Di Massimiliano Pagliaccia
Se partiamo dal presupposto di Legge (che è poi una vera e propria norma giuridica, di rango costituzionale ed al buon Giurista ben nota!!!) che il Giudice è soggetto soltanto alla Legge, anche viste le azioni di responsabilità che lo stesso Procuratore Generale presso la Corte Suprema di Cassazione (e/o il Ministro della Giustizia) possono esercitare nei confronti di qualsiasi Magistrato sia esso requirente o giudicante, nel nostro ordinamento non può di certo passare il messaggio che l'Arbitro rituale sia svincolato da qualsiasi tipologia di responsabilità sia essa penale o civile.
Se ciò fosse, il Giudice che è pur sempre un Magistrato, ergo rappresentante o detentore o che dir si voglia di uno dei poteri fondamentali dello Stato, avrebbe maggiori vincoli e "pensieri per la testa" rispetto ad un Professionista il quale, sebbene anche lui in possesso dei requisiti di professionalità richiesti dalla Legge per l'esercizio della funzione giurisdizionale ( seppure in via privata), risulta essere nient'altro che un mero imprenditore
svincolato anche dagli stessi requisiti di indipendenza, imparzialità ed autonomia che invece sono propri delle Autorità Giudiziarie di cui trattasi.Proprio a tale fine infatti, il legislatore in sede ordinaria, ha inserito alcuni articoli nel Codice di procedura civile
che disciplinano i casi di responsabilità degli Arbitri, i quali ci rammentano in estrema sintesi che ‘'gli arbitri rituali rispondono per dolo o colpa grave per gli inadempimenti degli obblighi loro imposti dalla Legge, salvo che dimostrino di essere esenti da responsabilità ( e purché questa sia scusabile secondo anche il tenore dell'art. 1176 del codice civile!!)'.Come più volte ribadito dalla stessa Corte Suprema di Cassazione infatti, il potere decisionale dell'Arbitro rituale non deriva solamente dalla Legge (cioè dalle norme del Codice di Procedura Civile) ma anche e soprattutto dalla clausola compromissoria ovvero dal compromesso (sottoscritto dalle parti), che conferisce lui tale potere ( lo stesso vale nel caso in cui la sua designazione è deferita ad un Organo terzo, rispetto alle parti).
Il Codice di procedura civile conferisce ( come logico!) all'Arbitro rituale la facoltà di accettare o meno l'incarico ( trattasi pur sempre di incarico professionale) ma in caso di accettazione di questo, quale contraltare del potere decisionale lui conferito e della cognizione sulla singola controversia a lui deferita, impone sul suo operato il rispetto di una serie di obblighi, obbligazioni e doveri di fare e di dare - non certo esclusi quelli di diligenza e buona fede che regolano qualsivoglia tipologia di rapporto contrattuale - la violazione dei quali legittima- nei casi di dolo o colpa grave - la parte privata ( sia esso ricorrente o resistente in arbitrato) che ritiene di avere subito un danno non solo a proporre le comuni ‘'impugnazioni del lodo arbitrale' dinanzi alla Corte d'Appello successivamente adita o l'azione di responsabilità (e previste dal Codice di rito) ma anche ad intraprendere nei confronti degli Arbitri un'ulteriore azione risarcitoria in sede civile ( in tale caso senza dovere attendere le tempistiche previste dalle norme sull'azione di responsabilità!) ovvero, nei casi più gravi in sede penale.
Tali "ulteriori azioni", le quali seppure non previste direttamente dagli articoli dettati in materia di arbitrato dal CPC, debbono essere desunte per via interpretativa dall'intero assetto normativo.
Senza poterci considerare fuori luogo rispetto all'assetto normativo medesimo, le azioni risarcitorie ‘'ulteriori' debbono farsi discendere da due norme di Legge ordinaria specifiche e ‘'supreme' rispetto all'intero ordinamento
giuridico, l'art. 1218 cod. civ. e l'art. 1176 cod. civ.. Una volta accettato l'incarico contrattuale infatti, l'Arbitro rituale risulta essere
assoggettato lui stesso alla "Legge" (oltre che alle singole regole del "gioco processuale" che le parti si sono date) ed in particolare dovrà adempiere al proprio incarico contrattuale mediante l'emissione di un vero e proprio dictum ( la Corte Suprema di Cassazione a Sezioni Unite ce lo rammenta nella sentenza n. 9839/2011) quale "contropartita" ergo ( e propriamente detta) obbligazione corrispettiva del suo ‘'diritto all'onorario'( art. 814 Cpc), in base dunque all'art. 1218 cod.civ. perché con l'accettazione del suo incarico l'Arbitro rituale, ha de facto sottoscritto - o comunque stipulato altrimenti - un contratto a prestazioni corrispettive con le parti in causa.
L'interpretazione nomofilattica del Supremo Consesso di Piazza Cavour, fornitoci con l'illuminante e per nulla esegetica Sentenza delle Sezioni Unite n. 9839/2011, non solo avalla ma compendia appieno tale ricostruzione interpretativa.
Seppure è in apparenza banale ripetere al Giurista le conseguenze dell'inadempimento contrattuale derivante dalla violazione dell'art. 1218 cod. civ. dobbiamo però rammentare che questo comporta l'obbligo di risarcimento del danno, da intendersi - lato senso - quale risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali ( diretti ed indiretti) cagionati dall'Arbitro rituale alle parti non solo nel caso in cui non emetta la statuizione arbitrale definitiva ( il lodo) ma anche nel caso in cui per negligenza, imprudenza e/o imperizia ometta l'emissione di provvedimenti interlocutori o intermedi (ordinanze) .
Ulteriore corollario impostoci dalle regole dell'interpretazione sistematica è che l'Arbitro rituale deve adempiere ai doveri del proprio Ufficio di diritto civile garantendo alle parti quella "diligenza, perizia e professionalità" che sono dovute ad un comune Cliente da un Avvocato, da un Dottore Commercialista, da un Ingegnere o altro libero professionista, in base all'art. 1176 del Codice civile, sforzandosi da ultimo - ma non per ordine di importanza- di donare al proprio operato quell'indipendenza ed imparzialità che garantirebbero maggiore rigore, controllabilità nonché Giustizia in senso lato a quella "statuizione che ha il potere di vincolare le parti contendenti e quindi incidere in via tendenzialmente definitiva nelle loro sfere giuridiche".
Massimiliano Pagliaccia