di Marina Crisafi - Dipendenti mascherati da liberi professionisti che lavorano fino a 10 ore al giorno, percependo un compenso mensile fisso o variabile e il più delle volte senza contatti diretti con i clienti. È la dura vita degli avvocati "collaboratori di studio" fotografata dall'Aiga in un'indagine presentata oggi pomeriggio a Trani nel corso del Focus "Il cambiamento delle professioni legali".
Una categoria che, denuncia l'Associazione italiana dei giovani avvocati, si fa sempre più numerosa e soprattutto sempre meno tutelata. Secondo il report infatti l'80% degli avvocati negli studi legali, in genere gli stessi nei quali è stato svolto il praticantato, esercita solo formalmente la libera professione. Di fatto, si tratta di "impiegati" dello studio (in 4 casi su 5), con un rapporto di "cripto dipendenza", quasi mai disciplinato con un contratto e destinato a rimanere tale nella maggior parte dei casi.
Dei quasi 450 intervistati dall'Aiga in tutto il Paese, soltanto il 40% ha dichiarato di avere l'obiettivo di aprire un proprio studio, mentre il resto si "accontenta" di percepire una corresponsione fissa (49,4%) o variabile (27%), occupandosi delle attività più svariate: dalla redazione degli atti all'attività stragiudiziale sino alle sostituzioni in udienza, ma interfacciandosi raramente con i clienti.
Un fenomeno che, denuncia l'Aiga attraverso la sua presidente Nicoletta Giorgi, non può più essere ignorato: occorrono "subito le giuste tutele" con un intervento "urgente e risolutivo" per regolamentare il fenomeno, offrendo una cornice normativa al passo con i tempi. Un invito che è anche un monito, perché la situazione va ben aldilà del mero aspetto economico, andando "a discapito - ha chiosato la Giorgi - dell'indipendenza e dell'autonomia della professione che dovrebbe consentire a un avvocato di gestire la difesa e la tutela dei diritti del proprio cliente e non solo di predisporre un atto ad ‘occhi chiusi' seguendo le mere indicazioni del dominus o del titolare dello studio".