In un'intervista all'Adnkronos lo psichiatra Maurizio Pompili ha evidenziato come il rischio suicidio in carcere sia molto più elevato nelle prime fasi della detenzione. Secondo Pompili questo prescinde dalla lunghezza della pena e il sovraffollamento delle prigioni italiane non aiuta "anzi favorisce fenomeni imitativi. Chi assiste a un suicidio, infatti, e' traumatizzato e dunque piu' vulnerabile". Pompili, ricercatore della Sapienza di Roma e coordinatore del Centro prevenzione del suicidio all'ospedale Sant'Andrea, commentando i dati dell'Osservatorio permanente sulle carceri, secondo cui vi sarebbero stati ben 66 suicidi dall'inizio dell'anno fra i detenuti, sostiene che "il vero problema e' la mancanza di prevenzione: cosi', spesso, i suicidi in carcere sono morti annunciate. Questo perche' le comunicazioni o i segnali di allarme da parte del detenuto che si e' tolto la vita sono rimasti inascoltati". Ci sarebbe bisogno di linee quida e di una formazione mirata anche per gli agenti che, spiega Pompili, "hanno bisogno essi stessi di assistenza, dal momento che secondo i nostri dati risultano esposti al problema". Lo psichiatra sta ora portando avanti uno studio nel carcere di Rebibbia per cercare di individuare i fattori di rischio e di comprendere quale impatto possa avere su una persona il fatto di assistere a un suicidio. Dopo un esame di 300 detenuti afferma Pompili possiamo dire che "il fatto di essere testimoni di un tentativo di darsi la morte o di un suicidio vero e proprio ha un grandissimo impatto".
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