di Marlène Giuliani - Continua l'offensiva della politica economica d'oltralpe nei confronti dell'industria italiana.
Nel caso di specie si tratta dell'industria delle telecomunicazioni.
Vivendi, società impegnata nei media, guidata dal finanziere bretone Vincent Bollorè ha rastrellato nei primi giorni del mese di dicembre 2016 sul mercato una grande quantità di azioni Mediaset (società controllata appartenente al gruppo Fininvest); salendo dalla soglia rilevante del 3% al 28,8% delle azioni con diritto di voto della holding.
Un comportamento così aggressivo da parte di Vivendi ha spinto i vertici di Mediaset a ricorrere immediatamente alle autorità giudiziarie ed amministrative per sentire riconosciute le proprie ragioni.
L'excursus
La vicenda si presenta complicata sotto diversi aspetti.
Secondo gli accordi della primavera scorsa Mediaset avrebbe dovuto trasferire a Vivendi il 100% delle azioni di Mediaset premium e ci sarebbe stato uno scambio azionario del 3,5% tra i gruppi Fininvest e Vivendi.
A seguito di un repentino cambio di rotta da parte della futura cessionaria giustificato da un presunto "irrealistico" business plan della pay-tv, Vivendi è passata all'offensiva proponendo al colosso italiano di voler acquistare solo il 20% delle azioni di Mediaset premium (piuttosto che il 100% inizialmente concordato) e confermando lo scambio azionario del 3,5% tra i gruppi; manifestando altresì la volontà imprevista e imprevedibile di salire nell'arco di tre anni al 15% del capitale di Mediaset attraverso l'acquisto di obbligazioni (o bond) convertibili in azioni.
I giudizi in corso
Per tutta risposta i legali del colosso di Mediaset nell'estate 2016 hanno instaurato un giudizio civile per risarcimento danni (per 1,5 miliardi) da responsabilità per mancata esecuzione del contratto originario (a cui si è aggiunta Fininvest con richiesta danni per 570 milioni), scaturita dal rifiuto ingiustificato di Vivendi di sottoscrivere la cessione definitiva della pay-tv Mediaset premium (anch'essa controllata del gruppo Fininvest) dopo aver concluso regolarmente la Due Diligence.
A tale richiesta si è aggiunta l'istanza cautelare di sequestro del 3,5% del capitale di Vivendi (12 ottobre) collegato alla volontà di far eseguire coattivamente il contratto di vendita.
Inoltre i legali del colosso di Cologno Monzese, che hanno riscontrato diverse violazioni del testo unico delle telecomunicazioni (cosiddetta Legge Gasparri) quali l'abuso di posizione dominante che impedirebbe a chi vanta già una posizione dominante su Telecom di controllare anche Mediaset, hanno investito dell'istruttoria l'Autorità per le telecomunicazioni.
In risposta ai presunti illeciti penali, hanno altresì presentato una denuncia alla Procura di Milano per manipolazione del mercato, da cui è scaturita l'iscrizione nel registro degli indagati a carico del finanziere e del ceo di Vivendi, Arnaud De Puyfontaine, e un'istanza cautelare depositata al Tribunale civile di Milano per ottenere il sequestro delle azioni di Vivendi in Mediaset e/o la sospensione del diritto di voto per le medesime, in attesa che si accerti l'eventuale reato di cui sopra.
La posizione di Vivendi e l'Opa
Il portavoce di Vivendi sostiene di non avere mire espansionistiche, ovvero di non voler superare il tetto del 30% del capitale di Mediaset.
Poiché se, al contrario di quanto dichiara, la soglia venisse superata scatterebbe in capo a Vivendi l'obbligo di un'offerta pubblica di acquisto (Opa), ovvero l'obbligo altrimenti sanzionato di acquistare la totalità delle azioni ordinarie della Mediaset ancora presenti sul mercato.
In questo momento non sono stati riscontrati movimenti sul mercato che danno certezza che in corso vi siano operazioni di concerto con privati o istituzionali (per esempio hedge fund) in favore dei francesi. Cioè che facciano scattare l'obbligatorietà dell'Opa.
In effetti, l'Opa potrebbe non essere nelle reali intenzioni di Vivendi.
A questo punto il pericolo sarebbe rappresentato da Vivendi che, rebus sic stantibus, potrebbe esercitare la minoranza di blocco, paventata da Mediaset e motivo dell'esposto all'Agcom, ovvero "il rischio di paralisi dell'attività industriale".
A Vivendi basterebbe detenere il 20% della società italiana di telecomunicazioni per esercitare la minoranza di cui sopra, come è successo in Telecom, dove Vivendi aveva posto il veto alla conversione in ordinarie delle azioni di risparmio.
Vivendi potrebbe essere interessata solo ed esclusivamente a mettere un piede dentro la società italiana per conoscerne i pensieri e le strategie di sviluppo, ma anche le debolezze, senza aver al momento intenzione di possederla in misura superiore a quanto già possiede.
Per esempio, Vivendi potrebbe chiedere la convocazione dell'assemblea e la nomina di altri membri del Consiglio di Amministrazione (Cda) rappresentativi della loro partecipazione, come è successo in Telecom, dove ha ottenuto l'allargamento del board.
La posizione di Mediaset
Per difendersi da questo attacco Mediaset potrebbe adottare il cosiddetto Buy back (1). Ovvero l'acquisto di azioni proprie. Ma solo nel limite del 10% del capitale proprio. Quest'ultimo 10% in assemblea non godrebbe del diritto di voto, dunque la maggioranza nelle decisioni ordinarie sarebbe data da più della metà del 90% del capitale avente diritto di voto (45,01%). Maggioranza che potrebbe essere raggiunta dal 38,26% delle azioni già detenute dalla controllante Fininvest di concerto con differenti azionisti.
Ad oggi tuttavia i due gruppi, nell'attesa che si tenga la prima udienza (al 21 marzo 2017) nella causa di risarcimento danni, non hanno avanzato alcuna proposta ufficiale di accordo stragiudiziale.
La norma "antiscorrerie"
Nella levata di scudi da parte della politica sulla questione, entra a gamba tesa anche il Governo. All'interno del ddl Concorrenza, che approderà in aula questa settimana dopo mesi di stop, verrà inserita, infatti, una norma "anti-scorrerie". Ad annunciarlo è il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, spiegando che la disposizione è tesa a promuovere la "trasparenza" quando si acquistano partecipazioni rilevanti nelle società quotate. "Quando compri il 5% di un'azienda quotata - chiarisce il ministro, intervenendo in un dibattito promosso dal Foglio - devi dire perché lo fai". La norma, prosegue Calenda, è mutuata dall'ordinamento francese e "non sarà retroattiva". Non si tratta neanche di una disposizione "anti-Vivendi", giacchè sulla scalata dei francesi a Mediaset, il ministro precisa come "non rileva di chi è la proprietà di Mediaset - bensì - come si entra in un Paese". Al momento ciò che conta è che "abbiamo un'azienda con una governance parzialmente paralizzata". E in sostanza, a giudizio del numero uno del Mise, è a questo che bisogna porre rimedio. In tema di politica economica, infatti, ha concluso si sta andando verso "una fase dove tornerà il nazionalismo economico". Certo "non dobbiamo rispondere con il nazionalismo, ma nel merito delle singole questioni occorre attrezzarci contro i nazionalismi - stessi - anche per non fare la figura del bambino naif".
(1) Cit. Antonella Olivieri, è ancora caccia al titolo Mediaset, Milano, Il Sole 24 Ore, pp. 23-25 del 28 dicembre 2016
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