La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14085 dell' 11 giugno 2010, ha riconosciuto che un lavoratore autonomo, nel caso di specie un consulente del lavoro, possa legittimamente pretendere il compenso per le attività, di natura fiscale e tributaria, svolte a vantaggio dei propri clienti pertanto, pur non essendo iscritto all'albo dei commercialisti, ha diritto ad agire nei confronti del cliente per riscuotere i propri compensi per la consulenza fiscale svolta in quanto tale attività non è riservata agli iscritti all'albo. La attività del consulente del lavoro non è circoscritta alla "cura di tutti gli adempimenti previsti dalle norme vigenti per l'amministrazione del personale dipendente, nonché allo svolgimento di ogni altra funzione ad essa "affine, connessa e conseguente". Tra le competenze del consulente del lavoro devono essere annoverate anche tutte quelle operazioni, che pur essendo di competenza di altre categorie, nel caso di specie i commercialisti, non risultano ad esse riservate in via esclusiva. I giudici di legittimità, pur riconoscendo che l'esecuzione di una prestazione d'opera professionale di natura intellettuale effettuata da chi non sia iscritto nell'apposito albo previsto dalla legge, comporta, ai sensi degli articoli 1418 e 2231 del Codice civile, una nullità assoluta del rapporto tra professionista e cliente, "privando il contratto di qualsiasi effetto, sicché il professionista non iscritto all'albo o che non sia munito nemmeno della necessaria qualifica professionale per appartenere a categoria del tutto differente, non ha alcuna azione per il pagamento della retribuzione, nemmeno quella sussidiaria di arricchimento senza causa", hanno altresì ribadito che, per stabilire se ricorra o meno la nullità prevista dall'art. 2231 Codice civile, occorre comunque verificare se la prestazione espletata dal professionista rientri in quelle attività che sono riservate in via esclusiva a una determinata categoria professionale.
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