di Marina Crisafi - Non ci stanno gli Avvocati Italiani e ribadiscono un no secco all'apertura ai soci di capitale nelle società professionali approvata dal ddl concorrenza all'esame della Camera.
Nel testo, licenziato dalle commissioni finanze e attività produttive, in aula da lunedì per la conclusione dell'iter parlamentare, è previsto che l'esercizio della professione forense possa anche essere effettuato da parte di società di persone, capitali e cooperative, purchè costituite per almeno 2/3 da professionisti (avvocati e non) iscritti all'albo (leggi "Ddl concorrenza: via libera alle società tra avvocati").
Ma anche in percentuale, la norma che legittima la presenza di soci di capitale, scrive Anai, nel comunicato diffuso sul proprio sito, "ha palesemente contraddetto e violato il precetto tassativo della legge di riforma dell'ordinamento che ha escluso i soci di capitale dalle società professionali, obbligatoriamente limitato ai soli professionisti". La normativa, infatti, che non può essere derogata, afferma il presidente dell'associazione Maurizio De Tilla, "risponde al principio di indipendenza dell'esercizio dell'attività di assistenza e difesa nel processo (civile, penale, amministrativo, tributario, etc.)". E nonostante sia stato confermato nel provvedimento il principio della personalità della prestazione professionale e la piena "indipendenza e imparzialità" nello svolgimento dell'incarico e per tutta la durata dello stesso, l'intervenuta modifica legislativa, sottolinea De Tilla, "favorirà certamente la presenza di gruppi di affari, anche contaminati dalla criminalità organizzata, che finiranno per pregiudicare e gravemente inquinare il libero esercizio dell'attività di avvocato".
La presenza di soci di capitale non professionisti sostiene il presidente dell'associazione degli avvocati italiani, finirà, inoltre, per introdurre "strumenti elusivi" che favoriranno i grandi soci di capitali (come banche, multinazionali e assicurazioni), i quali, attraverso le proprie società di servizi, condizioneranno soprattutto "i giovani avvocati nello svolgimento di funzioni che solo apparentemente saranno autonome, ma in realtà saranno riconducibili a posizioni di dipendenza e di asservimento alle mere logiche aziendali, senza alcuna possibilità di esprimere una valutazione ed una scelta aderente allo spirito della funzione costituzionale riconosciuta dalla Carta Fondamentale del nostro Paese".