Con la sentenza n. 37091/2010 il Tar Lazio ha stabilito che l'azienda, responsabile di un'attività pubblicitaria ingannevole, ha diritto alla riduzione della sanzione se pone in essere una condotta collaborativa. I giudici di legittimità sono arrivati alla decisione sulla base della legge n. 689/81, nel cui art. 11 è prevista la valutazione della condotta (collaborativa o meno) dell'autore dell'illecito nel momento in cui si deve irrogare la sanzione. Secondo la ricostruzione della vicenda, un'azienda aveva pubblicizzato un prodotto senza che questo avesse davvero le caratteristiche illustrate nel pieghevole distribuito nei punti vendita. In seguito al reclamo di un cliente però, l'azienda si era adoperata per limitare le conseguenze dell'attività fraudolenta e aveva, in seguito, firmato una transazione con l'utente davanti al giudice di pace. Accogliendo il ricorso della società avverso la sanzione, i giudici della prima sezione del Tar Lazio, riducendo la sanzione da 50.000 a 30.000 euro e precisando che nell'irrogare la sanzione l'autorità amministrativa indipendente non ha tenuto conto neanche delle "condizioni economiche dell'agente" nell'irrogare la sanzione (il bilancio al 31.12.2007 indica un utile di esercizio di € 112.911, pari a poco più del doppio dell'ammontare della sanzione irrogata), hanno spiegato che "l'Autorità non ha considerato nella quantificazione della sanzione "l'opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione". Infatti, anche a voler prescindere dalla circostanza secondo cui la campagna pubblicitaria è stata interrotta prima della segnalazione all'Autorità, la ricorrente ha, sia pure in parte, documentato l'accordo transattivo con la consumatrice reclamante, per cui, in relazione a tale aspetto, può ritenersi integrata la fattispecie della condotta volta ad attenuare le conseguenze della violazione. Di talchè, in relazione ai suddetti profili di cui l'AGCM non ha tenuto conto nella quantificazione della sanzione, la censura si rivela fondata. La censura, in altri termini, dà conto dell'illegittima determinazione della sanzione in quanto avvenuta con riferimento solo ad alcuni dei criteri previsti dall'art. 11 l. 689/1981, mentre il riferimento ad altri criteri, ove opportunamente apprezzati, avrebbe potuto condurre alla determinazione di una sanzione pecuniaria meno severa. Il Collegio, nell'esercizio del potere giurisdizionale di merito previsto dall'art. 134, lett. c), del codice del processo amministrativo ritiene equa l'irrogazione alla ricorrente di una sanzione pecuniaria di € 30.000 in luogo della sanzione di € 50.000 irrogata dall'Autorità con il provvedimento impugnato".
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