La Cassazione civile (sez. lavoro, n. 24091/2009) ribadisce che nel caso di licenziamento di un invalido per mancanza di posti compatibili con la sua menomazione, l'onere probatorio gravante sul datore di lavoro riguarda l'impossibilità di utilizzare il prestatore di lavoro licenziato in altre mansioni compatibili con la qualifica rivestita. E' stato, altresì, chiarito che la prova dell'impossibilità di utilizzare altrimenti il lavoratore deve essere riferita all'intera azienda (Cass. civ., sez. lav., 21 febbraio 1998, n. 1891), con la possibilità di ridistribuire gli incarichi tra i lavoratori già in servizio. Nella specie, va affermato il principio che se è vero, infatti, che il licenziamento dell'invalido assunto in base alla normativa sul collocamento obbligatorio segue la generale disciplina in tema di licenziamento quando è motivato con la sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso, è anche vero che il diritto dell'invalido di essere occupato nell'azienda alla quale è stato avviato ai sensi della legge n. 482 del 1968 trova un limite soltanto nella provata inesistenza, in tutto l'ambito aziendale, di mansioni in concreto allo stesso affidabili. Il licenziamento è legittimo solo ove vi sia la perdita totale di capacità lavorativa ovvero pericolo per la salute e l'incolumità degli altri lavoratori o per la sicurezza degli impianti, accertate da un'apposita commissione medica. Ove invece residui ancora una capacità lavorativa, sussiste in capo al datore di lavoro l'obbligo di adibirlo a mansioni equivalenti o anche inferiori compatibili col nuovo stato dell'infermità, se la struttura organizzativa dell'azienda o la situazione dell'organico aziendale lo consentano. Pertanto, il datore di lavoro presso è tenuto a ricercare all'interno dell'azienda mansioni compatibili con le condizioni sanitarie del lavoratore e a questo fine deve, se necessario, procedere alla redistribuzione degli incarichi tra i lavoratori già in servizio.
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