di Marina Crisafi - Tagliare 120mila cause a rischio Pinto, ossia di risarcimento per l'eccessiva durata dei giudizi che sinora sono costate alle casse dello Stato qualcosa come 750 milioni di euro. Sono questi gli obiettivi che il dicastero di via Arenula si impone di raggiungere entro i prossimi 8 mesi con l'aggiornamento del Progetto Strasburgo 2 (qui sotto allegato), messo a punto nei mesi scorsi con il censimento selettivo del 2014 (aggiornato nel 2015) ed entrato ormai in piena fase operativa a seguito della delibera di approvazione del Csm di giugno 2015.
Una tabella di marcia in due tempi che vede quale priorità urgente e indifferibile l'azzeramento entro i prossimi 4 mesi dei 44.639 procedimenti civili pendenti del secolo scorso (cioè iscritti a ruolo entro il 2000) e entro i successivi 4, delle quasi 74mila cause iscritte negli anni 2001-2005.
Nella nota di aggiornamento a firma del capo del dipartimento giustizia Mario Barbuto si prende atto dell'efficacia del censimento dell'arretrato che ha evidenziato un calo generale delle pendenze civili (passate, con riferimento solo a Tribunali e Corte d'Appello, da oltre 3.741.123 unità del 2013 a 3.494.549 unità nel 2014, con un decremento del 6,6%), ma non basta, perché se le pendenze globali sono diminuite è vero anche che "nel contempo sono invecchiate": l'arretrato in senso stretto, relativo ai fascicoli ultra-triennali ha subito un incremento di 69.150 unità, passando dal 24% circa al 32%.
E questo, si legge nella relazione, è un dato che fa preoccupare perché l'invecchiamento delle pendenze significa che "il rischio degli indennizzi ex lege Pinto è in aumento, con un serio pregiudizio economico, attuale e futuro, per l'Erario" già gravato da somme "impressionanti" per tale causale.
E il trend non positivo del sistema-giustizia sotto il profilo della durata ragionevole delle cause civili, si propaga anche sul fronte penale, dove, pur rinviando ad un secondo momento l'analisi del relativo arretrato, già ci si fascia la testa sugli effetti prorompenti della recente sentenza n. 184 del 23 luglio 2015 della Corte Costituzionale (che ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 2 comma 2-bis della legge n. 89/2001 "nella parte in cui prevede che il processo penale si considera iniziato con l'assunzione della qualità di imputato, ovvero quando l'indagato ha avuto legale conoscenza della chiusura delle indagini preliminari, anziché quando l'indagato, in seguito a un atto dell'autorità giudiziaria, ha avuto conoscenza del procedimento penale a suo carico"), dalla quale è prevedibile un aumento degli indennizzi per equa riparazione per l'evidente dilatazione dei tempi di computabilità della durata del processo.
Preso atto della situazione, occorrono dunque misure organizzative e soluzioni per velocizzare i giudizi, sia perché è manifestamente irragionevole, sottolinea il ministero, che "a fine 2015 in Italia restino ancora pendenti cause contenziose che hanno una vetustà superiore a 15 anni, alcune delle quali risalgono anche agli anni '70 e '80, con una anzianità superiore a 30/40 e anche 50 anni", sia perché "l'assioma giustizia rapida-giustizia di scarsa qualità è uno dei tanti miti da sfatare", e l'obiettivo è pervenire (più che all'abbattimento dell'arretrato) a tempi ragionevoli nella definizione delle controversie, e per una questione di immagine, e, appunto, per arginare il pericolo dei costi esorbitanti dell'equo indennizzo.
Quanto alle soluzioni e alle misure, oltre a ribadire che il ministero possa esigere "mediante inviti pressanti (la c.d. moral suasion), che quelle cause siano subito definite", si punta sulle nuove risorse organiche (con 3.200 unità in arrivo tra mobilità esterna e nuove assunzioni), sulle best practice, le linee guida e i decaloghi per l'esaurimento del vecchio arretrato e, perché no, sugli effetti della degiurisdizionalizzazione.
Nota di aggiornamento Giustizia Progetto Strasburgo 2