A conferma che le sentenze di merito non fanno precedente (nemmeno in via "di fatto"), il Tribunale per i Minorenni di Bologna non ha seguito la scia di quanto deciso pochi mesi fa dall'omologo Tribunale di Roma su di un caso del tutto analogo.
Si tratta della spinosa questione delle "adozioni gay", o per meglio dire, della riconoscibilità, ad opera di uno dei due conviventi, del figlio naturale dell'altro.
Sul finire della scorsa estate, aveva suscitato scalpore la sentenza del Tribunale per i Minorenni di Roma che, con la firma della presidente Melita Cavallo, aveva concesso l'adozione di una bimba nata con fecondazione assistita alla compagna - donna - della madre naturale della piccola.
Adesso, i giudici del capoluogo emiliano-romagnolo, chiamati a decidere su una faccenda molto simile, hanno invece scelto una posizione "neutrale", rimettendo la questione alla Corte Costituzionale.
In particolare, il caso de quo vede coinvolte due donne statunitensi, che in patria "condividono" due figli minori. Stabilitesi in Italia da qualche anno, le stesse hanno richiesto al Tribunale territorialmente competente la delibazione della sentenza americana che aveva permesso loro di adottare reciprocamente l'una il figlio biologico dell'altra. Ma i giudici di merito hanno sospeso il giudizio, affidando alla Consulta il compito di pronunciarsi sulla legittimità costituzionale degli artt. 33 e 36 della Legge 184/1983 (adozione e affidamento dei minori) nella parte in cui non consentono al giudice di valutare se risponda all'interesse del minore adottato il riconoscimento della sentenza straniera che abbia pronunciato la sua adozione in favore del coniuge del genitore.