Di bossing, mobbing e straining nel pubblico impiego ci siamo già (incidentalmente) occupati quando abbiamo trattato dell'abuso del potere organizzativo del datore di lavoro pubblico e della tutela dei diritti dei lavoratori avuto riguardo al comparto degli Enti locali. Questa problematica, peraltro, può essere affrontata anche attraverso l'analisi di casi specifici, richiedendo al lettore la necessaria pazienza: non si parte dal presupposto (dato per già accertato) che uno o più atti riconducibili a mobbing siano stati commessi, essendo proprio tale accertamento l'oggetto dell'indagine. E l'interesse per una tale indagine deriva dal fatto che nel pubblico impiego si è soliti ammantare con solide motivazioni anche gli atti peggiori, sì da dare ad essi una parvenza di legittimità. A meno di non avere a che fare con degli sprovveduti, infatti, gli atti con i quali il datore di lavoro pubblico dispone, un trasferimento, un mutamento di mansioni, etc., si troveranno redatti in modo tale da fare emergere sempre una esigenza organizzativa che ha reso necessario quel trasferimento o mutamento di mansioni. Affrontare casi concreti partendo dall'inizio, ossia proprio dall'indagine sul "se" le cose stiano esattamente nel modo rappresentato dal datore di lavoro (o se, piuttosto, costui ha in concreto ecceduto ed abusato dei poteri che la legge gli conferisce), consente, tra l'altro, di mettere a fuoco il modo di operare nella pubblica amministrazione, testando l'efficacia dei rimedi approntati dall'ordinamento. Un caso che ci sembra particolarmente interessante avuto riguardo agli obiettivi che ci siamo posti è quello che riguarda M.M., quarant'anni, dipendente di un Ente locale territoriale del Centro Italia, che lamenta di aver subito un trasferimento per ritorsione. (Stefano Gennai - Esperto servizi amministrativi presso la Provincia di Siena) LaPrevidenza.it,
Articolo di Stefano Gennai
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