Dire a qualcuno che e' troppo 'ciccione' puo' avere una valenza addirittura 'terapeutica' e dunque non offensiva. A sdoganare l'epiteto e' la Cassazione che ha annullato la condanna per ingiuria inflitta dalla Corte d'appello di Trieste ad un medico, Federico A., reo di avere offeso in "modi poco urbani" l'onore e il decoro di un' assistente sociale, Alessandra V., "di peso eccessivamente sproporzionato", dicendole: "con tutti quei chili di troppo pretende di non avere il mal di schiena..con lei perdo solo tempo, chi vuole che la guardi, chi vuole che la tocchi, lei deve dimagrire...non le e' ancora venuto un infarto, ma chi l'ha assunta, ma come puo' prestare questo servizio...lei e' un peso per la societa'...visitarla e' una pedrita di soldi per l'Inail". Per la Suprema Corte, che ha annullato la condanna del medico "perche' il fatto non sussiste", anche se i toni del professionista possono essere stati "poco urbani" e tutt'al piu' censurabili da un punto di vista deontologico, non possono essere condannati in sede penale perche' "un medico - scrive la Quinta sezione penale nella sentenza 4990 - non puo' porsi il problema dell'offensivita' della mera constatazione della condizione patologica del paziente". Del resto, che la paziente avesse problemi di peso, rimarcano gli 'ermellini', lo ha detto chiaramente anche il giudice di merito che, nell'ottobre 2005, aveva sottolineato come la donna, che aveva riportato uno stiramento alla schiena nel corso del suo lavoro, fosse "visibilmente di peso eccessivamente sproporzionato". In definitiva, per la Suprema Corte se un medico si rivolge in maniera rude ad un paziente extra large denunciando i chili di troppo non lo fa "in maniera offensiva" ma solo per spronarlo a perdere peso. Per la condanna penale, si legge nella sentenza, "non e' sufficiente l'astratta idoneita' delle parole a offendere, ma e' necessario che esse siano a cio' destinate". La pubblica accusa della Cassazione aveva giudicato offensivo il contenuto delle parole del medico e ne aveva chiesto la conferma della condanna.
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