Il Consiglio nazionale forense ha messo in dubbio la legittimità costituzionale delle norme del codice di procedura penale che conferiscono efficacia di giudicato alla sentenza di patteggiamento nel procedimento disciplinare a carico di avvocati. L'attuale assetto normativo infatti, vincolerebbe gli organi disciplinari in ordine all'accertamento dei fatti, alla responsabilità dell'agente e all'affermazione dell'incolpato ha commesso il fatto. Il CNF con un'ordinanza inviata alla Corte Costituzionale ha pertanto sollevato questione di costituzionalità degli articoli 445, comma 1 bis e 653, comma 1 bis del codice di procedura penale in quanto sospettati di contrastare con i principi costituzionali di uguaglianza (con riferimento al canone della ragionevolezza, articolo 3, comma 2), di difesa (articolo 24, comma 2) e del giusto processo (con riferimento alla garanzia del contraddittorio, articolo 111, comma 2)". Secondo quanto afferma il CNF "ll combinato disposto delle norme contestate, nel testo risultante a seguito delle modifiche apportate nel tempo (ad opera della legge numero 97/2001 e della legge numero 134/2003), conferisce, infatti, efficacia di giudicato anche nell'ambito dei procedimenti disciplinari non solo alla condanna pronunciata a seguito di dibattimento, ma anche alla sentenza di cosiddetto patteggiamento (pena concordata, articolo 444 Cpp) [...] tutto ciò - secondo il CNF - contrasterebbe col principio costituzionale della ragionevolezza delle leggi perchè, da una parte, si equiparano, quanto all'effetto, due sentenze strutturalmente diverse (quella di condanna a seguito di dibattimento e quella di patteggiamento) e tra di loro non assimilabili così come più volte ritenuto dalla stessa Corte di cassazione; dall'altra si crea una ingiustificata disparità di trattamento tra chi è sottoposto a procedimento disciplinare e chi subisce un giudizio amministrativo, o civile, visto che in quest'ultimi casi il cpp nega efficacia di giudicato alla sentenza di patteggiamento". "Inoltre - continua il Cnf- le norme violerebbero il diritto di difesa e il principio del contraddittorio visto che non consentono all'interessato e al Consiglio nazionale forense in sede giurisdizionale, anche nella sua veste di giudice di merito, di assumere tutte le iniziative istruttorie ritenute opportune e necessarie per ricostruire la portata fattuale dei comportamenti".
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