Restano 'maltrattamenti in famiglia' anche quelli tra coniugi che si sono detti addio. La Corte di Cassazione ha cosi' reso definitiva la condanna per maltrattamenti in famiglia inflitta a Nicola F., un milanese 'separato dalla moglie' e 'non piu' convivente'. L'uomo, condannato dal Tribunale di Milano nel dicembre del 2003, si e' opposto in Cassazione sostenendo che il 'reato di maltrattamenti in famiglia fra coniugi separati e non piu' conviventi puo' configurarsi solo in presenza di rapporti di dipendenza nascenti dal coniugio tali da porre la persona offesa in posizione psicologica subordinata e da integrare i caratteri di una sistematica attivita' persecutoria senza dei quali si e' di fronte all'ipotesi criminosa di minacce e percosse'. La Suprema Corte (Sesta sezione penale- sentenza 28505/05) ha dichiarato 'inammissibile' il ricorso di Nicola N. condannato anche al pagamento di mille euro, facendo notare la legittimita' della condanna inflitta dal tribunale. In proposito, gli 'ermellini' ricordano che 'da parte sua il giudice ha il potere dovere di controllare l'esattezza degli aspetti giuridici e la congruita' della pena richiesta e di applicarla dopo aver accertato che non emerge in modo evidente una delle cause di non punibilita' previste dall'art. 129 c.p.p.'. Nel caso specifico, piazza Cavour ha quindi ritenuto di confermare la condanna all'uomo per maltrattamenti in famiglia anche se separato.
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