- Discriminazione tra italiani e non italiani
- Discriminazione tra vaccinati primo ciclo e terzo-dosati
- Le esternazioni punitive
- L'appello al Garante privacy
Discriminazione tra italiani e non italiani
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«L'art. 3, co. 1, lett. a) DL 4 febbraio 2022, n. 5 introduce una discriminazione tra italiani e non italiani, contraria all'art. 3 Cost. e ai principali strumenti eurounitari e internazionali. È un arretramento allarmante riguardo ad acquisti giuridici che ritenevamo intangibili in tema di uguaglianza e rispetto della persona umana, senza distinzioni e appartenenze di gruppo. La discriminazione è dunque odiosa, ed estremamente grave perché incide in modo diretto sull'esercizio di diritti fondamentali». Con queste parole forti si apre l'esposto, firmato da 25 giuristi ed indirizzato al Garante per la protezione dei dati personali, il 14 febbraio scorso.
Discriminazione tra vaccinati primo ciclo e terzo-dosati
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A ciò si aggiunga il secondo tipo di problema come da «art. 1, co. 1, lett. a)- che - introduce inoltre una discriminazione nella durata del green pass tra i vaccinati con ciclo primario da un lato e i terzo-dosati dall'altro. Per i primi il pass dura sei mesi, per gli altri dura… in aeternum. Le evidenze mediche indicano esattamente l'opposto, ossia che il livello di anticorpi decade invariabilmente in tutti i vaccinati dopo pochissime settimane. Una discriminazione che non trova ragione nella scienza la trova solo nel potere di chi può imporla». Secondo i giuristi, ancora «All'italiano non vaccinato o vaccinato con green pass scaduto è precluso addirittura qualsiasi spostamento con mezzi di trasporto pubblico, inclusi quelli locali e regionali, soggiorno in hotel, accesso a luoghi di ristorazione, pur con un tampone negativo, ossia nonostante l'evidenza diagnostica di assenza di carica virale. È una scelta non solo inesplicabile, ma anche in diretto conflitto con il regolamento padre, ossia il 2021/953, ivi cons. 36. Già solo per tale ragione codesta Autorità dovrebbe dichiararne il contrasto con il principio di liceità, art. 5.1.a) GDPR
, cfr. anche l'art. 9, co. 9 DL 52/2021. Osserviamo che il medesimo strumento diagnostico è invece considerato valido dallo Stato perfino per attestare l'uscita dalla condizione di positività; introdurre questa disparità di trattamento è de plano incostituzionale. Anche ciò rileva ai sensi dell'art. 5.1.a) GDPR». La conseguenza delle nuove normative è stata quella di comportare «un generale clima di smarrimento e confusione ed una pericolosa frattura nelle relazioni tra i cittadini stessi, minando severamente le basi costituzionali per la promozione della pacifica ed armoniosa convivenza civile».Le esternazioni punitive
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Gli scriventi riportano anche alcune affermazioni che suonano come punitive: "Vi renderemo la vita difficile, come stiamo facendo", così il «25 gennaio 2022 in una trasmissione televisiva un sottosegretario del Ministero della Salute, ossia una carica istituzionale, confermando che la finalità del trattamento green pass è punitiva. Sono affermazioni che provengono dall'arco governativo, sono formulate al plurale e non hanno trovato smentita o distanziamento. Non sono le sole». Già il 10 settembre 2021 « il Ministro per la Pubblica Amministrazione aveva definito il green pass: misura "geniale" perché aumenta il costo sia psichico che monetario "per gli opportunisti contrari al vaccino". Per i giuristi «La finalità dello strumento viene dichiarata dunque come di oppressione economica e psicologica per forzare a un trattamento sanitario formalmente libero, non sussistendo t.s.o. generalizzato. I recalcitranti sono istituzionalmente bollati con lo stigma di "opportunisti". Non crediamo possa essere tollerato oltre dal sistema giuridico - senza cioè un collasso strutturale - che un trattamento di dati personali sia spinto fino a questo punto di violazione normativa e di lucido perseguimento di obiettivi di castigo, oppressione economica e mentale, umiliazione».
L'appello al Garante privacy
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Nell'esposto, i giuristi si appellano al Garante Privacy affinché «ripristini lo stato di legalità conformemente al proprio mandato istituzionale, dichiarando illecito, nella sua declinazione italiana, il trattamento di dati personali "certificazione verde" introdotto con DL 52/2021 e successivi atti normativi, e per l'effetto ne disponga la limitazione definitiva e il divieto in applicazione dell'art. 58, par. 2, lett. f) Gdpr, ponendo in tal modo fine al più vessatorio, distopico e distorsivo esperimento sui dati personali finora attuato dall'istituzione della Repubblica». Un appello che non è unico nel suo genere. Mentre si resta in attesa di sapere adesso che cosa risponderà l'autorità.
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