto primo in graduatoria, dichiarata la nullità di tale clausola, viene dunque a perfezionarsi in tal modo un vero e proprio diritto soggettivo, non altrimenti comprimibile.
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