Avv. Alberto Nachira - Con ordinanza interlocutoria n. 10447 del 27.04.17 (sotto allegata) la Prima Sezione della Corte di Cassazione ha rimesso al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la questione se, a norma dell'art. 23 D.Lgs. n. 58/1998 (TUF), la sottoscrizione della banca sia necessaria ad substantiam, al pari di quella dell'investitore, al fine della valida conclusione del contratto di gestione su base individualizzata di portafoglio di investimento (ma il dubbio interpretativo vale per tutti i contratti di investimento e i contratti bancari).
La vicenda
Giungeva, infatti, in Cassazione la domanda (rigettata in primo e secondo grado) di alcuni investitori che chiedevano che venisse accertata la nullità o, in subordine, l'annullamento del contratto quadro di gestione, consulenza ed amministrazione di portafogli sottoscritto solo dai clienti e non anche dal funzionario di banca.
La questione non è affatto irrilevante poichè, secondo la prassi del settore bancario, la conclusione del contratto di investimento (c.d. contratto-quadro) si attua, al fine di rispettare i requisiti della forma e della consegna dello stesso al cliente, con la sottoscrizione di quest'ultimo del contratto, che resta in possesso della banca, seguita dalla consegna al cliente di altro documento identico al primo, a firma della banca, in modo tale che, allo scambio documentale, segue la disponibilità, in capo a ciascuna parte dell'originale sottoscritto dall'altra.
La Cassazione sulla forma del contratto-quadro
Nell'ordinanza la Corte ribadisce che è indispensabile la sottoscrizione ad opera del cliente del contratto-quadro, essendo il requisito di forma posto a protezione esclusiva del medesimo.
Quanto al profilo riguardante la sottoscrizione anche della banca, l'Alta Corte afferma, come da recenti decisioni di legittimità, che la produzione in giudizio da parte della banca del contratto-quadro da essa non sottoscritto non è idoneo equipollente della sua sottoscrizione (Cass. 24.03.16, n. 5919; Cass. 11.04.16 n. 7068; Cass. 19.05.16 n. 10331 e Cass. 3.01.17 n. 36). Tuttavia per la Corte merita ulteriore riflessione il punto controverso se, per la validità del contratto concluso con la banca, sia necessaria anche la sottoscrizione della medesima, pur quando comunque sussista la firma del cliente. Invero, accanto ad orientamenti conformi a quello di recente accolto dalla Suprema Corte, diverse sono le conclusioni di quella parte degli interpreti che, muovendo dalla ratio della norma, finalizzata alla protezione del contraente debole e alla valorizzazione delle esigenze di chiarezza e di trasparenza informativa, escludono, invece, per la validità del contratto la necessità della sottoscrizione della banca, laddove risulti la predisposizione da parte della stessa e la firma del cliente. In particolare, la previsione formale dell'art. 23 è dettata a fini esclusivi di tutela dell'investitore, contraente debole del rapporto, in quanto sprovvisto delle informazioni professionali del mercato finanziario. Secondo, pertanto, una prima tesi il requisito della forma scritta sarebbe soddisfatto con la sottoscrizione del cliente. La c.d. forma informativa sarebbe rispettata perché soddisfatto è l'interesse alla conoscenza ed alla trasparenza, o scopo informativo, cui essa è preordinata. L'altra parte del rapporto, ovvero la banca, è il soggetto predisponente le condizioni generali di contratto, cui l'investitore aderisce. Di qui, il rilievo che la sottoscrizione della banca a differenza di quella dell'investitore non occorra, affinchè il contratto sia valido. La volontà del cliente deve essere manifestata per iscritto ad substantiam, l'altra in ogni forma consentita dall'ordinamento. La tesi della irrilevanza della firma della banca eviterebbe, altresì una lettura distorta dell'art. 23 e un pericolo di strumentalizzazione dello strumento formale da parte dell'investitore. Come potrebbe avvenire il cliente, a fronte di una perdita marginale successiva, potrebbe decidere di impugnare il contratto, in ragione della mancata sottoscrizione della banca, per ottenere la nullità delle operazioni successive che lo avrebbero danneggiato (uso selettivo della nullità).Si offrirebbe così tutela a quel contraente che maliziosamente abusando di una posizione di vantaggio conferita dalla legge per altri fini, deducesse la nullità del contratto pur eseguito senza contestazioni da entrambe le parti. Ove invece venga accolta l'opposta ricostruzione, secondo cui anche la sottoscrizione della banca è requisito di forma ad substantiam, deve porsi la questione se avendo la nullità effetti ex tunc a sua volta la banca sia legittimata o no a ripetere quanto versato a favore del cliente; o se, a fronte di un uso selettivo della nullità l'intermediario possa eccepire la violazione della buona fede contrattuale, e con quali conseguenze. Occorrerà, altresì, domandarsi se sia ipotizzabile la convalida del contratto nullo, proprio per essere la nullità di tipo relativo onde debba ravvisarsi uno di quei casi in cui la legge "dispone diversamente" ai sensi dell'art. 1423 c.c.. Dovrebbe, infatti, vagliarsi la possibilità giuridica se, così come l'investitore può opporsi alla declaratoria di nullità, specularmente egli possa già provvedere, consapevole di quella nullità, a convalidare il contratto mediante i comportamenti concretamente tenuti.E' rimessa alle Sezioni unite della Suprema Corte la soluzione di tali questioni.
Avv. Alberto Nachira
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Cassazione, ordinanza n. 10447/2017• Foto: 123rf.com