L'obiettivo europeo di tassare le multinazionali - molte delle quali sono aziende tecnologiche americane - è stato oggetto di molte discussioni nel corso dell'ultimo anno. Mentre colossi del Tech di fama mondiale come Google, Amazon e Apple, per citarne alcuni, si stanno espandendo in ogni continente dando vita ad una sorta di impero del digitale, i responsabili politici sono costantemente impegnati in una dura battaglia nel tentativo di raccogliere i frutti dell'enorme successo di questi giganti, vere e proprie "galline dalle uova d'oro". Le industrie del Tech sono di solito tra le prime ad essere sospettate di tassazione corretta, e non senza ragione. E' ad esempio noto che alcune grandi aziende tecnologiche reindirizzano i propri profitti attraverso complessi meccanismi di elusione fiscale, riuscendo quindi a pagare meno tasse a livello globali, attraverso trasferimenti alle Bermuda, dove non esiste l'imposta sulle società. Non c'è forse da meravigliarsi che la politica si stia così appassionando alla materia.
L' ultimo tentativo di imporre nuovi metodi di tassazione sulle società estere del web, viene dall'Italia, con una proposta legislativa soprannominata "Google Tax" o "Web Tax". L'intento, sarebbe quello di aumentare le entrate provenienti da aziende online che pubblicizzano in Italia e di chiedere loro di creare entità imponibili in Italia. La prima versione del disegno di legge, poi edulcorata, includeva nei processo fiscale beni venduti e acquistati on-line ma da allora è stata modificata per escludere tali beni e renderla più "digeribile" (in seguito a tali modifiche è stata ribattezzata "Spot Tax"). Nel provvedimento approvato nella notte di Mercoledì, rimane l'obbligo di partita Iva per la pubblicità online e per il diritto d'autore. Questo significa che le vendite di spazi pubblicitari in rete saranno tassate in Italia (e non all'estero come accadeva prima).
L'Italia non è la sola a seguire una simile direzione: la Francia ha infatti chiesto alla Commissione europea all'inizio di quest'anno di elaborare parametri specifici per la tassazione di imprese tecnologiche degli Stati Uniti. Ma la natura della legge, nonostante la sua riscrittura e l'eliminazione della clausola principale presente nel testo originale del provvedimento, che tanto ha fatto discutere - ovvero l'obbligo da parte delle società che effettuano commercio elettronico (come Amazon), di aprire partita Iva italiana in modo da dover fatturare nel nostro Paese i profitti derivanti dall'attività -, è di fatto rimasta la stessa, dal momento che sancisce che gli spazi pubblicitari in rete, così come i link sponsorizzati, siano necessariamente comprati da soggetti titolari di partita Iva rilasciata da amministrazioni finanziaria italiana. Questo potrebbe tradursi in una forte penalizzazione del nostro mercato rispetto all'Europa. Per quanto legittima nel merito e sul piano della finalità, poiché tesa ad individuare le evasioni fiscali dei colossi del Web, tale emendamento finirebbe per colpire tutti indistintamente, e soprattutto le realtà più piccole della rete, come le start-up.
Secondo i sostenitori del disegno di legge, il dispositivo potrebbe portare 1000000000 € di entrate supplementari all'anno. Il progetto, incluso nella Legge Finanziaria 2014, dovrà essere sottoposto al voto del Senato prima di Natale. Dopo dubbi, polemiche, dispute e ripensamenti, ci hanno pensato i rappresentanti UE ad esprimere la propria preoccupazione circa la legittimità della proposta di legge giudicandola contraria "alle libertà fondamentali e ai principi di non-discriminazione dei trattati". Lo stesso neo-segretario Pd, Matteo Renzi, aveva ammonito: "rischiamo di dare l'immagine di un paese che rifiuta l'innovazione". "Abbiamo seri dubbi circa l' emendamento in quanto è oggi, perché sembra andare contro le libertà fondamentali e dei principi di non discriminazione sancito dai trattati ", ha reso noto Emer Traynor , portavoce di Semeta commissario europeo per la fiscalità. L'emendamento porrebbe l'Italia in una posiziona diversa rispetto agli altri paesi europei, ponendosi nettamente in contrasto con i principi del mercato unico europeo. Ma nonostante le critiche e l'ammonimento dell'Europa, il fautore del provvedimento, il presidente della commissione Francesco Boccia (Pd) non sembra intenzionato a fare passi indietro e, anzi, ribadisce: "Chiariamolo: non ci sono nuove tasse" ma dei meccanismi per tracciare le vendite realizzate dalle multinazionali in Italia. "Il termine web-tax gli è stato appiccicato addosso".