di Lucia Izzo - La necessità di un intervento a favore dei giovani con carriere discontinue, soprattutto in previsione del passaggio al sistema interamente contributivo, appare come un impegno sempre più impellente.
Già alla fine di febbraio, il ministro del Lavoro aveva incontrato i segretari generali dei sindacati per iniziare a discutere i profili della cosiddetta "fase 2" della riforma pensionistica, che esecutivo, Cgil, Cisl e Uil avevano già approntato lo scorso autunno in un verbale d'intesa (per approfondimenti: Pensione giovani: si pensa a una garanzia dello Stato).
Un'occasione di confronto cruciale per definire le ulteriori misure di riforma del sistema di calcolo contributivo, per renderlo più equo e flessibile, per affrontare il tema dell'adeguatezza delle pensioni dei giovani lavoratori con redditi bassi e discontinui, per favorire lo sviluppo del risparmio nella previdenza integrativa, mantenendo la sostenibilità finanziaria e il corretto rapporto tra generazioni insiti nel metodo contributivo.
I giovani lavoratori, spesso precari se non del tutto disoccupati, o vincolati al sistema dei voucher, vedono la misura dei contributi versati condizionata dal fenomeno delle "carriere discontinue". Il nodo sulle pensioni è tornato al centro dell'attenzione proprio nei giorni scorsi, rilanciato dal presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano (Pd): sotto la lente ci sono, in particolare, i giovani che hanno cominciato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996.
L'ex ministro del lavoro, considerando l'imminente prosecuzione del confronto tra Governo
e sindacati, ha battuto la proposta della pensione di cittadinanza: in un'intervista al Manifesto, ha rammentato che "È prevista nella proposta di legge 2100 Gnecchi-Damiano: prevede che per tutti i lavoratori andati in pensione dal '96 con il contributivo si assicuri un assegno base pari a quello sociale, circa 500 euro. Poi ciascun lavoratore aggiungerà i suoi contributi: ma questo assegno base è finanziato dalla fiscalità generale e in parte dalla stessa previdenza" ha ricordato Damiano.La pensione di cittadinanza apparirebbe come una misura di civiltà, destinata a evitare che il futuro possa vedere un "esercito di nuovi poveri", poiché "chi ha alle spalle una carriera fatta di contratti a termine, licenziamenti, voucher, stage, non avrà i contributi sufficienti per un assegno dignitoso": bisognerebbe, sostiene ancora il presidente della Commissione, prendere come standard di dignità un assegno di 1500 euro lordi, integrando la parte mancante a tale soglia.
Un principio che, rammenta, è contenuto nel verbale firmato da governo e Cgil, Cisl e Uil dello scorso settembre. Ma come e dove trovare le risorse sufficienti? "Le risorse si possano trovare anche modificando i meccanismi interni allo stesso sistema previdenziale. Ad esempio con il contributivo non esiste più l'integrazione al minimo: reinvestiamo quei miliardi per la pensione dei giovani di oggi" chiosa Damiano.
Si propone, in sostanza, di rivedere la normativa sul lavoro e sugli ammortizzatori sociali, in particolare partendo dall'art. 18 che, "per quanto riguarda i licenziamenti collettivi e quelli disciplinari, dovrebbe vedere il ripristino in alcuni casi la reintegra". Ancora, sarebbe opportuno "rendere strutturali gli incentivi alle assunzioni a tempo indeterminato in modo da rendere questo contratto meno costoso di quelli flessibili".
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