di Marina Crisafi - I requisiti previsti dal nuovo regolamento sull'esercizio della professione forense, "non hanno alcuna attinenza con la continuità, stabilità, effettività e prevalenza dell'attività professionale - tanto - da rendere evidente come la permanenza dell'iscrizione all'albo sia ancorata a requisiti soprattutto patrimoniali e di successo professionale che, con tali modalità di esercizio, nulla hanno a che vedere". Ad affermarlo è l'Associazione Forense Nazionale "in difesa dell'avvocatura medio-bassa" (AMB) che, con un comunicato a firma del proprio presidente, Avv. Fulvio Pironti, rende noto di aver impugnato dinanzi al Tar Lazio il decreto che fissa i requisiti necessari per rimanere iscritti nell'albo degli avvocati (d.m. n. 47/2016 in vigore dal 22 aprile scorso).
In particolare, secondo l'Amb, 4 sui 6 requisiti previsti dal regolamento (che, si ricorda, devono essere posseduti contemporaneamente dagli avvocati che intendono proseguire l'attività), prestano il fianco a critiche: a) avere l'uso di locali e di almeno un'utenza telefonica destinati allo svolgimento dell'attività professionale; b) aver trattato almeno cinque affari l'anno; c) aver assolto gli obblighi di aggiornamento professionale; d) aver stipulato una polizza assicurativa a copertura della responsabilità civile derivante dall'esercizio della professione.
Il decreto impugnato, che in quanto regolamento ministeriale può operare solo in quanto e nei limiti in cui sia a ciò autorizzato dalla legge cui si riferisce, "purché non in contrasto con altre disposizioni di rango sovraordinato", si legge nel comunicato, viola diverse disposizioni, a partire dall'art. 33 della Costituzione, "che espressamente prevede, tra l'altro, il superamento del solo esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio professionale. Ne consegue che il regolamento sulla continuità professionale, prevedendo a pena di cancellazione dall'albo una serie di requisiti per l'esercizio professionale forense è illegittimo per violazione del dettato costituzionale".
Ma non solo. Ad essere violate sono anche: le regole deontologiche, e, in particolare, l'art. 10 che "vieta che la professione di avvocato sia ristretta o compressa da norme che ne delimitano o, addirittura, ne impediscano l'effettivo esercizio intaccandone libertà e indipendenza"; l'art. 15 della Carta dei diritti fondamentali dell'Europa che garantisce ad ogni individuo «il diritto di lavorare e di esercitare una professione liberamente scelta o accettata» e l'art. 21 della stessa Carta, che vieta «…qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio…».
Per non parlare della "pseudo censura" contenuta nell'art. 4 del decreto che, "in spregio dei principi di tassatività peculiari delle sanzioni disciplinari - prosegue il comunicato - prevede che l'avvocato cancellato dall'albo avrà diritto di iscriversi nuovamente, allorché consegua i requisiti, nei casi previsti dall'art. 2, comma 2, lettere a), b), d), f), g) nonché h), mentre nei casi di cui alle lettere c) ed e) non potrà iscriversi se non prima che siano decorsi dodici mesi da quando la delibera di cancellazione è divenuta esecutiva" impedendo così al professionista "inadempiente" di regolarizzare la propria posizione in tempi brevi una volta sanato il vuoto.
Il regolamento, ex se, infine, afferma il presidente dell'Amb nella nota "viola il principio di libertà di impresa per l'accesso alle attività economiche e il loro esercizio e, quanto all'esercizio e all'accesso alle professioni, viola il principio secondo cui gli ordinamenti professionali devono garantire che l'esercizio dell'attività risponda senza eccezioni ai princìpi di libera concorrenza, alla presenza diffusa dei professionisti su tutto il territorio nazionale, alla differenziazione e pluralità di offerta che garantisca l'effettiva possibilità di scelta degli utenti nell'ambito della più ampia informazione relativamente ai servizi offerti".
È evidente che così come emanato, chiosa il presidente Pironti mira "a sopprimere un consistente numero di studi legali e a legittimare la presenza di pochi megastudi. Questi ultimi monopolizzeranno il mercato a discapito dei cittadini i quali avranno diritto ad una difesa solo in virtù del principio del massimo profitto".
Da qui il ricorso, frutto dell'impegno del gruppo di studio targato Amb, per chiedere al giudice amministrativo l'annullamento e la sospensiva del regolamento.
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