La prima sentenza di quest'anno, della Consulta, dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto la disciplina relativa alla ripetizione di indebito pensionistico. La vicenda giudiziaria, in realtà, era già stata posta all'attenzione della Corte Costituzionale che, tuttavia, con ordinanza n. 249 del 2002, aveva restituito gli atti ai rimettenti per un nuovo esame alla luce del sopravvenuto art. 38, commi 7 e 8, della legge n. 448 del 2001. All'esito del nuovo esame, i giudici rimettenti avevano ritenuto ancora attuali le censure già avanzate e, perciò, con ordinanze del 2003 rinnovavano i provvedimenti di rimessione alla Corte delle leggi. Con riguardo al merito della quaestio, i Tribunali di Roma e di Viterbo sollevato due distinte questioni di costituzionalità. La prima riguarda i commi 260 e 261 dell'art. 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure per la razionalizzazione della finanza pubblica), i quali prevedono che nei confronti di chi abbia percepito indebitamente prestazioni pensionistiche o quote di prestazioni pensionistiche o trattamenti di famiglia, nonché rendite, anche se liquidate in capitale, a carico degli enti pubblici di previdenza obbligatoria, per periodi anteriori al 1° gennaio 1996, non si fa luogo al recupero dell'indebito qualora il suo reddito personale imponibile ai fini dell'IRPEF per l'anno 1995 sia pari o inferiore a 16 milioni di lire e che, in caso di reddito superiore, l'indebito è irripetibile nei limiti di un quarto dell'importo riscosso. La seconda riguarda i commi 7 e 8 dell'art. 38 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato ? legge finanziaria
2002), i quali prevedono che nei confronti di chi abbia percepito indebitamente prestazioni pensionistiche o quote di prestazioni pensionistiche o trattamenti di famiglia, a carico dell'INPS, per il periodo anteriore al 1° gennaio 2001, non si fa luogo al recupero dell'indebito qualora il suo reddito personale imponibile ai fini dell'IRPEF per l'anno 2000 sia pari o inferiore a ? 8.263,31 e che, in caso di reddito superiore, l'indebito è irripetibile nei limiti di un quarto dell'importo riscosso.
Con le ordinanze richiamate i giudici censurano la trama di norme impugnate sotto il profilo di un'irrazionale e ingiustificabile disparità di trattamento (lesiva dell'art. 3 Cost.), rinvenibile tra i casi in cui, prima dell'entrata in vigore delle norme impugnate, l'ente previdenziale abbia agito per il recupero di indebiti anteriori al 1° gennaio 1996 e sia intervenuta una dichiarazione di non ripetibilità ai sensi della previgente disciplina, e i casi in cui ? a parità di ogni altra circostanza, in particolare dell'epoca di erogazione dell'indebito, del godimento da parte del pensionato di un reddito superiore a 16 milioni di lire e dell'assenza di dolo ? il recupero non sia stato ancora promosso al momento dell'entrata in vigore di tali norme, con la conseguente applicazione retroattiva di un regime di ripetibilità (sia pure limitata), con conseguente inadeguata tutela previdenziale dei percettori dell'indebito (lesiva dell'art. 38 Cost.). L'impugnazione è stata poi estesa ai commi 7 e 8 dell'art. 38 della legge n. 448 del 2001 sotto il profilo che per essi ? ove fossero applicabili anche agli indebiti anteriori al 1° gennaio 1996 ? varrebbero gli stessi dubbi di incostituzionalità dedotti a proposito della disciplina del 1996. La sentenza 1/2006 è l'occasione del Collegio per ricostruire i tratti essenziali dell'excursus normativo del regime dell'indebito previdenziale, derogatorio dell'art. 2033 del codice civile,oggetto di una complessa evoluzione. La Consulta, comunque, ai fini del giudizio, ritaglia l'attenzione verso la sola disciplina delle prestazioni indebitamente erogate dall'INPS prima del 1° gennaio 1996. La disciplina originaria, anteriore ai commi 260 e 261 dell'art. 1 della legge n. 662 del 1996, considerava irripetibili le somme percepite in buona fede dal pensionato, salvo i casi in cui fosse dimostrato il dolo del precettore e con i correttivi introdotti dalla legislazione sopravvenuta da intendersi innovativa e senza efficacia retroattiva (Corte Costituzionale, sentenza n. 39 del 1993). Il sopravvento dei commi 260 e 261 dell'art. 1 della legge n. 662 del 1996, come interpretati dalle Sezioni unite con la sentenza n. 2333 del 1997, ha determinato «una disciplina di carattere globalmente sostitutivo di quella previgente». Come la Consulta precisa, ?questa disciplina, transitoria e speciale, non si applica per il futuro (e perciò non innova il regime dell'indebito previdenziale posto, da ultimo, dall'art. 13 della legge n. 412 del 1991), ma regola esclusivamente gli indebiti già erogati dagli enti pubblici di previdenza obbligatoria prima del 1° gennaio 1996, collegando la loro irripetibilità o (limitata) ripetibilità alla sola misura del reddito imponibile ai fini dell'IRPEF nel 1995. E' un criterio più semplice da gestire per gli enti previdenziali, rispetto a quello previsto dalla legislazione previgente che aveva creato non pochi problemi interpretativi, pur se è meno favorevole per i pensionati in quanto (come nelle fattispecie in esame) ha reso ripetibili indebiti erogati nel vigore di norme che ne garantivano l'irripetibilità?. Sono, dunque, sopravvenuti i commi 7 e 8 dell'art. 38 della legge n. 448 del 2001, in base ai quali l'indebito erogato dall'INPS anteriormente al 1° gennaio 2001 non è ripetibile se i percettori avevano nel 2000 un reddito personale, imponibile ai fini indicati, pari o inferiore a ? 8.263,31 (corrispondenti, secondo il noto tasso di cambio, a 16 milioni di lire). Ma proprio tali norme hanno dato luogo ad un contrasto giurisprudenziale in ordine alla disciplina applicabile agli indebiti anteriori al 1° gennaio 1996: il contrasto è stato composto dalle Sezioni unite (sentenza n. 4809 del 2005), nel senso che ai fini della ripetibilità degli indebiti erogati prima del 1° gennaio 1996 rilevano entrambe le normative censurate: dapprima operano i commi 260 e 261 dell'art. 1 della legge n. 662 del 1996, onde l'indebito è definitivamente irripetibile se il percettore della prestazione pensionistica abbia fruito nel 1995 di un reddito imponibile ai fini dell'IRPEF inferiore o pari a 16 milioni di lire; se tale soglia è superata operano i commi 7 e 8 dell'art. 38 della legge n. 448 del 2001, per cui il recupero può ancora essere precluso se il reddito del 2000 sia stato inferiore o pari a ? 8.263,31?. La premessa storico ? normativa richiamata fa da sfondo alla decisione, in conclusione, assunta dalla Corte, per la quale ?nelle norme impugnate non è ravvisabile ? come in quelle di cui alla sentenza del 1993 ? una lesione, costituzionalmente rilevante, dell'affidamento dei percettori di prestazioni pensionistiche non dovute, con conseguente violazione del principio di eguaglianza?. Ad avviso del Collegio ?l'affidamento dei cittadini nella stabilità della normativa vigente è tutelato come inderogabile precetto di rango costituzionale solo in materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.). Per il resto norme retroattive sono ammissibili purché comportino una regolamentazione non manifestamente irragionevole (fra le altre, sentenza n. 419 del 2000), onde la retroattività può risultare giustificata proprio dalla sistematicità dell'intervento innovatore e dall'esigenza di uniformare il trattamento delle situazioni giuridiche pendenti e quello delle situazioni che si determineranno in futuro. Nella specie poi si tratta dell'affidamento dei pensionati nell'irripetibilità di trattamenti pensionistici indebitamente percepiti in buona fede, ed esso è tanto più meritevole di tutela ove si tratti di pensionati a reddito non elevato che destinano le prestazioni pensionistiche, pur indebite, al soddisfacimento di bisogni alimentari propri e della famiglia. In tale affidamento questa Corte (sentenza n. 431 del 1993) ha individuato ? alla luce dell'art. 38 Cost. ? un principio di settore, che esclude la ripetizione se l'erogazione non dovuta, destinata a soddisfare essenziali esigenze di vita del pensionato, non sia a lui addebitabile. Orbene è significativo che la normativa censurata (commi 260 e 261 dell'art. 1 della legge n. 662 del 1996, integrati dai commi 7 e 8 dell'art. 38 della legge n. 448 del 2001, per la parte in cui, secondo l'interpretazione delle Sezioni unite, si applicano agli indebiti erogati prima del 1° gennaio 1996) attraverso il criterio reddituale garantisca l'irripetibilità di tali indebiti ai pensionati economicamente più deboli e ? comunque ? ne escluda la ripetibilità totale. Inoltre le citate norme del 2001 ? nella parte indicata ? apprestano un'ulteriore tutela a quei pensionati con bassi redditi cui l'INPS abbia chiesto la ripetizione di indebiti anteriori al 1996: essi invero, pur se tenuti alla (parziale) restituzione perché titolari nel 1995 di redditi imponibili ai fini dell'IRPEF superiori ai 16 milioni di lire, possono ancora fruire dell'irripetibilità se nel 2000 quei redditi siano stati pari o inferiori a ? 8.263,31. D'altra parte la necessità costituzionale di proteggere, nei sensi indicati, l'affidamento del pensionato non implica di per sé una disciplina unica dell'indebito previdenziale; onde, al legislatore che si sia allontanato dal principio civilistico della totale ripetibilità dell'indebito oggettivo (art. 2033 cod. civ.) deve riconoscersi un ambito di discrezionalità nell'individuazione degli strumenti più idonei a garantire ai pensionati a basso reddito un congruo livello di tutela, in un generale quadro di compatibilità, e fra essi può ben essere annoverata la scelta di collegare la ripetibilità ad un criterio meramente reddituale. Inoltre la sostituzione del regime di tutela dell'affidamento del pensionato con un altro criterio, diverso ma parimenti orientato, seppur sotto certi aspetti meno favorevole, trova, con riferimento alla normativa censurata, sufficiente giustificatezza nel carattere straordinario ed eccezionale dell'intervento legislativo, diretto a porre ordine nella materia dell'indebito previdenziale?. (Si ringrazia Giuseppe Buffone) LaPrevidenza.it, 18/01/2006
Corte Costituzionale, sentenza 13.01.2006 n° 1, nota di Giuseppe Buffone

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