di Gabriella Lax - Arriva la bocciatura da parte della Corte dei conti sul rinnovo del contratto degli statali. I giudici, che comunque avevano dato il via libera all'accordo sul rinnovo per i 250mila dipendenti pubblici, nella delibera del 23 marzo scorso, hanno ritenuto il rinnovo dei contratti deludente perché, si limita ad aumentare i tabellari, ma non fa alcun cenno ad un incremento basato sulla produttività per gli impiegati di ministeri, Agenzie ed enti come Inps e Cnel.
La Corte dei conti boccia il nuovo contratto della Pubblica amministrazione
La delibera
sul rinnovo contrattuale del comparto Funzioni centrali 2016-2018 è quella depositata il 23 marzo. Un contratto «deludente» secondo i giudici contabili poiché quando si tratta di certificare la compatibilità economica di incrementi contrattuali (a proposito degli incrementi retributivi pari al 3,48% della massa salariale) il parametro autentico «non può prescindere da una valutazione degli effetti della contrattazione, in termini di recupero della produttività del settore pubblico». Dunque, da questo punto di vista, «l'ipotesi all'esame si rivela complessivamente deludente» se si considera che i fondi messi a disposizione risultano «esclusivamente per corrispondere adeguamenti delle componenti fisse della retribuzione». Nel ricordare la riforma Brunetta, i giudici chiariscono «non si può non sottolineare» che in quel caso la normativa «affidava alla contrattazione collettiva il compito di procedere ad una sostanziale ridefinizione delle componenti variabili della retribuzione, da destinare prevalentemente a finalità realmente incentivanti e premiali».Corte dei conti: «Premi deludenti, aumenti solo tabellari»
Nello specifico, circa le disposizioni relative agli aumenti contrattuali, la Corte dei conti sollecita la necessità di stabilire «un quadro programmatico di riferimento per la crescita della spesa di personale». Nella delibera si legge, che gli incrementi retributivi del 3,48% della massa salariale, in modo da consentire aumenti medi mensili pari a 85 euro a già da marzo 2018, sono «importi superiori a quelli previsti nel caso in cui si fosse applicato l'indice Ipca o il tasso di inflazione programmato».
Da un lato dunque i giudici certificano la compatibilità economica del nuovo contratto ma, dall'altro, scrivono «in mancanza di un predefinito parametro di riferimento la verifica della compatibilità economica dei costi contrattuali si rivela, pertanto, di non facile percorribilità». Giudizio non positivo anche nei confronti della riforma Madia e del nuovo testo unico.
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