di Valeria Zeppilli - Con la sentenza numero 7353/2016 dello scorso 24 giugno (qui sotto allegata), il Tar del Lazio ha dato ufficialmente il via (seppur spogliandosi della giurisdizione) a una questione che di certo darà non poco da discutere.
Il Tribunale, in particolare, era stato chiamato a pronunciarsi sul regolamento attuativo della legge numero 247/2012 e sulla legge stessa, nella parte in cui hanno imposto a tutti gli avvocati l'iscrizione automatica alla Cassa Forense, con cancellazione dall'albo in caso di mancato pagamento dei contributi previdenziali.
Rimettendo la questione al giudice del lavoro, il Tar ha tuttavia riportato in maniera molto dettagliata e argomentata le questioni a sostegno della posizione assunta dai ricorrenti, aprendo più di qualche spiraglio per una dichiarazione di incostituzionalità dell'articolo 21 della legge numero 247/2012, che è la norma che rende inscindibile il binomio iscrizione all'albo/iscrizione alla Cassa.
I principali dubbi i illegittimità costituzionale derivano dal fatto che una simile previsione lederebbe la dignità morale di tutti quegli avvocati che non riescono a sostenere gli oneri contributivi fissati da Cassa forense e, di fatto, non possono più esercitare l'attività per la quale hanno ottenuto la tanto sudata abilitazione.
Senza dimenticare che l'articolo 33 della Costituzione, al comma 5, stabilisce quale unico requisito necessario per poter accedere alle professioni regolamentate ed esercitarle quello dell'abilitazione: per i ricorrenti altri presupposti cozzerebbero con tale norma.
Imporre a tutti il versamento di un contributo minimo (peraltro affatto modesto specie per i non più giovani) che prescinda dal raggiungimento di un reddito adeguato è irragionevole e in contrasto con gli intenti proclamati dalla stessa legge che, nei fatti, sembrerebbero invece essere solo quello di "sfoltire" gli albi.
Ad essere violato è poi il principio di proporzionalità: come potrebbe essere diversamente se si considera che l'impianto applicabile agli avvocati prevede che chi non produce reddito deve comunque pagare e che anche chi produce, ma poco, deve subire un sacrificio comunque eccessivo?Oltretutto, l'impianto della disciplina lascia del tutto in secondo piano il fatto che se l'avvocato si iscrive all'Albo quando è ormai avanti con gli anni, potrebbe non raggiungere mai il numero di anni contributivi necessari per conseguire la pensione, rischiando così di gettare al vento gli esosi contributi versati.
I ricorrenti pongono sul piatto anche la Cedu, in particolare il disposto degli articoli 15 e 21 dal quale emerge il divieto di ogni forma di discriminazione fondata sul patrimonio o sulla nascita.
La carne al fuoco è insomma tanta, anche più di quella qui riportata.
Il Tar ha aperto qualche spiraglio, ma ora bisogna attendere che il giudice del lavoro dica la sua. Chissà come si orienterà? Forse c'è qualche spiraglio per coloro che rischiano di essere "cacciati" dall'albo?
Tar del Lazio testo sentenza numero 7353/2016