Con la sentenza n.564 depositata il 15 gennaio 2010, la Corte di cassazione ha respinto il ricorso proposta da una donna che richiedeva l'equo indennizzo per irragionevole durata del processo (eccependo la generica violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e della legge n.89 del 2001), stabilendo che "è inammissibile il motivo del ricorso per cassazione che si concluda con la formulazione di un quesito di diritto in alcun modo riferibile alla fattispecie o senza attinenza con il decisum". La Corte ha quindi escluso la proposizione dei quesiti di diritto che si risolvano in una "sintesi generica" e "prive di specificità individualizzante". La corte ha infatti affermato che "i quesiti proposti dal ricorrente consistono in formulazioni del tutto astratte e prive di aderenza con la ratio decidendi: come ad esempio, sulla necessità del rispetto della consolidata giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo".
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