di Marco Massavelli - La confessione resa nel Cid dal responsabile del sinistro e proprietario del veicolo non ha valore di piena prova nemmeno nei suoi confronti ma è soggetta alla libera valutazione del giudice.
È il principio di diritto enunciato dalla VI sezione della Corte di Cassazione civile, con l'ordinanza n. 3875 del 19 febbraio 2014.
In particolare, richiamando la giurisprudenza in materia e riportandosi espressamente a quanto affermato dalle Sezioni Unite (con sentenza n. 10311/2006), la S.C. ha ribadito che "la dichiarazione confessoria, contenuta nel modulo di constatazione amichevole del sinistro (cosiddetto C.I.D.), resa dal responsabile del danno, proprietario del veicolo assicurato e litisconsorte necessario, non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del solo confitente, ma deve essere liberamente apprezzata dal giudice, dovendo trovare applicazione la norma di cui all'art. 2733, terzo comma, cod. civ., secondo la quale, in caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa soltanto da alcuni dei litisconsorti è, per l'appunto, liberamente apprezzata dal giudice"; confermando che tale principio va esteso alla confessione giudiziale del responsabile del danno.
Tra l'altro, la Corte ha, altresì, precisato che, a maggior ragione, nell'ipotesi in cui la dichiarazione giudiziale non è resa da litisconsorte necessario, ma trattasi di semplice confessione del conducente della vettura assicurata, non proprietario della medesima, "è corretta l'attribuzione alla confessione del valore di prova legale soltanto nei confronti del confitente".
Nel caso di specie, il conducente del veicolo protagonista del sinistro, che aveva dichiarato, nella compilazione del Cid la propria responsabilità nella causazione dell'evento dannoso (avallata da un testimone amico dello stesso), non era, infatti, il proprietario della vettura e quindi, litisconsorte necessario nella causa di risarcimento del danno da incidente stradale.
Per cui la Corte, ha dichiarato inammissibili le censure mosse dal ricorrente in ordine alla motivazione del giudice del merito, viziata sulla valutazione della prova testimoniale, nonché le richieste di nuovo esame della stessa, nel senso di attribuire maggiore attendibilità al teste (legato dal rapporto di amicizia col conducente) e svalutare, invece, la portata delle deposizioni degli altri testimoni, poiché basate su scritti preparati senza il consenso del giudice. Ha, quindi, rigettato il ricorso, ribadendo l'insindacabilità della valutazione operata dal giudice del merito, laddove sorretta da congrue e logiche motivazioni (come nel caso di specie, fondate sul dato di fatto oggettivo del rapporto, quanto meno, di conoscenza tra il teste e le parti e la mera conferma scritta dei dati precedentemente forniti oralmente dagli altri testimoni), con conseguente condanna, a carico del confitente, al risarcimento del danno causato dal sinistro stradale.
È il principio di diritto enunciato dalla VI sezione della Corte di Cassazione civile, con l'ordinanza n. 3875 del 19 febbraio 2014.
In particolare, richiamando la giurisprudenza in materia e riportandosi espressamente a quanto affermato dalle Sezioni Unite (con sentenza n. 10311/2006), la S.C. ha ribadito che "la dichiarazione confessoria, contenuta nel modulo di constatazione amichevole del sinistro (cosiddetto C.I.D.), resa dal responsabile del danno, proprietario del veicolo assicurato e litisconsorte necessario, non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del solo confitente, ma deve essere liberamente apprezzata dal giudice, dovendo trovare applicazione la norma di cui all'art. 2733, terzo comma, cod. civ., secondo la quale, in caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa soltanto da alcuni dei litisconsorti è, per l'appunto, liberamente apprezzata dal giudice"; confermando che tale principio va esteso alla confessione giudiziale del responsabile del danno.
Tra l'altro, la Corte ha, altresì, precisato che, a maggior ragione, nell'ipotesi in cui la dichiarazione giudiziale non è resa da litisconsorte necessario, ma trattasi di semplice confessione del conducente della vettura assicurata, non proprietario della medesima, "è corretta l'attribuzione alla confessione del valore di prova legale soltanto nei confronti del confitente".
Nel caso di specie, il conducente del veicolo protagonista del sinistro, che aveva dichiarato, nella compilazione del Cid la propria responsabilità nella causazione dell'evento dannoso (avallata da un testimone amico dello stesso), non era, infatti, il proprietario della vettura e quindi, litisconsorte necessario nella causa di risarcimento del danno da incidente stradale.
Per cui la Corte, ha dichiarato inammissibili le censure mosse dal ricorrente in ordine alla motivazione del giudice del merito, viziata sulla valutazione della prova testimoniale, nonché le richieste di nuovo esame della stessa, nel senso di attribuire maggiore attendibilità al teste (legato dal rapporto di amicizia col conducente) e svalutare, invece, la portata delle deposizioni degli altri testimoni, poiché basate su scritti preparati senza il consenso del giudice. Ha, quindi, rigettato il ricorso, ribadendo l'insindacabilità della valutazione operata dal giudice del merito, laddove sorretta da congrue e logiche motivazioni (come nel caso di specie, fondate sul dato di fatto oggettivo del rapporto, quanto meno, di conoscenza tra il teste e le parti e la mera conferma scritta dei dati precedentemente forniti oralmente dagli altri testimoni), con conseguente condanna, a carico del confitente, al risarcimento del danno causato dal sinistro stradale.
Vai al testo della sentenza 3875/2014
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