Si puo' offendere anche parlando in dialetto. Pertanto dire a qualcuno 'recchione', ad esempio, costituisce ingiuria anche se l'espressione viene detta ad una persona di 'un'altra area geografica' dove non vige quel vernacolo. Lo dice la Corte di Cassazione che, nel condannare il vocabolo 'recchione' pronunciato da un militare nei confronti di un pari grado, sottolinea come la parola 'di provenienza dialettale' ma 'usata in ambito nazionale e' riconosciuta dalla generalita' degli italiani come espressione ingiuriosa'. L'espressione era stata pronunciata dal 22enne Giuseppe S. contro il paro grado Alessio D.F. durante il servizio di ronda. 'Recchione, siciliano di m.' aveva detto Giuseppe al collega e i due erano venuti anche alle mani. Di qui la condanna per ingiuria e lesione personale (due mesi e quindici giorni di reclusione con i benefici della sospensione condizionale e della non menzione della condanna) inflitta dalla Corte d'appello militare di Roma nel giugno 2005. Invano Giuseppe S. si e' rivolto alla Cassazione, sostenendo, quanto all'offesa, che l'espressione pronunciata in dialetto non poteva essere 'comprensibile da persona proveniente da diversa area geografica'. La Prima sezione penale, sentenza 19967, ha respinto il ricorso e ha annotato che 'le parole usate dall'imputato erano scurrili e lesive dell'onore e del decoro della persona offesa ed erano comprensibili da parte di chiunque, al di la' della provenienza dialettale di alcune di esse, in quanto usate in ambito nazionale e riconosciute dalla generalita' degli italiani come espressioni ingiuriose'. Ecco perche', concludono gli 'ermellini' 'deve ritenersi provato che la persona offesa abbia percepito le espressioni ingiuriose in tutta la loro carica specificamente offensiva'.
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