di Valeria Zeppilli - In questi giorni, in Parlamento, si sta discutendo della nuova (ennesima) riforma del processo civile che, se e quando andrà in porto, porterà non poche innovazioni (leggi: "Processo civile: la riforma spiegata punto per punto").
Tra le varie proposte contenute nel disegno di legge delega ce ne è anche una volta a contrastare il più possibile le cd. liti temerarie. Ovverosia quelle azioni legali che sono esperite con malafede, colpa grave o difetto di normale prudenza.
L'idea del d.d.l. è quella di inasprire gli strumenti di tutela rispetto a tal genere di azioni, per evitare il più possibile ai cittadini di trovarsi costretti a sobbarcarsi anni e anni di cause senza una ragione che sia almeno un po' valida.
Ad oggi il codice di procedura civile sanziona la lite temeraria all'articolo 96 prevedendo, al primo comma, che se nel corso del giudizio emerge che la parte soccombente ha agito o resistito in con mala fede o colpa grave, il giudice la condanna, su istanza dell'altra parte, non solo a rifondere le spese ma anche a risarcire i danni cagionati con il suo comportamento, liquidati in sentenza anche di ufficio.
Il secondo comma del medesimo articolo stabilisce, poi, che se il giudice accerta che il diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, è stata trascritta una domanda giudiziaria, è stata iscritta un'ipoteca giudiziale o è stata iniziata o compiuta l'esecuzione forzata è inesistente, su istanza di parte condanna l'attore o il creditore procedente che abbia agito senza la normale prudenza al risarcimento dei danni, liquidati nel modo già detto.
Oggi l'idea della riforma è quella di far sì che (attraverso la modifica dell'art. 96 c.p.c.) la parte che ha portato avanti una lite temeraria
sia condannata a pagare, nei confronti della controparte e al di fuori della responsabilità aggravata prevista dal codice di procedura civile, una somma compresa tra il doppio e il quintuplo dell'importo delle spese legali liquidate in sentenza.Non solo: uno degli emendamenti prevede che "il giudice, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell'articolo 91 del codice di procedura civile, condanna d'ufficio e anche se non sussistono gli altri presupposti di cui all'articolo 96, primo comma, del codice di procedura civile, la parte soccombente, che ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, al pagamento di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, che tenga conto del valore della controversia, di importo determinato in misura non inferiore al doppio e non superiore al quintuplo del contributo unificato dovuto per l'introduzione del giudizio".
L'obiettivo del Governo, in questo come in molti altri casi, è quello di deflazionare il contezioso giudiziario.
Questa volta accertandosi, con strumenti adeguatamente dissuasori, che chi è parte in una causa lo è per ragioni valide e non per "perdere tempo" o dare semplicemente fastidio all'altra parte.
Per scoprire se quest'idea andrà in porto non resta che attendere ancora un po'.
Vedi anche: Processo civile: la riforma spiegata punto per punto (con il testo del DDL)