La sentenza della Corte di giustizia europea fa chiarezza sui prodotti vegani che non possono riportare i nomi degli alimenti di derivazione animale

di Gabriella Lax - Non chiamatelo "latte di soia", perché non si tratta di "latte" e non ha le caratteristiche del latte. Lo stesso vale per yogurt, formaggi fatti con la soia. Dunque non si possono chiamare "latticini" prodotti vegetali. A fare chiarezza ci pensa una sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea che riguarda i prodotti vegani chiamati con nomi che ricordano alimenti di derivazione animale più tradizionali.

La sentenza che eliminate il "latte di soia"

Nella sua decisione la Corte stabilisce che, in linea di principio, per commercializzazione e pubblicità, la normativa riserva la denominazione "latte" unicamente al latte di origine animale. A seguire, sempre salvo eccezioni, la normativa riserva le denominazioni come, burro, formaggio, crema di latte, chantilly e yogurt, solo ai prodotti lattiero-caseari ossia i derivati dal latte.

Il caso: Verband Sozialer Wettbewerb contro TofuTown

La vicenda prende le mosse dalla causa tra la società tedesca TofuTown e l'associazione Verband Sozialer Wettbewerb. La prima produce e distribuisce prodotti alimentari vegetariani e vegani: con denominazioni come "burro di tofu", "formaggio vegetale" ed altre simili. Per la Verband Sozialer Wettbewerb, associazione tedesca per il contrasto alla concorrenza sleale, quel tipo di pubblicità e commercializzazione infrange le norme europee sulle denominazioni del latte e dei prodotti lattiero-caseari. Da qui l'azione inibitoria nei confronti della TofuTown nel tribunale di Treviri, in Germania. La società si difende sostenendo che non c'è alcuna violazione del diritto europeo giacchè il modo in cui i consumatori percepiscono i nomi dei prodotti avrebbe subito grandi cambiamenti negli ultimi anni e in ogni caso, accanto alle diciture che si rifanno al latte e ai suoi derivati, c'è sempre associata una parola che rimanda alla chiara origine vegetale dell'alimento.

Il tribunale tedesco ha chiesto quindi lumi alla Corte di giustizia, per la quale, in applicazione delle norme comunitarie, il termine "latte" va riferito esclusivamente al «prodotto della secrezione mammaria normale, ottenuto mediante una o più mungiture, senza alcuna aggiunta o sottrazione». Per cui, l'esatta denominazione per identificare un prodotto «simile al latte» ma vegan è «bevanda vegetale a base di...» (ferme restando le eccezioni legate a "denominazioni tradizionali" come ad esempio il latte di mandorla o il burro di cacao), e ciò per evitare che il consumatore rischi di cadere nell'equivoco.

Bresaola e mortadella vegan

A chiedere che si faccia ulteriore chiarezza sui derivati della carne oltre che su quelli del latte (ad esempio bresaola e mortadella vegan) ci pensa il vicepresidente della commissione agricoltura dell'Europarlamento Paolo De Castro, secondo il quale la Corte ha compiuto «un passo decisivo contro l'uso scorretto delle denominazioni - e la speranza è che al più presto - sia possibile predisporre una normativa europea per salvaguardare le denominazioni dei prodotti a base di carne, come "bresaola" o "mortadella"».

La reazione di Coldiretti

Plauso per la decisione della Cgue anche da parte di Coldiretti che in una nota afferma: «I prodotti vegetariani e vegani non possono pertanto essere chiamati con nomi di alimenti di origine animale, in particolare latticini, ponendo fine ad un inganno che riguarda il 7,6% di italiani che segue questo tipo di dieta». Quello che oggi chiamiamo 'latte di soia' è una bevanda molto antica, «nata probabilmente in Cina, che si ottiene dalla macinazione dei semi di soia in acqua con proprietà nutrizionali e organolettiche completamente differenti dal latte di origine animale. Un discorso che - conclude la nota di Coldiretti - si estende anche ai derivati come burro, yogurt, formaggi e panna che non possono essere ottenuti con prodotti vegetali».


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