Dott. Walter Sapia - La Sezione Specializzata in materia di Impresa del Tribunale di Torino, con sentenza 1° marzo 2017 n. 1553 (qui sotto allegata), ha respinto il ricorso presentato da Uber contro il provvedimento, ottenuto nel maggio 2015 dalle società esercenti il servizio Taxi di Milano, Torino e Genova, che aveva bloccato, in via cautelare, l'utilizzo dell'app tramite la quale si poteva usufruire del servizio.
Il Tribunale, infatti, ha accertato e confermato la natura di "concorrenza sleale" dell'attività esercitata da Uber e dai relativi drivers e di conseguenza ha inibito l'utilizzazione dell'app UberPop sul territorio nazionale così come la prestazione di qualsiasi servizio "comunque denominato e con qualsiasi mezzo promosso e diffuso, che organizzi, diffonda e promuova da parte di soggetti privi di autorizzazione amministrativa e/o di licenza un trasporto terzi dietro corrispettivo su richiesta del trasportato".
A nulla sono valse, dunque, le argomentazioni fornite da Uber, secondo cui il servizio promosso sarebbe diverso da quello esplicato dai Taxi perché costituito esclusivamente da una piattaforma tecnologica, strumentato per favorire il trasporto condiviso e soprattutto rivolto soltanto alla propria community. Secondo il Collegio, tuttavia, tali considerazioni non trovano alcun fondamento, posto che il servizio, anzitutto, non è assimilabile a quello di "car sharing" in quanto gli utenti che ne usufruiscono non condividono il percorso con i drivers, ma indicano essi stessi la destinazione da raggiungere in cambio di un corrispettivo in denaro quantificato sulla base del tariffario predisposto dalla società. In secondo luogo, i giudici di merito hanno evidenziato che l'utenza a cui Uber si rivolge non è costituita da una ristretta cerchia di persone, ma anzi da un pubblico piuttosto vasto, considerato che chiunque può facilmente scaricare la relativa app dal proprio smartphone ed utilizzare il servizio. Occorre considerare, infine, che i drivers e le auto da questi utilizzate non sono sottoposti ad alcuna licenza comunale né ai diversi obblighi e controlli che la legge prevede per lo svolgimento del servizio di Taxi; è la stessa Uber, infatti, che verifica ed eventualmente concede l'autorizzazione al proprio autista affinché quest'ultimo possa svolgere il servizio di trasporto utenti. Tale aspetto, ampiamente affrontato dalla sentenza
in commento, è di per sé sufficiente per garantire a Uber e ai propri autisti un "vantaggio competitivo contrario alla correttezza professionale presidiata dall'art. 2598 n.3 c.c.".Dalla sentenza in commento, inoltre, si evince come Uber non possa considerarsi un semplice intermediario tra drivers e utenti, in quanto gestisce ed organizza una serie di attività (gestione e manutenzione dell'applicazione, selezione dei drivers, collegamento tra questi e la community, incasso del 20% di tutte le transazioni che avvengono mediante pagamento elettronico) che rendono il servizio, non sottoposto agli obblighi dettati dalla specifica normativa prevista per il trasporto pubblico non di linea, in concorrenza con il trasporto pubblico dei taxi perché offerto agli utenti a condizioni più vantaggiose di quest'ultimo.
Il Tribunale ricorda, a tal proposito, che il servizio di trasporto pubblico non di linea è regolamentato dalla Legge n. 21/1992, la quale prevede esclusivamente due figure: quella di operatore taxi e quella di operatore di NCC (noleggio con conducente), motivo per cui qualsiasi nuova modalità del servizio dovrà essere oggetto di specifico intervento legislativo.
Spetta, dunque, al nostro Stato intervenire sul punto e auspichiamo che tale intervento avvenga nel più breve tempo possibile così da conciliare lo sviluppo e le nuove possibilità che la tecnologia offre in termini di servizi con la tutela della leale concorrenza in un settore assai importante, quale quello del trasporto pubblico non di linea.
Dott. Walter Sapia
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Tribunale di Torino, Sent. 1 marzo 2017 n. 1553• Foto: 123rf.com