Sempre più vicina la web tax, la tassa per i giganti della rete dovrebbe arrivare con la legge di bilancio per il 2018

di Gabriella Lax - La nuova finanziaria per il 2018 comprenderà anche una tassa per i giganti del web. Una introduzione che non è contenuta nel decreto fiscale che verrà approvato la prossima settimana, e neppure nel disegno di legge del governo: ma che arriverà solo successivamente durante l'esame parlamentare. Anche se ancora bisognerà capire come, al vaglio, attualmente, ci sono alcune scelte sulle quali puntare. Il primo indizio era arrivato dalle parole del ministro Pier Carlo Padoan che, nel corso di un'audizione, aveva accennato al fatto che «Sulla web tax il clima è cambiato». E poi ancora, c'è il sì di almeno dieci Paesi europei e l'appoggio di altri nove, ma soprattutto di Italia, Francia, Germania e Spagna.

Che cos'è la web tax?

Per web tax si indica la proposta di legge (presentata da Francesco Boccia del Pd) che nell'era dell'economia digitale, vorrebbe la regolamentazione della tassazione per le multinazionali che operano nella rete, per garantire equità fiscale e concorrenza leale.

L'obiettivo, si legge nella proposta di legge di Boccia è il contrasto «dell'evasione fiscale tipica delle transazioni online, intese come commercio elettronico diretto o indiretto non sottoposte al regime di tassazione dei Paesi dove vengono fruiti i beni o i servizi venduti e sui quali si producono ricavi. L'esigenza è quella di non consentire che società estere non paghino le tasse nei Paesi dove operano, ma in quelli dove hanno la sede legale che, molto spesso, hanno un'imposizione fiscale molto più bassa di quella dei Paesi membri dell'Unione».

Come potrebbe operare la web tax

A dare i dettagli di quella che potrebbe essere una nuova, quanto mai controversa, tassa, ci pensa il Sole 24 Ore. Sembra che le over-the-top digitali (ma non solo loro) potrebbero essere oggetto di un'imposta fissa da determinare tra il 6% e il 10% dei ricavi.

Qualcosa di molto simile alla tassa digitale in vigore dallo scorso anno in India (il 6% su ogni transazione che si conclude attraverso l'infrastruttura di scambio dati locale) una sorta di nuova "Iva digitale". Se si pensa, per esempio ad un 8% come punto di approdo del progetto del governo, una web tax così pensata avrebbe triplicato le tasse 2016 di Facebook

Italia (dunque da 260mila euro a 744mila, su 9,3 milioni di fatturato) e così anche quelle di Twitter (da 170mila euro a 408mila, su 5,1 milioni di fatturato della divisione italiana). La proposta però è l'applicazione della web tax solo ai gruppi che non aderiscono alla compliance volontaria prevista dalla web tax del 2016 di Boccia, che prevede l'accettazione dello "status" di stabile organizzazione in Italia.

Ad eccezione del Movimento 5 Stelle, sembra che in Parlamento ci siano grandi aperture per l'introduzione del concetto di "stabile organizzazione" per i player digitali. Una decisione che porterebbe come vantaggio l'apertura di una partita Iva italiana e che porta quindi con sè una dote del 22% sul fatturato equivalente al triplo della web tax ipotizzata dal governo.


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