La CEDU supera il giudicato della Corte Costituzionale Italiana riaffermando principi non riconosciuti

Ancora una volta la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo supera il giudicato della Corte Costituzionale Italiana riaffermando principi costituzionali paradossalmente non riconosciuti o parzialmente non riconosciuti dallo stesso Giudice delle Leggi.

Nel merito si tratta della nota sentenza del 13 dicembre 1999 la n. 449 con cui, disconoscendo la bontà delle perplessità del Consiglio di Stato che aveva,   con ordinanza emessa il 2 giugno 1998, posto la questione di legittimità sull'allora art. 8, 1° comma, della legge 11 luglio 1978, n. 382 (Norme di principio sulla disciplina militare) e dopo un excursus logico-giuridico-deduttivo, anche richiamandosi a precedenti proprie deliberazioni (la n. 126 del 29 aprile 1985) la Corte Costituzionale affermava che non sussistevano, nel divieto posto dal predetto articolo, profili di illegittimità costituzionale in relazione al combinato disposto degli art. 39 e 52 della Carta Costituzionale.

Ulteriori perplessità si avevano già subito dopo la pubblicazione della sentenza anche a causa della presenza nella Corte di giudici che avevano fatto e anche dopo hanno fatto del garantismo processuale e dei diritti fondamentali dell'uomo una bandiera del proprio pensiero libero e indipendente!

Nella predetta sentenza la Corte volle bilanciare, propendendo alla fine per escludere l'illegittimità dell'art. 8 c. 1° della legge 382/78 e quindi della conferma di un divieto di sindacalizzazione delle FF AA, quello che di positivo deve essere riconosciuto per gli appartenenti alle FF. AA. e cioè: " che la Costituzione

repubblicana supera radicalmente la logica istituzionalistica dell'ordinamento militare, giacché quest'ultimo deve essere ricondotto nell'ambito del generale ordinamento statale "rispettoso e garante dei diritti sostanziali e processuali di tutti i cittadini" (in senso analogo, v. altresì la successiva sentenza n. 78 del 1989) e che " La garanzia dei diritti fondamentali di cui sono titolari i singoli "cittadini militari" non recede quindi di fronte alle esigenze della struttura militare; sì che meritano tutela anche le istanze collettive degli appartenenti alle Forze armate (v. le sentenze, richiamate pure dal Consiglio di Stato, nn. 24 del 1989 e 126 del 1985), al fine di assicurare la conformità dell'ordinamento militare allo spirito democratico" con quello che invece deve essere salvaguardato in relazione alla particolare funzione delle FF. AA. e della sua, come verrebbe chiamata oggi, specificità del servizio e cioè: " Se è fuori discussione, infatti, il riconoscimento ai singoli militari dei diritti fondamentali, che loro competono al pari degli altri cittadini della Repubblica, è pur vero che in questa materia non si deve considerare soltanto il rapporto di impiego del militare con la sua amministrazione e, quindi, l'insieme dei diritti e dei doveri che lo contraddistinguono e delle garanzie (anche di ordine giurisdizionale) apprestate dall'ordinamento. Qui rileva nel suo carattere assorbente il servizio, reso in un ambito speciale come quello militare (art. 52, primo e secondo comma, della Costituzione).".

La Corte, alla fine, palesando quelle che erano le proprie preoccupazioni, definisce come un vulnus la possibilità di sindacalizzare le FF. AA. perché ciò sarebbe, nel bilanciamento tra i diritti dei militari e la funzionalità stessa delle FF. AA., molto più dannoso per l'interesse collettivo, riconoscendo nella funzione del sindacato uno strumento di sovvertimento dell'ordine e della disciplina militare, valori fondanti della coesione interna e della neutralità delle FF. AA. stesse (rispetto a che cosa non lo chiarisce): "Orbene, la declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 8, nella parte denunciata, aprirebbe inevitabilmente la via a organizzazioni la cui attività potrebbe risultare non compatibile con i caratteri di coesione interna e neutralità dell'ordinamento militare. Qui rileva nel suo carattere assorbente il servizio, reso in un ambito speciale come quello militare (art. 52, primo e secondo comma, della Costituzione). Orbene, la declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 8, nella parte denunciata, aprirebbe inevitabilmente la via a organizzazioni la cui attività potrebbe risultare non compatibile con i caratteri di coesione interna e neutralità dell'ordinamento militare.".

In buona sostanza la Corte si contraddice sostanzialmente per giustificare l'ingiustificabile, asserendo primariamente che si riconoscono l'insieme dei diritti e doveri dei militari nel rapporto di impiego del militare con la sua amministrazione, e dunque non si comprenderebbe perché poi il diritto all'associazionismo professionale dovrebbe essere dunque negato, considerato che esso esplica i suoi effetti proprio solo in questo ambito e poi afferma che a causa del servizio specifico (in cui non rileva affatto il riconoscimento di un diritto che incide solo su un aspetto dell'ambito lavorativo dei militari, quello proprio del rapporto lavorativo e amministrativo) che a dire della Corte assorbe il predetto rapporto funzionale/amministrativo, il diritto dovrebbero essere invece negato.

Inverosimile poi è la tesi secondo cui la sindacalizzazione minerebbe le fondamenta dell'efficienza del servizio militare stesso in quanto gli strumenti approntati dal sistema sociale e previsti dalla medesima Costituzione Repubblicana, sarebbero incompatibili con i caratteri di coesione interna e neutralità dell'ordinamento militare, laddove si consideri che su 42 paesi dell'O.S.C.E ben 23 garantiscano il diritto sindacale alle proprie FF AA e 35 ne prevedono anche la contrattazione collettiva!

Come è stato accennato la C.E.D.U. per la seconda volta (la prima volta era stata nell'affare ADEFDROMIL c. France, n. 32191/09 ed in cui aveva affermato la violazione dell'art. 11 della CEDU ad opera della Francia) pur essendovi stati già molti pronunciamenti in materia di violazione dell'art. 11 della CEDU per quanto attiene diritti sindacali di appartenenti al pubblico impiego ( Syndicat national de la police belge c. Belgique 27 octobre 1975 e Tüm Haber Sen et Cinar c. Turquie 21 février 2006 ) intervenendo specificatamente su una richiesta di un appartenente alle FF. AA., in questo caso quelle della Francia, (ove vige un sistema uguale e quello italiano in cui si limita fortemente il diritto all'associazionismo militare e si vieta quello professionale) conferma che anche per i cittadini in uniforme il diritto all'associazionismo professionale deve essere, nelle sue forme generali ed istitutive, permesso senza alcuna preclusione.

La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo con la sentenza CEDH 280 (2014) del 02.10.2014, ribalta totalmente gli assunti posti dalla Corte Costituzionale Italiana nel 1999 affermando che i motivi della decisione di vietare assolutamente ad un militare di far parte di un associazione di categoria, costituita per difendere i propri interessi professionali e morali non sono, nel caso specifico, pertinenti e sufficienti, concludendo che, seppur l'esercizio della libertà di associazione militare può essere soggetto a restrizioni legittime, un divieto assoluto di formare un sindacato, o di aderirvi, mina l'essenza stessa dell'art. 11 della Convenzione: " per cui la loro analisi si qualifica come un divieto assoluto per i militari  d'associarsi a un'associazione professionale costituita per difendere i loro interessi professionali e morali. Il divieto puro e semplice di formare un sindacato o di aderirvi  mina l'essenza della libertà di associazione, un'interferenza che non può essere considerata proporzionata e quindi non è "necessaria in una società democratica". Di conseguenza, vi è stata una violazione dell'articolo 11."

In sostanza la CEDU ribalta quel bilanciamento voluto dalla Corte Costituzionale riprendendo i valori di cui agli artt. 52 e 39 della Carta Costituzionale e facendogli fare un balzo in avanti rispetto all'interesse collettivo, laddove fosse stato veramente messo in pericolo, di avere delle FF. AA. "efficienti e neutrali".

In buona sostanza salta anche il principio previsto, in forma esclusiva, nel senso che in forza di questo i cittadini in uniforme vengono ancora oggi esclusi dall'esercizio di parecchi diritti previsti genericamente per tutti gli altri cittadini italiani, dall'art. 19 della legge 4 novembre 2010, n . 183, (quella tanto decantata "specificità" utilizzata in senso opposto a quanto dalla CEDU affermato nella predetta sentenza e limitativa soltanto dai vertici militari e come mezzo di propaganda da quella destra politica che si è poi dimostrata, andando al governo, più realista del re), perché seppur è vero che il rapporto professionale dei militari assume caratterizzazioni di specialità funzionale questa non può determinare, in una società democratica, ai cui sistemi l'Ordinamento Militare si deve adeguare, l'esclusione da un diritto tout court.

Gli effetti sono del tutto evidenti e dirompenti perché scardinano assunti illegittimi operanti in una società che si fonda sul principio democratico e di legittimità dell'esercizio dei diritti, per cui se questa sentenza non verrà appellata entro il 02.01.2015 alla Grande Chambre, in forza dell'art. 117 c. 1 della Carta Costituzionale il legislatore italiano dovrà rimodulare quella parte del COM e del TUROM, ove si limita il diritto all'associazionismo militare ed all'associazionismo professionale, e acconsentire l'esercizio delle piene libertà associative e sindacali per i cittadini in uniforme.

Dr. Carmelo Cataldi


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