Quantitative easing (QE) e titoli di stato
Nel mese di Maggio, la BCE ha ridotto l'acquisto dei titoli di stato italiani, nell'ambito del programma di Quantitative easing e, secondo calcoli Reuters, gli acquisti sono stati inferiori dell'8% sulla base di regole concordate e rese note, così come dichiarato dalla BCE. Secondo Bloomberg, invece "… lo spettacolo delle ultime 48 ore della Bce e dei suoi esponenti è la prova che si vuole dare una lezione all'Italia, per dimostrare cosa succederebbe se l'Italia dovesse minacciare veramente di uscire dall'euro e quando si staccherà la spina al QE.".
Di fatto, un ulteriore mancato sostegno al difficile rilancio economico dell'Italia e relativo rientro dei debiti a cui si aggiunge la speculazione finanziaria dei grandi investitori che giocano con l'oscillazione e l'aumento dello "spread" lucrando, quindi, tra la vendita di BTP a prezzo più alto e al riacquisto degli stessi a un prezzo più basso. Tutto ciò, nella convinzione di un prossimo aumento della spesa pubblica e di un ampliamento del deficit italiano.
Gli scenari economici
Una situazione, decisamente, poco confortante, stante i tre scenari ipotizzati per l'Italia, proprio da Morgan Stanley:
- nel primo, si riescono a realizzare alcune riforme chiave di natura strutturale con le relative coperture, ma non tutte. L'economia riprende, anche, con la riduzione della pressione fiscale e in presenza di un non negativo approccio verso la UE e l'Euro, il debito potrebbe scendere lievemente. Con questo scenario lo spread potrebbe aggirarsi intorno ai 200 bp;
- nel secondo, l'Italia mantiene il cd. "saldo primario" (differenza tra entrate e uscite) come in corso, ma attiva alcune riforme strutturali e sostiene l'integrazione europea. In questo caso, il debito potrebbe scendere, sostanzialmente, con l'aumento della fiducia degli investitori e il dibattito sulle politiche europee divenire più facile. In questo scenario lo spread potrebbe aggirarsi intorno ai 150 bp;
- nel terzo, vengono realizzate quasi tutte le riforme, anche, strutturali ma con finanziamenti limitati. La ridotta pressione fiscale potrebbe aiutare la crescita, ma le preoccupazioni dei mercati aumenterebbero, a causa del forte impatto economico-finanziario unitamente alla posizione molto critica nei confronti della UE e dell'euro. Il debito tornerebbe a salire. Con questo scenario lo spread potrebbe aggirarsi intorno ai 400 bp.
In ipotesi, quindi, di un aumento dei tassi d'interesse di circa 200 bp, sarebbe necessario un surplus primario di circa il 3,5% del PIL e in ipotesi di aumento di detti tassi di circa 100 punti base sarebbe necessario un surplus primario di quasi il 2,5% del PIL.
In alternativa, una forte politica di riduzione fiscale dovrebbe sviluppare una forte crescita del Prodotto Interno Lordo ad un ritmo di oltre il 7% (tre-quattro volte quello attuale) tanto da stabilizzare il rapporto debito-PIL (scenario difficile, secondo Morgan Stanley).
Infine, da augurarsi che le agenzie di rating (Moody's, S&P's, Fitch e DBRS) non valutino un declassamento dell'Italia (ipotesi che, al momento, sembra remota), ma che spaventerebbe, ulteriormente, i mercati.
Insomma, il rilancio della Nazione deve, comunque, fare i conti con i mercati finanziari, salvo ridurre il proprio fabbisogno (in modo selettivo) e potenziare lo sviluppo grazie, anche, ad una profonda ristrutturazione dell'organizzazione pubblica (centrale e periferica) in funzione dell'efficienza e competitività Paese. La famosa "spending review" che come dichiarava lo stesso Cottarelli: "Mentre cercavo di tagliare passavano misure che aumentavano le uscite".
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