La riforma delle pensioni, uno dei temi più caldi per il Governo, è ormai improcrastinabile.
Annunciato nella legge di stabilità 2015 e poi rinviato, per questioni di tempo e di opportunità, l'intervento organico sul sistema del welfare italiano non è più rinviabile.
Una necessità nata già all'indomani dell'approvazione della nota riforma Fornero nel 2011, sulla quale, sebbene non pesi più la spada di Damocle del referendum abrogativo presentato dalla Lega Nord e dichiarato inammissibile dalla Corte Costituzionale il 20 gennaio scorso (leggi l'articolo "La Consulta salva la legge Fornero"), continuano a gravare i continui ed estemporanei correttivi, apportati da ultimo con la legge di stabilità, e tesi a porre rimedio agli effetti collaterali dalla stessa scatenati (in primis l'esercito di migliaia di esodati, con conseguenti costi a carico dello Stato per le relative salvaguardie).
Ora, sebbene la paventata abrogazione della norma (che avrebbe causato alle casse dello Stato un buco di miliardi di euro) sia stata accantonata, sono molti gli elementi che impongono una riforma organica del settore (la recente riforma del mercato del lavoro; la crescita dei disoccupati causata dall'allungamento dell'età pensionabile, il problema della quota 96 e degli esodati, ecc.) e sono diverse le proposte allo studio dell'esecutivo, frutto delle svariate sollecitazioni al cambiamento finalizzate (pur nel mantenimento della legge) a rendere le misure sul welfare meno stringenti e più flessibili.
Di seguito, ecco lo "stato dell'arte" del sistema previdenziale italiano, così come delineato dalla riforma Fornero, i correttivi apportati dall'ultima legge di stabilità e le proposte al vaglio del Governo:
- La riforma Fornero
Emanata in un clima di vera e propria emergenza economica, durante l'allora vigente governo Monti, ai sensi del d.l. n. 201/2011 (c.d. decreto Salva Italia), convertito dalla l. n. 214/2011, la riforma Fornero è basata sui seguenti pilastri principali:
o Introduzione del metodo di calcolo "contributivo", in luogo del tradizionale (e più generoso) sistema retributivo, a partire dall'1 gennaio 2012, che commisura i trattamenti previdenziali sulla base dei contributi versati dai lavoratori e non sugli ultimi stipendi percepiti;
o Innalzamento dell'età pensionabile, stabilendo un minimo di 20 anni di contribuzione e 66 anni di età per gli uomini (del settore pubblico e privato) e per le donne del pubblico impiego, fissando a 62 anni l'età pensionistica per le donne del settore privato (che diventeranno gradualmente 66 anni e 3 mesi nel 2018) e a 63 anni e 6 mesi quella per le lavoratrici autonome (66 anni e 3 mesi nel 2018);
o Sostituzione della "pensione di anzianità" con la "pensione anticipata", secondo la quale occorre aver lavorato 41 anni e 3 mesi (per le donne) e 42 anni e 3 mesi per gli uomini per poter andare in pensione, con la previsione di un aggiornamento periodico dei requisiti di pensionamento in base all'allungamento della speranza di vita.
- I correttivi della Legge di Stabilità 2015
L'ultima legge di stabilità, dopo gli annunci relativi ad interventi più organici ed incisivi, a causa dei tempi stretti per l'approvazione, ha preferito adottare modifiche di basso profilo sul sistema del welfare. Tra le novità previste dalla l. n. 190/2014, si segnalano in particolare:
o Introduzione del tetto per le "pensioni d'oro", ossia i trattamenti che nonostante la modifica del calcolo contributivo (come ad es. quelli per dirigenti, medici, professori, ecc.) finivano per percepire, in assenza di correttivi, una pensione maggiorata (110 e 120% dello stipendio) per via della permanenza al lavoro oltre l'età pensionistica;
o Eliminate le penalizzazioni (dell'1 o 2% previste dalla riforma Fornero) per chi decide di andare in pensione anticipata entro il 2017, prima dei 62 anni di età, ma avendo maturato il requisito contributivo pieno (cioè 42 anni e sei mesi di contributi per gli uomini e 41 e 6 mesi per le donne);
o Spostata al 10 del mese la data dei pagamenti delle pensioni per i titolari di doppio assegno (Inps-Inpdap). Il rinvio, secondo le stime, riguarda circa 800mila pensionati, mentre per tutti gli altri rimarrà immutato il pagamento previsto il primo giorno di ogni mese;
o Aumento della tassazione sulla previdenza privata, dall'11,5 al 20% per i fondi pensione e dal 20% al 26% per le casse di previdenza. In entrambi i casi è prevista la possibilità di usufruire di un credito di imposta (pari al 6% per le Casse e al 9% per i Fondi) per chi investe in attività di carattere finanziario (a medio e lungo termine) per come individuate con decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze.
- Le proposte
Partendo dalla legge vigente, le proposte di riforma al vaglio dell'esecutivo, mirano ad introdurre una maggiore flessibilità, soprattutto in termini di uscita anticipata, anche per risolvere il problema degli esodati:
o La quota 100 e la quota 97
Due i piani di uscita anticipata proposti dal presidente della commissione lavoro della Camera, Cesare Damiano.
Il primo è quello della c.d. "Quota 100" che garantirebbe appunto al raggiungimento di tale quota (pari alla somma dell'età anagrafica e contributiva) la possibilità di andare in pensione, a partire però da un minimo di 60 anni di età e di 35 di contributi. Si potrebbe così andare in pensione al raggiungimento di 60 anni di età e 40 di contributi; 61 di età e 39 di contributi, e così via.
Il secondo, invece, prevede il ripristino della c.d. "Quota 97", ovvero 62 anni di età e 35 di contributi, con una penalizzazione dell'8% di partenza che si ridurrebbe del 2% per ogni anno con l'aumentare dell'età pensionabile (fino ad annullarsi del tutto al raggiungimento dei 66 anni).
Prevista anche la possibilità di andare in pensione per tutti con 41 anni di contributi indipendentemente dall'età anagrafica senza penalizzazione;
o Il "prestito pensionistico"
La proposta del c.d. "prestito pensionistico", su cui punta Yoram Gutgeld, consigliere del premier (modello già proposto a suo tempo dall'ex ministro Giovannini) prevede l'uscita anticipata con un trattamento inferiore a quello che di norma spetterebbe al lavoratore.
In soldoni, l'età pensionabile rimarrebbe quella prevista dalla riforma Fornero, ma il lavoratore che vuole andare in pensione prima del raggiungimento dei requisiti richiesti, potrebbe farlo ricevendo quindi una sorta di prestito anticipato, che dovrà ripagare con microprelievi sull'assegno previdenziale pari al 2 o al 3%;
o Proroga del c.d. regime sperimentale
Altra proposta di prepensionamento è quella della ministra della P.A. Marianna Madia e riguarda la proroga del regime sperimentale (la c.d. opzione donna) e la sua estensione a tutti i lavoratori.
In sostanza, sarebbe possibile andare in pensione a 57 anni di età e 35 di contributi, con l'"unica" penalizzazione che l'assegno finale sarebbe interamente calcolato con il metodo contributivo (anche per i periodi in cui ricadrebbe nel retributivo), e, dunque, notevolmente ridotto.