Schema preliminare di svolgimento della traccia
‑ Brevi cenni sui dati salienti relativi alla configurazione della responsabilità civile della P.A.
‑ La responsabilità per beni demaniali tra art. 2043 ed art. 2051 c.c.
Svolgimento
Dottrina
Buffone, Il danno da mancata manutenzione del demanio stradale, in Resp. civ. e prev., 2009, 6, 1302.
D'Apollo, Danno da insidia stradale. La responsabilità civile del custode e della Pubblica Amministrazione, Padova, 2009.
Sangiorgio, Insidia stradale, se l'ente è privilegiato - Escluso il danno da cose in custodia, in D&G, 2005, 35, 16.
Giurisprudenza
Cass. Civ., Sez. III, 8/1/2010, n. 80
La Regione o la Provincia o l'Ente Parco o la Federazione o l'Associazione, aut similia, a cui siano stati affidati dalla legge o per delega i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata, è responsabile ex art. 2043 c.c. dei danni provocati dagli animali selvatici alla circolazione dei veicoli.
In particolare, in caso di poteri delegati (in subiecta materia: dalla Regione), la responsabilità sussiste se al gestore siano stati conferiti i poteri di autonomia decisionale sufficienti ad amministrare efficientemente i rischi di danno a terzi e poter adottare misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danni anche tramite segnaletica stante la prevedibilità del danno.Cass. Civ., Sez. III 20/11/2009, n. 24529
La responsabilità da cosa in custodia ai sensi dell'art. 2051 c.c. presuppone che il soggetto al quale la si imputa sia in grado di esplicare riguardo alla cosa stessa un potere di sorveglianza, di modificarne lo stato e di escludere che altri vi apporti modifiche.
In tema di responsabilità da cose in custodia, l'impossibilità di esercitare un potere di controllo sui beni demaniali non può ricollegarsi puramente e semplicemente alla notevole estensione del bene e all'uso generale e diretto da parte dei terzi - considerati meri indici di tale impossibilità - ma deve essere accertata all'esito di una complessa indagine condotta dal giudice di merito con riferimento al caso concreto tenendo conto non solo della estensione della strada, ma anche delle sue caratteristiche, della posizione, delle dotazioni e degli strumenti che il progresso tecnologico appresta.
Sussiste una responsabilità dell'ente custode del demanio stradale, ex art. 2051 c.c., con riferimento alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura o alle pertinenze della strada, indipendentemente della sua estensione.
Cass. Civ., Sez. III, 22/4/2009, n. 9560
Se il pedone cade sulla rampa d'accesso agli uffici comunali, spetta all'ente locale risarcire il danneggiato per l'incidente causato dall'ostacolo localizzato a terra (nella specie, la Corte ha respinto la tesi dell'amministrazione locale che aveva invocato la delibera comunale che imponeva il divieto di transito nell'area ai non autorizzati; il provvedimento, infatti, valeva per i soli veicoli e non per i pedoni, atteso che la rampa in oggetto era il tramite per accedere agli uffici dell'ente e costituiva una sorta d'interruzione del marciapiede).
Cass. Civ., Sez. III, 23/1/2009, n. 1691
La presunzione di responsabilità per il danno cagionato dalle cose che si hanno in custodia, stabilita dall'art. 2051 c.c., è applicabile nei confronti dei Comuni, quali proprietari delle strade del demanio comunale, pur se tali beni siano oggetto di un uso generale e diretto da parte dei cittadini, qualora la loro estensione sia tale da consentire l'esercizio di un continuo ed efficace controllo che sia idoneo ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per i terzi.
Cass. Civ., Sez. III, 9/10/2009, n. 24881
Il danneggiato che chiede il risarcimento per il pregiudizio sofferto in conseguenza dell'omessa o insufficiente manutenzione delle strade o di sue pertinenze, invocando la responsabilità della P.A., è tenuto, secondo le regole generali in tema di responsabilità civile, a dare la prova che i danni subiti derivino dalla cosa, in relazione alle circostanze del caso concreto. Tale prova consiste nella dimostrazione del verificarsi dell'evento dannoso e del suo rapporto di causalità con la cosa in custodia, e può essere data anche con presunzioni, giacché la prova del danno è di per sé indice della sussistenza di un risultato anomalo, e cioè dell'obiettiva deviazione dal modello di condotta improntato ad adeguata diligenza che normalmente evita il danno, non essendo il danneggiato viceversa tenuto a dare la prova anche della presenza di un'insidia o di un trabocchetto, estranei alla responsabilità ex art. 2051 c.c., o dell'insussistenza di impulsi causali autonomi ed estranei alla sfera di controllo propria del custode o della condotta omissiva o commissiva del medesimo. Facendo eccezione alla regola generale di cui al disposto degli art. 2043 e 2697 c.c., l'art. 2051 c.c. determina infatti un'ipotesi caratterizzata da un criterio di inversione dell'onere della prova, ponendo a carico del custode la possibilità di liberarsi dalla responsabilità presunta a suo carico mediante la prova liberatoria del fortuito, dando, cioè, la dimostrazione che il danno si è verificato in modo non prevedibile né superabile con lo sforzo diligente adeguato alle concrete circostanze del caso.
Cass. Civ., Sez. III, 18/2/2010, n. 2360
In tema di responsabilità da cose in custodia, non può escludersi l'applicazione dell'art. 2051 c.c. nel caso di incidente su rete autostradale a causa di "velocità non particolarmente moderata" pur in assenza di specifiche ragioni che la impongano, tenuto conto che è consentito ai normali utenti tenere in autostrada una velocità relativamente elevata.
Giudice di Pace di Fabriano, 17/11/2004
È l'ente gestore del parco l'unico soggetto obbligato nei confronti di chi abbia subito un danno all'interno del parco stesso.
Giudice di Pace di Fasano, 7/1/2010, n. 3
Sebbene la fauna selvatica rientri nel patrimonio indisponibile dello Stato, la legge n. 157 del 1992 ha attribuito alle Regioni l'emanazione di norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie di fauna selvatica, obbligandole, quindi, ad adottare le misure idonee ad evitare che detta fauna arrechi danni a terzi, pena la responsabilità dell'ente regionale al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c.
Legislazione correlata
Codice Civile, artt. 1218, 1225, 2043, 2051, 2056.
Legge 11 febbraio 1992, n. 157.
SVOLGIMENTO
Il caso sottoposto alla nostra attenzione impone una breve disamina dei profili di diritto attinenti alla responsabilità degli apparati pubblici per i beni demaniali.
Come noto, sussiste un contrasto in giurisprudenza circa la riconduzione di tale ipotesi di responsabilità nell'alveo della tutela predisposta dall'art. 2043 c.c. o piuttosto nell'ambito dell'art. 2051 c.c. che disciplina la responsabilità per cose in custodia.
Secondo l'orientamento prevalente in giurisprudenza, in ordine ai danni subiti dall'utente in conseguenza dell'omessa o insufficiente manutenzione di strade pubbliche, il referente normativo non può essere costituito dall'art. 2051 c.c., perché questa norma trova come suo presupposto applicativo l'esistenza di una relazione di custodia tra il soggetto responsabile e il bene, intesa come effettivo potere fisico di governo e di uso della cosa che comporta conseguentemente un potere-dovere di vigilanza sulla cosa medesima per evitare che essa determini danno a terzi.
Tale presupposto non può invece ritenersi sussistente in quanto le strade pubbliche, in ragione della loro estensione e dell'apertura all'uso generale e diretto da parte dell'utenza, non consentono alla P.A. proprietaria (o al concessionario) di esercitarvi una vigilanza idonea ad evitare l'insorgenza di situazioni di pericolo.
La P.A., a determinate condizioni, potrà invece essere ritenuta responsabile sulla scorta della previsione dell'art. 2043 c.c.
Secondo un orientamento originariamente minoritario, la responsabilità della P.A. per i danni connessi a cattiva manutenzione della strada è, invece, riconducibile all'art. 2051 c.c., essendo ipotizzabile il presupposto di tale forma di responsabilità, vale a dire il rapporto custodiale.
L'accoglimento dell'uno o dell'altro orientamento comporta rilevanti conseguenze applicative in tema di onere della prova: infatti, mentre l'art. 2043 c.c., in applicazione delle regole generali in tema di onere della prova, comporta l'onere per il danneggiato di provare la colpa del danneggiante, l'art. 2051 c.c. determina un'inversione dell'onere della prova in quanto sarà il danneggiante che dovrà, per esonerarsi da responsabilità, provare il caso fortuito ossia, secondo la tesi della responsabilità per colpa presunta, la propria mancanza di colpa in ragione del verificarsi di un evento imprevedibile ed imprevenibile usando l'ordinaria diligenza, o, secondo la tesi della responsabilità oggettiva, un evento interruttivo del nesso di causalità.
L'orientamento prevalente, tuttavia, afferma che la P.A. è tenuta a far sì che il bene demaniale non presenti per l'utente una situazione di pericolo occulto, cioè non visibile e non prevedibile: si parla in proposito di insidia o trabocchetto stradale. La responsabilità della P.A. ex art. 2043 c.c., pertanto, secondo questo orientamento ricorre soltanto a condizione che il danneggiato provi l'esistenza di una situazione insidiosa caratterizzata dal doppio e concorrente requisito della non visibilità (elemento oggettivo) e della non prevedibilità (elemento soggettivo). In particolare, costituisce insidia stradale ogni situazione di pericolo che l'utente medio non é in grado di prevedere facendo uso della normale diligenza, per cui l'ente potrebbe esonerarsi da responsabilità dimostrando che "nonostante l'obiettiva esistenza dell'insidia, l'utente fosse soggettivamente in grado di prevederla e di evitarla".
La giurisprudenza ha anche precisato che allorquando in seguito all'accertamento del giudice di merito venga esclusa la sussistenza dell'insidia, in funzione dell'accertata visibilità ed evitabilità dell'ostacolo, non costituisca fonte di responsabilità la violazione degli obblighi di segnalazione e manutenzione da parte dell'ente.
Il presupposto dell'insidia o trabocchetto è stato riconosciuto, tra l'altro, in caso di segnalazione erronea o contraddittoria che ponga gli utenti nell'impossibilità di discernere tempestivamente il segnale valido e di regolare, di conseguenza, la propria condotta.
Questo orientamento giurisprudenziale è stato criticato dalla dottrina, perché individua un criterio tassativo e speciale di imputazione della responsabilità alla P.A., determinando una deroga all'art. 2043 c.c. in ragione della limitazione della responsabilità alla sola colpa grave (mentre l'art. 2043 c.c. non effettua alcuna graduazione della colpa): infatti, l'insidia o trabocchetto essendo connotate dai requisiti della invisibilità ed imprevedibilità, costituiscono manifestazione di colpa grave (alcuni parlano di colpa macroscopica) della P.A.
Recentemente, l'orientamento giurisprudenziale volto ad escludere l'applicabilità dell'art. 2051 c.c. in relazione alla ricorrenza dei presupposti della demanialità o patrimonialità del bene, della sua notevole estensione e dell'uso diretto da parte della collettività è stato rivisitato: da ultimo si ritiene che tali elementi siano soltanto indici sintomatici dell'impossibilità di esercizio da parte della P.A. di un controllo adeguato, ma non lo attestano in modo inconfutabile. Ai fini della valutazione dell'impossibilità o meno di svolgere un continuo e efficace controllo dovrà tenersi conto altresì delle caratteristiche della strada, delle dotazioni, dei sistemi di assistenza, degli strumenti che il progresso tecnologico volta a volta appresta. Pertanto per le autostrade, per esempio prorio perché connotate per loro natura dalla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, l'apprezzamento relativo alla effettiva possibilità del controllo alla stregua degli indicati parametri non può che condurre a conclusioni in via generale affermative, e dunque a ravvisare la configurabilità di un rapporto di custodia per gli effetti dell'art. 2051 c.c.
Questa impostazione è stata accolta dalla giurisprudenza successiva la quale ha chiarito che, nei casi in cui la responsabilità della P.A. possa rientrare nell'ambito applicativo dell'art. 2051 c.c., il danneggiato non dovrà più provare l'insidia o trabocchetto, ma soltanto l'evento dannoso e il nesso di causalità tra la cosa e il danno stesso. L'ente gestore, per andare esente da responsabilità, dovrà invece provare il caso fortuito, ossia un evento estraneo alla propria sfera di pertinenza ed avente caratteri tali d'imprevedibilità ed inevitabilità da porsi come causa esclusiva del danno.
La giurisprudenza della Cassazione ha in proposito precisato che, ai fini della prova liberatoria, deve essere operata una distinzione tra situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura o alle pertinenze del bene demaniale o patrimoniale di cui trattasi, e quelle originantesi da comportamenti riferibili agli utenti ovvero da una repentina o imprevedibile alterazione dello stato della cosa.
Con riferimento alla prima ipotesi, la prova liberatoria dovrà spingersi alla dimostrazione dell'espletamento da parte dell'ente della normale attività di vigilanza e manutenzione, esigibile in relazione alla specificità della cosa. Tale prova può anche essere ricavata in via indiretta, cioè per presunzione attraverso la prova del caso fortuito come evento non prevedibile né evitabile mediante il corretto assolvimento dell'obbligo di custodia.
Con riferimento alla seconda ipotesi descritta, la prova liberatoria verte sulla dimostrazione del caso fortuito, dovendosi dimostrare l'inesigibilità di un intervento dell'ente, nell'espletamento della custodia, volto a rimuovere la situazione pericolosa o segnalarla agli utenti, nel lasso di tempo fra il verificarsi della situazione pericolosa e l'evento dannoso, sì che possa concludersi che quest'ultimo è dipeso da caso fortuito, nel senso che il bene sia stato solo occasione e dell'evento avendo contribuito a determinarlo senza assumere rilievo, in dipendenza dell'indicato fattore temporale, in quanto bene soggetto a relazione di custodia.
Premesso che l'obbligo di manutenzione delle strade pubbliche in capo alla P.A., quale proprietaria, discende non solo da specifiche norme ma anche dal generale obbligo di custodia, il danneggiato dovrà limitarsi a provare che il danno deriva dalla cosa. Spetta invece al presunto responsabile dare la prova della sua mancanza di colpa.
Riguardo poi allo specifico problema dell'attraversamento da parte di animali selvatici della carreggiata stradale aperta al traffico veicolare, va premesso che il caso in esame può essere risolto, sulla base dei principi generali in tema di illecito civile di cui agli art. 2043 ss. c.c.: materia su cui le leggi speciali, statali e regionali, che regolano competenze e responsabilità dello Stato e degli enti locali, nulla dispongono espressamente (sull'evoluzione della normativa in materia cfr. Cass. Civ., Sez. III, 12 agosto 1991, n. 8788).
La legge 11 febbraio 1992, n. 157 (art. 26) dispone che sia costituito un apposito fondo regionale per il risarcimento dei c.d. danni non altrimenti risarcibili, cioè dei danni arrecati dagli animali alle coltivazioni ed ai fondi agricoli che non siano imputabili a colpa di alcuno, il rischio del cui verificarsi sia inevitabilmente collegato alla stessa esistenza della fauna selvatica.
Analoghe disposizioni sono contenute nelle diverse leggi regionali.
Da tali disposizioni, tuttavia, non si possono trarre indicazioni quanto alla disciplina applicabile ai danni a terzi, ed in particolare ai casi, oggi frequenti, di danni alla circolazione stradale: né quanto all'ente responsabile, né quanto ai criteri di imputazione della responsabilità.
La disciplina applicabile deve essere ricostruita sulla base dei principi generali in tema di responsabilità civile, che impongono di individuare il responsabile dei danni nell'ente a cui siano concretamente affidati, con adeguato margine di autonomia, i poteri di gestione e di controllo del territorio e della fauna ivi esistente, e che quindi sia meglio in grado di prevedere, prevenire ed evitare gli eventi dannosi del genere di quello del cui risarcimento si tratta.
Nel caso in esame si tratta di stabilire se tali poteri spettino alla Regione o alla Provincia (o ad entrambe): problema da risolvere avendo riguardo sia alle leggi nazionali che regolano le rispettive competenze, sia alle leggi della regione interessata; il problema è quindi suscettibile di diversa soluzione, nell'ambito delle diverse regioni.
L'art. 14 della legge 8 giugno 1990 n. 142 sulle autonomie locali attribuisce alle Province le funzioni amministrative che attengano a determinate materie, fra cui la protezione della fauna selvatica (1° comma lett. f), nelle zone che interessino in parte o per intero il territorio provinciale.
La legge 11 febbraio 1992 n. 157, destinata a regolare la protezione della fauna selvatica, attribuisce alle Regioni a statuto ordinario il compito di "emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie di fauna selvatica" (art. 1, 1° comma) e dispone che le Province attuano la disciplina regionale "ai sensi dell'art. 14, 1° comma lett. f) della legge 8 giugno 1990 n. 142" (art. 1, 3° comma), cioè in virtù dell'autonomia ad esse attribuita dalla legge statale; non per delega delle Regioni.
Da tali disposizioni si desume che la Regione ha una competenza essenzialmente normativa, mentre alle Province spetta l'esplicazione delle concrete funzioni amministrative e di gestione, nell'ambito del loro territorio.
Per quanto poi concerne la Regione, alcune leggi regionali hanno attribuito alle Province tutti i compiti rilevanti ai fini della gestione della fauna selvatica: l'istituzione delle oasi di protezione e la loro soppressione; l'istituzione e la soppressione delle zone di ripopolamento e di cattura; l'immissione di nuovi capi; la determinazione della superficie adeguata alle esigenze biologiche degli animali; la realizzazione delle attrezzature e degli interventi tecnici atti a perseguire gli scopi di protezione e di incremento delle specie; attività tutte che possono comportare maggiori o minori rischi di interferenze degli animali con le attività esterne, in relazione alle modalità con cui vengano esplicate.
Si è, inoltre, previsto che le Province stipulino apposite polizze assicurative per il risarcimento dei danni.
Pertanto, è da escludere che la disciplina regionale, ove emanata, possa esser applicabile a qualunque fattispecie di danni, ivi incluse quelle da illecito civile. Essa infatti è inclusa all'interno di disposizioni di diritto speciale, destinate a regolare i particolari casi di danno alle coltivazioni, ed appare arbitrario estenderne oltre questi limiti l'ambito di applicazione.
Tuttavia, pur nell'ambito dei danni non altrimenti risarcibili, si riconosce che l'ente gestore del territorio, tenuto all'indennizzo e interessato alla stipula dell'assicurazione, è la Provincia, pur se essa può' provvedere anche tramite l'utilizzazione di fondi regionali (cfr., Cass. Civ., Sez. III, 17 dicembre 2007 n. 26536).
Tuttavia ove la Regione affidi ad un concessionario la gestione di attività di propria competenza, sul concessionario grava la stessa responsabilità civile propria del concedente (Corte di Cassazione, n. 8788/1991), così come va individuata nel concessionario la posizione di soggetto passivo dell'azione di responsabilità, per i danni arrecati a terzi (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 12 agosto 1991 n. 8788).
Altre volte la responsabilità, della Regione è stata affermata (Cass. Civ., Sez. III, 13 dicembre 1999 n. 13956) in un caso in cui non si poneva alcun problema di rapporti con la Provincia o di gestione della fauna tramite altri enti ma la Regione invocava la responsabilità dello Stato, quale proprietario degli animali, e comunque negava di essere tenuta a rispondere per danni diversi da quelli arrecati alle coltivazioni.
Parimenti, la giurisprudenza successiva, quando ha affrontato il problema del conflitto fra la responsabilità della Regione e quella di altro ente concessionario della gestione degli animali, si è uniformata ai principi di cui sopra.
In tema di danni arrecati dagli animali selvatici alla produzione agricola, si è affermato che il risarcimento va chiesto alla Regione, a norma dell'art. 26 legge n. 157/1992, trattandosi di fattispecie diversa da quella della responsabilità aquiliana, ma che - con riferimento a quest'ultima - non si può in astratto escludere che dei danni debba rispondere l'autore, da individuarsi in base ai principi di cui agli art. 2043 ss. c.c. (Cass. Civ., Sez. III, 28 luglio 2004 n. 14241), ribadendo così la regola già applicata in concreto da Cass. n. 8788/1991 cit.
In altro caso è stata ritenuta direttamente responsabile la Provincia, anziché la Regione, con riguardo all'erogazione degli indennizzi gravanti sul fondo regionale, in considerazione del fatto che i poteri connessi erano esercitati dalla Provincia (Cass. Civ. n. 26536/2007 cit., con riferimento ai danni alle coltivazioni).
In sintesi, è da ritenere che la responsabilità aquiliana per i danni a terzi debba essere imputata all'ente, sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione, ecc., a cui siano stati concretamente affidati, nel singolo caso, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata, con autonomia decisionale sufficiente a consentire loro di svolgere l'attività in modo da poter amministrare i rischi di danni a terzi che da tali attività derivino.
In conclusione ove la legge Regionale abbia effettivamente attribuito alle Province la quasi totalità dei poteri di amministrazione della fauna selvatica, nell'ambito del loro territorio, allora non può addebitarsi esclusivamente alla Regione la responsabilità di danni potenzialmente e in astratto imputabili alle attività amministrative svolte dalla Provincia.
La giurisprudenza ha inoltre disatteso la tesi secondo cui la Regione dovrebbe essere tenuta comunque responsabile, quale ente che ha delegato i suoi poteri alla Provincia, poiché la delega non fa venir meno la titolarità dei poteri medesimi e deve essere esercitata secondo le direttive dell'ente delegante.
In primo luogo, l'esercizio di funzioni o di attività per delega di altri non vale di per sé ad escludere la responsabilità del delegato per i danni arrecati a terzi, ove il delegato goda di autonomia di valutazioni e di scelte, rispetto al delegante, sufficiente a ricondurre alla sua personale decisione il comportamento produttivo di danno.
Per ravvisare la responsabilità esclusiva del delegante, in tema di illecito civile, occorrerebbe dimostrare che il comportamento del delegato è stato interamente vincolato dalle direttive del primo (arg. art. 1390, 1391 c.c.). Ed anche in questi casi, il principio non potrebbe essere affermato in assoluto ed in relazione a qualunque illecito, non essendo comunque consentito a chi agisca per delega di tenere consapevolmente comportamenti produttivi di danni a terzi, senza incorrere quanto meno in una responsabilità concorrente con quella del delegante.
In secondo luogo, si è detto che l'art. 14, 1° comma lett. f, legge n. 142/1990 attribuisce alle Province, nell'ambito del proprio territorio, una competenza propria in materia di fauna selvatica; che le Regioni approvano le norme relative alla gestione e alla tutela della fauna, e che le Province attuano tali norme, ai sensi del citato art. 14 (art. 1, 1° comma legge n. 157/1992), cioè nel quadro di una competenza propria.
In tale contesto, la responsabilità della Regione potrebbe essere coinvolta solo se l'evento dannoso fosse riconducibile all'attuazione da parte della Provincia di specifiche norme regionali; non invece ove si tratti di danni inerenti all'esercizio di attività meramente amministrative, quali il controllo sugli animali e sul territorio, l'apposizione sulle strade di specifica segnaletica per gli automobilisti, e attività simili, relativamente alle quali le decisioni su come agire spettano esclusivamente o prevalentemente alla Provincia.