La responsabilità da cose in custodia di cui all'art. 2051 c.c. non si fonda su un comportamento o un'attività del custode, ma su una relazione (di custodia) intercorrente tra questi e la cosa dannosa. Solo il "fatto della cosa" è rilevante e non il fatto dell'uomo; solo lo stato di fatto e non l'obbligo di custodia può assumere rilievo nella fattispecie. Il profilo del comportamento del responsabile è di per sè estraneo alla struttura della normativa, nè può esservi reintrodotto attraverso la figura della presunzione di colpa per mancata diligenza nella custodia. Il limite di tale responsabilità risiede nell'intervento di un fattore (il caso fortuito) che non attiene ad un comportamento del responsabile (come nelle prove liberatorie degli artt. 2047, 2048, 2050 e 2054 c.c.), ma alle modalità di causazione del danno. Si deve pertanto ritenere che, in tale tipo di responsabilità, la rilevanza del fortuito attenga al profilo causale, in quanto suscettibile di una valutazione che consenta di ricondurre all'elemento esterno, anziché alla cosa che ne è fonte immediata, il danno concretamente verificatosi. Si intende, così, anche la ragione dell'inversione dell'onere della prova previsto dall'art. 2051 c.c., il quale prevede che all'attore compete provare l'esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l'evento lesivo e che il convenuto per liberarsi dovrà provare l'esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale. (Nel caso di specie, Il Tribunale ha affermato la responsabilità oggettiva del gestore di un supermercato per le lesioni riportate da una cliente scivolata sul pavimento bagnato dei locali dell'area di vendita)
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