Corte di Cassazione III Sezione civile
Sentenza 3 dicembre 2002, n. 17152
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 6.12.1990, De
Carli Antonio conveniva davanti al Tribunale di Sondrio Da Prada Silvio, il
Comune di Mazzo di Valtellina e Pozzi Enrico, per sentirli condannare in solido
al risarcimento dei danni, assumendo che il 6.9.1987, mentre percorreva con la
sua auto la strada Grosotto-Mazzo, si era trovato improvvisamente la strada
interamente ostruita da una barriera di sacchi di sabbia, contro cui,
nonostante la frenata, si era schiantato.
Il Tribunale di Sondrio, con sentenza
depositata il 6.7.1998, accertato il concorso di colpa dell'attore nella misura
del 50%, condannava i convenuti in solido al risarcimento dei danni nella
misura del 50% della somma di 67.764.850, oltre rivalutazione ed interessi.
Proponevano appello i convenuti.
La Corte di appello di Milano, con
sentenza depositata il 21.11.2000, rigettava la domanda nei confronti del Da
Prada e confermava nel resto la sentenza impugnata.
Riteneva la corte di merito che andava
affermata la responsabilità del comune e del sindaco Pozzi, poiché la barriera
di sacchi ostruiva tutta la strada e non era segnalata.
La corte riteneva che era accertata la
rimozione di altra barriera posta all'imbocco della strada, in modo da renderla
transitabile; che la barriera di sacchi costituiva un'insidia poiché era
imprevedibile e non facilmente avvistabile su una strada a scorrimento veloce;
che, poiché la barriera era apposta all'uscita di una curva, era difficile
stabilire a quale distanza essa fosse avvistabile, tenuto conto che per il
colore dei sacchi la barriera si mimetizzava con l'ambiente, anche se la
distanza teorica era a circa 100/130 metri.
Inoltre riteneva la corte che la
responsabilità del comune derivava anche dalla violazione del disposto
dell'articolo 8 del codice della strada all'epoca vigente, che prevedeva
l'apposizione di segnalazioni per eventuali ostacoli sulla strada.
Secondo la corte sussisteva il
concorso di colpa del danneggiato, poiché egli procedeva a velocità non
inferiore a 110 km/h, e quindi superiore a quella che poteva tenersi in quella
strada (pari a 100 km/h), e poiché egli sapeva che la strada da lui percorsa si
trovava in area evacuata fino a poche ore prima, per la nota alluvione della
Valtellina, per cui avrebbe dovuto tenere una velocità moderatissima ed una
condotta di guida attenta.
Secondo la corte andava respinto
l'appello del Pozzi, sindaco del comune, ravvisando la sua colpa grave
nell'aver autorizzato la rimozione degli ostacoli all'imbocco della strada,
senza contemporaneamente rimuovere anche quelli posti lungo il percorso.
Avverso questa sentenza hanno proposto
autonomi ricorsi per cassazione Pozzi Enrico ed il comune di Mazzo.
Resiste con autonomi controricorsi De
Carli Antonio, che ha presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente vanno riuniti i
ricorsi, a norma dell'articolo 335 c.p.c.
Con il primo motivo dei rispettivi
ricorsi, entrambi i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione
degli articoli 2043 c.c. e 41, comma 2, c.p., in relazione all'articolo 366, n.
3, c.p.c., nonché la contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della
controversia.
Lamentano i ricorrenti che
erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che la barriera di sacchi
integrasse un'insidia stradale; che, allorché il fatto del danneggiato abbia
interrotto la connessione dei fatti privando il fatto illecito antecedente di
efficacia causale, non può affermarsi la responsabilità del terzo; che tanto si
è verificato nella fattispecie, in quanto la stessa corte territoriale ha
riconosciuto che, se il De Carli avesse guidato con la dovuta prudenza, avrebbe
avuto la possibilità di arrestare l'auto nello spazio di avvistamento della
barriera; che, quindi, la motivazione della sentenza violava i principi in tema
di causalità efficiente o causalità giuridica.
Con il secondo motivo dei rispettivi
ricorsi, i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione
dell'articolo 2043 c.c. con riferimento alla sussistenza della condotta colposa
del comune di Mazzo, a norma dell'articolo 360, n. 3, c.p.c., nonché l'insufficiente
e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
Lamentano i ricorrenti che la sentenza
impugnata in modo contraddittorio ha ritenuto che la barriera costituisse
un'insidia stradale per quanto essa non fosse né occulta né imprevedibile,
poiché la stessa corte - nell'affermare il concorso di colpa del danneggiato -
ha ritenuto che i gravi eventi alluvionali comportavano la possibilità della
presenza di ostacoli e di dissesti. Conseguentemente, secondo i ricorrenti, la
barriera in questione non costituiva un pericolo occulto e non visibile,
sussistendo invece la sola colpa del danneggiato.
Ritiene questa Corte che i motivi
suddetti vadano esaminati congiuntamente.
Esso sono infondati e vanno rigettati.
Anzitutto non sussiste la lamentata
violazione degli articoli 2043 c.c. e 41 c.p.
Infatti, a parte la dibattuta
questione se la norma di cui all'articolo 1223 c.c. regoli il nesso di
causalità giuridica, mentre il nesso di causalità materiale sia regolato
esclusivamente dai principi di cui agli articoli 40 e 41 c.p., con conseguente
distinzione tra causalità di fatto (contenuta nella struttura dell'illecito ed
avente come referenti le predette norme penali) e causalità giuridica
(contenuta nella struttura della valutazione del danno, di cui agli articoli
2056-1223 c.c.), sta di fatto che, per giurisprudenza pacifica il criterio in
base al quale sono risarcibili i danni conseguiti dal fatto illecito, deve
intendersi, ai fini della sussistenza del nesso di causalità, in modo da comprendere
nel risarcimento i danni indiretti e mediati, che si presentino come effetto
normale, secondo il principio della cosiddetta regolarità causale (Cassazione
1857/98; 2009/97; 11087/93; 65/1989; 6325/87).
Pertanto un evento dannoso è da
considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il
primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (cosiddetta teoria della
condicio sine qua non): ma nel contempo non è sufficiente tale relazione
causale per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi,
all'interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle
soltanto che, nel momento in cui si produce l'evento causante, non appaiono del
tutto inverosimili (cosiddetta teoria della causalità adeguata o della regolarità
causale, la quale, in realtà, come è stato esattamente osservato, oltre che una
teoria causale, è anche una teoria dell'imputazione del danno).
Peraltro il rigore del principio
dell'equivalenza delle cause, posto dall'articolo 40 c.p., in base al quale, se
la produzione di un evento dannoso è riferibile a più azioni od omissioni, deve
riconoscersi ad ognuna di esse efficienza causale, trova il suo temperamento
nel principio di causalità efficiente, desumibile dal secondo comma
dell'articolo 41 c.p., in base al quale l'evento dannoso deve essere attribuito
esclusivamente all'autore della condotta sopravvenuta, solo se questa condotta
risulti tale dal rendere irrilevante le altre cause preesistenti, ponendosi al
di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale gia in atto
(Cassazione 268/96).
Questa interruzione del nesso di
causalità può essere anche l'effetto del comportamento sopravvenuto dello
stesso danneggiato, quando il fatto di costui si ponga come unica ed esclusiva
causa dell'evento di danno, sì da privare dell'efficienza causale e da rendere
giuridicamente irrilevante il precedente comportamento dell'autore
dell'illecito (cfr. Cassazione 6640/98; 2737/88).
Quando invece, il comportamento colposo
del soggetto danneggiato non sia stato tale da interrompere il nesso di
causalità tra il fatto del terzo e l'evento dannoso, ma abbia solo concorso
nella produzione dell'evento, la fattispecie è regolata dall'articolo 1227,
comma 1, c.c. (concernente il concorso del fatto colposo del creditore), che
afferma il principio secondo cui il danno che taluno arreca a sé medesimo non
può essere posto a carico dell'autore della causa concorrente (Cassazione
2763/97).
Il problema si complica in tema di
responsabilità della pubblica amministrazione per la manutenzione delle strade
(da intendersi nella più ampia accezione).
Sussiste un contrasto in merito alla
tutela apprestata per l'utente di una strada pubblica che, dall'uso di questa,
abbia subito un danno.
Secondo l'orientamento predominante
questa tutela è esclusivamente quella predisposta dall'articolo 2043 c.c.,
osservandosi che la pubblica amministrazione incontra nell'esercizio del suo
potere discrezionale, anche nella vigilanza e controllo dei beni di natura
demaniale, limiti derivanti dalle norme di legge o di regolamento, nonché dalle
norme tecniche e da quelle di comune prudenza e diligenza, ed in particolare
dalla norma primaria e fondamentale del neminem laedere (articolo 2043 c.c.),
in applicazione della quale essa è tenuta a far sì che il bene demaniale non
presenti per l'utente una situazione di pericolo occulto, cioè non visibile e
non prevedibile, che dia luogo al cosiddetto trabocchetto o insidia stradale
(Cassazione 3991/99; 7062/97; 7742/97; 5989/98 e molte altre).
Un orientamento minoritario, invece,
riconduce la responsabilità della pubblica amministrazione, proprietaria di una
strada pubblica, per danni subiti dall'utente di detta strada, alla disciplina
di cui all'articolo 2051 c.c., assumendo che la pubblica amministrazione, quale
custode di detta strada, per escludere la responsabilità che su di essa fa capo
a norma dell'articolo 2051 c.c., deve provare che il danno si è verificato per
caso fortuito, non ravvisabile come conseguenza della mancanza di prova da
parte del danneggiato dell'esistenza dell'insidia, che questi, invece, non deve
provare, così come non ha l'onere di provare la condotta commissiva o omissiva
del custode, essendo sufficiente che provi l'evento dannoso ed il nesso di causalità
con la cosa (Cassazione 4070/98; 11149/98; 4673/96).
La soluzione del contrasto non è
rilevante nella fattispecie, poiché nelle fasi di merito (ed in questa di
legittimità) è stata invocata solo la tutela ex articolo 2043 c.c., per cui non
potrebbe essere sollevata d'ufficio, per la prima volta in sede di legittimità,
questione della responsabilità dell'articolo 2051 c.c. (cfr. Sezioni unite
10893/01; Cassazione 5677/86; 490/79).
Sennonché una volta inquadrata
(esclusivamente per la predetta preclusione processuale) la tutela in questione
nell'ambito dell'articolo 2043 c.c., limitandola all'ipotesi dell'esistenza
dell'insidia stradale, si pone il problema della compatibilità della stessa con
il concorso di colpa del danneggiato (esclusa generalmente dalla giurisprudenza
di merito).
Il problema è rilevante nella
fattispecie, poiché i ricorrenti lamentano proprio la contraddittorietà
motivazionale tra l'affermazione della loro responsabilità per la ritenuta
esistenza dell'insidia stradale e il comportamento concorrente imprudente del
danneggiato.
È vero che la censura sollevata
attiene al profilo motivazionale della sentenza, e quindi alla ricostruzione
del caso concreto, ma ovviamente, se già in astratto detta compatibilità tra
"l'insidia stradale" ai fini dell'articolo 2043 c.c. e l'articolo
1227, comma 1, c.c. non sussistesse, a maggior ragione in concreto sarebbe
contraddittoria una ricostruzione fattuale che la ritenesse sussistente.
L'intera problematica è stata
recentemente esaminata da una sentenza della Corte costituzionale (156/99) a
seguito di una ordinanza del giudice di pace di Genova che, investito della
risoluzione di una controversia promossa da un privato contro il comune di
Genova per i danni subiti a causa di una caduta da un motociclo prodotta dalla
presenza, astrattamente percepibile in anticipo ma non segnalata, di terriccio
su una strada comunale, aveva sollevato la questione di legittimità
costituzionale degli articoli 2043, 2051 e 1227, primo comma, c.c. in rapporto
agli articoli 3, 24 e 97 della Costituzione.
La Corte costituzionale, nel ritenere
non fondata la questione, richiamato il principio di autoresponsabilità a
carico degli utenti "gravati di un onere di particolare attenzione
nell'esercizio dell'uso ordinario, diretto del bene demaniale per salvaguardare
appunto la propria incolumità", ha tra l'altro considerato la nozione di
insidia, "come una sorta di figura sintomatica di colpa, elaborata dalla
esperienza giurisprudenziale, mediante ben sperimentate tecniche di giudizio,
in base ad una valutazione di normalità, con il preciso fine di meglio
distribuire tra le parti l'onere probatorio, secondo un criterio di
semplificazione analitica della fattispecie generatrice della responsabilità in
esame".
Il giudice delle leggi ha poi
rilevato, quale corollario della teoria dell'insidia o del trabocchetto, posta
a base della responsabilità della pubblica amministrazione in questa materia ex
articolo 2043 c.c., che i caratteri della non visibilità oggettiva e della non
prevedibilità soggettiva, che debbono connotare tale situazione di pericolo,
comportano l'inapplicabilità del concorso di colpa sancito dall'articolo 1227,
primo comma, c.c., "Istanti evidenti ragioni di incompatibilità logica fra
un possibile concorso di colpa del danneggiato e la stessa nozione di insidia,
essendo questa contraddistinta dai caratteri dell'imprevedibilità e
dell'inevitabilità del pericolo".
Cosicché o il fatto è imputabile alla
pubblica amministrazione con conseguente diritto al risarcimento integrale del
danno oppure il fatto medesimo è anche solo in parte riconducibile al
danneggiato, ed in tal caso per quest'ultimo non sussisterà alcun diritto di
natura risarcitoria (opinione diffusa nella giurisprudenza di merito).
Ritiene questa Corte di non poter condividere
detto principio di incompatibilità, già in astratto, tra responsabilità della
pubblica amministrazione per danno provocato da anomalia della strada, avente
le caratteristiche dell'insidia, ex articolo 2043 c.c., ed il concorso di colpa
del danneggiato, a norma dell'articolo 1227, comma 1, c.c.
Va anzitutto osservato che la regola
che prevede la riduzione del risarcimento in presenza della colpa del
danneggiato è un approdo dei codici moderni. In passato, invece, l'accertamento
di una concorrente colpa del danneggiato faceva venir meno la responsabilità
del danneggiante, tranne che sussistesse il dolo di costui.
Nei sistemi di common law si parlava
di contributory negligence, mentre in quelli di origine romanistica ci si
richiamava alla nota regola di Pomponio "quod quis ex culpa sua damnum
sensit non intelligitur damnum sentire". L'inversione di tendenza in
Italia iniziò con la giurisprudenza dei primi decenni del 1900 e poi fu
tradotta nella norma di cui all'articolo 1227, comma 1, c.c., del codice
vigente. Attualmente tutti gli ordinamenti hanno recepito detto principio (il
diritto inglese ha sostituito la contributory negligence con la comparative
negligence).
Ritenere che la responsabilità della
pubblica amministrazione, proprietaria della strada pubblica (o del bene
demaniale) sussista, ex articolo 2043 c.c., solo nel caso di insidia stradale
e, contemporaneamente, sostenere che essa è incompatibile già in astratto con
il fatto colposo del danneggiato, per cui l'esistenza di questo esclude la responsabilità
della pubblica amministrazione, di fatto comporterebbe il riaffacciarsi del
superato principio che la concorrente colpa del danneggiato fa venir meno la
responsabilità del danneggiante.
La tesi dell'incompatibilità
dell'articolo 1227, comma 1, c.c. e della responsabilità della pubblica
amministrazione per l'insidia stradale ex articolo 2043 c.c. si fonda sul
presupposto, ritenuto dalla dottrina classica, che nel nostro ordinamento
esisterebbe un principio di autoresponsabilità, segnatamente previsto
dall'articolo 1227, comma 1, c.c., oltre che da altre norme, che imporrebbe ai
potenziali danneggiati doveri di attenzione e diligenza. L'autoresponsabilità
costituirebbe un mezzo per indurre anche gli eventuali danneggiati a
contribuire, insieme con gli eventuali responsabili, alla prevenzione dei
danni, che potrebbero colpirli. Senza entrare nella questione ordinamento del
detto principio, va solo rilevato che la dottrina più recente, che questa Corte
ritiene di dover condividere, ha abbandonato l'idea che la regola di cui
all'articolo 1227, comma 1, c.c. sia espressione del principio
dell'autoresponsabilità, ravvisandosi piuttosto un corollario del principio
della causalità, per cui al danneggiante non può far carico quella parte di
danno che non è a lui causalmente imputabile, sicché la colpa, cui fa
riferimento l'articolo 1227, comma 1, c.c., va intesa non nel senso di criterio
di imputazione del fatto (perché il soggetto che danneggia se stesso non compie
un atto illecito di cui all'articolo 2043 c.c.), bensì come requisito legale
della rilevanza causale del fatto del danneggiato.
Sempre nella tesi causalistica, quale
fondamento dell'articolo 1227, comma 1, c.c., rientra anche quello orientamento
che ritiene che l'articolo 1227 c.c. rappresenta un'ipotesi particolare della
generale previsione di responsabilità solidale di cui all'articolo 2055 c.c.
(cfr. Cassazione 20.11.1991), tenuto conto che la norma di cui all'articolo
2055 c.c. viene inquadrata dalla dottrina dominante nell'ambito del nesso di causalità.
La questione del comportamento colposo
del danneggiato, come influente esclusivamente sul nesso causale, è stata
positivamente esaminata, in particolare, in relazione al caso fortuito, come
elemento liberatorio del custode dalla sua responsabilità ex articolo 2051
c.c., e già in detta sede si è rilevato che, se il comportamento colposo del
danneggiato nella fattispecie concreta non è idoneo da solo ad interrompere il
nesso eziologico tra la causa del danno, costituita dalla cosa in custodia, ed il
danno, esso può anche integrare il concorso colposo del danneggiato nella
produzione del danno ai fini dell'articolo 1227, comma 1, c.c. (cfr. Cassazione
3957/94; 7727/00).
Così inquadrata la norma di cui
all'articolo 1227, comma 1, c.c., va osservato che il principio per cui la
responsabilità dell'ente gestore sussiste quando il danno ha trovato causa in
un'insidia stradale, da figura sintomatica della colpa, come è stato notato, è
passata a costituire un'autonoma figura di illecito; il risultato di un'operazione
di semplificazione analitica della fattispecie in rapporto alla distribuzione
degli oneri probatori, con il tempo è stato inteso come regola sostanziale.
In effetti detta regola sostanziale
manca, sussistendo solo quella generale di cui all'articolo 2043 c.c.
Sennonché una volta recuperata
all'insidia stradale la sola funzione di figura sintomatica della colpa della
pubblica amministrazione riportando la fattispecie nell'ambito dell'articolo
2043 c.c. ed una volta riconosciuto all'articolo 1227, comma 1, c.c., la
funzione di regolare, ai fini della causalità di fatto, l'efficienza causale
del fatto colposo del leso, con conseguenze sulla determinazione dell'entità
del risarcimento (causalità giuridica), ne deriva che ben può concorrere nella
produzione del danno all'utente stradale sia il fatto colposo della pubblica
amministrazione, poiché la specifica anomalia stradale, rivestendo i caratteri
dell'insidia, si presume colposa, sia il fatto colposo del leso, che abbia
avuto carattere efficiente dell'evento dannoso, determinando - in buona
sostanza - un concorso di cause.
Quindi il nesso di causalità tra la
situazione di pericolo e l'evento dannoso, non viene meno già in astratto, solo
perché l'utente abbia tenuto un comportamento irregolare. Ciò può esserlo nella
specifica situazione concreta (e dovrà accertarlo il giudice di merito), ma non
per un'incompatibilità tra la responsabilità della pubblica amministrazione ex
articolo 2043 c.c. per cosiddetta insidia stradale ed il concorso colposo del
danneggiato ex articolo 1227, comma 1, c.c.
La sostenuta inapplicabilità
dell'articolo 1227, comma 1, c.c. alle fattispecie in esame, oltre a non essere
giustificata sul piano dei principi, determina una singolare situazione per la
quale la pubblica amministrazione può concorrere con il fatto colposo del terzo
nella causazione del danno all'utente stradale (ex articolo 2055 c.c.), ma non
ex articolo 1227, comma 1, c.c. con il fatto colposo dello stesso danneggiato.
Ne consegue che il consociato fruitore
di un bene demaniale, in ossequio al fondamentale principio di giustizia
sostanziale, trasfuso nell'articolo 1227, comma 1, c.c. non ha diritto di
vedersi riconosciuto il risarcimento di quella parte di danno che è ascrivibile
alla sua condotta colposa, ma non certo anche che la sola esistenza di questa
esclude - già in astratto - ogni responsabilità della pubblica amministrazione,
sia pure nei limiti dell'insidia stradale, sussistendo solo un'ipotesi di
autoresponsabilità del leso.
Se infatti si sostenesse che il solo
concorso del fatto colposo del danneggiato già in astratto esclude una
responsabilità della pubblica amministrazione, si giungerebbe a ritenere che
l'unico elemento soggettivo rilevante nella fattispecie è quello del
danneggiato, nel senso che, se esso è stato diligente, vi è responsabilità
della pubblica amministrazione in presenza dell'insidia stradale, mentre, se
esso è stato colposo, la responsabilità della pubblica amministrazione è
esclusa.
Ciò introdurrebbe un nuovo elemento
nella responsabilità aquiliana, non previsto dall'articolo 2043 c.c., e cioè la
mancanza di diligenza del danneggiato, rilevante, invece, non ai fini della
responsabilità del danneggiato, ma ai fini del concorso colposo del
danneggiato.
Ciò produrrebbe anche un'inversione
dei normali criteri operativi dell'actio aquiliana, perché il danneggiato
sarebbe tenuto a dimostrare che il danno si è verificato nonostante la sua
diligenza.
La conseguenza di quanto sopra detto è
che, anche a ritenere colposa la responsabilità della pubblica amministrazione
nei confronti dell'utente della strada nei soli casi di insidia o trabocchetto
stradale, essa, in astratto, non è incompatibile con il concorso del fatto
colposo del danneggiato, dovendosi valutare in concreto, da parte del giudice
del merito, l'entità del rapporto causale del comportamento colposo del
danneggiato nella produzione dell'evento dannoso.
Nella fattispecie la sentenza
impugnata non ha effettuato alcuna violazione o falsa applicazione dei suddetti
principi di diritto e delle norme indicate dai ricorrenti, avendo ritenuto che
il comportamento del danneggiato aveva solo concorso nella produzione
dell'evento dannoso, ma non era stato tale da determinarlo in via esclusiva.
Diventa poi una questione attinente
alla motivazione della sentenza, il punto se effettivamente il comportamento
del danneggiato abbia solo concorso alla produzione dell'evento ovvero abbia in
modo esclusivo determinato lo stesso.
Va, sotto questo profilo, premesso che
gli apprezzamenti del giudice del merito sulla sussistenza del nesso di
causalità e della colpa di un soggetto nella produzione di un evento dannoso si
risolvono in un giudizio di fatto, che, se immune da errori giuridici e vizi logici,
si sottrae al sindacato in sede di legittimità (Cassazione 9794/98; 3939/96).
Nella fattispecie la sentenza
impugnata ha ritenuto che il comportamento dei convenuti fosse connotato sia da
colpa generica, per aver aperto al transito una strada senza rimuovere poi gli
ostacoli posti sul suo percorso e senza aver adeguatamente presegnalato
l'esistenza della barriera in sacchi, sia da colpa specifica, per non aver
adempiuto agli obblighi di segnalazione previsti dall'articolo 8 codice
stradale per l'esistenza di ostacoli fissi e di grosse dimensioni posti sulla
sede stradale.
Anche a voler ritenere che la mancata
apposizione dei segnali, nella costruzione motivazionale della sentenza, non
svolga un ruolo autonomo nella causazione del danno, ma sia un elemento
determinante (insieme ad altri) della sussistenza dell'insidia stradale, va
rilevato che è immune da censure rilevabili in questa sede di legittimità
l'accertamento dell'esistenza di detta insidia.
Infatti, il giudice di merito,
fondandosi sulle risultanze dalla ctu, ha accertato che lo sbarramento
dell'intera strada a scorrimento veloce costituito da sacchi di sabbia, posto
all'uscita di una curva, con vegetazione prima della barriera, non facilmente
avvistabile per la mimetizzazione data dal colore dei sacchi, e non segnalato
come previsto dall'articolo 8 codice stradale, costituiva un'insidia
gravissima, siccome del tutto imprevedibile e non facilmente avvistabile,
proprio in relazione al tipo di viabilità.
Trattasi di valutazione di merito,
riservata al giudice di merito ed immune da censure, rilevabili in questa sede.
Né essa è contraddittoria con il
ritenuto concorso di colpa del danneggiato.
Una volta esclusa in astratto
l'incompatibilità tra la responsabilità della pubblica amministrazione per
danni all'utente della strada causati da insidia stradale ed il concorso di
colpa del danneggiato, diventa una questione di merito accertare se il fatto
colposo del danneggiato abbia concorso a causare il danno ovvero l'abbia
determinato in modo autonomo.
Nella fattispecie, con valutazione
immune da censure, il giudice di appello, in conformità a quanto ritenuto dal
primo giudice, ha accertato che sussisteva detto concorso del fatto del
danneggiato, consistente nella velocità eccessiva di km/h 110, a fronte del limite
massimo di km/h 100, e che la stessa era imprudente e pericolosa in relazione
alle condizioni di tempo e di luogo, tenuto conto che la zona era stata
evacuata fino a poche ore prima per la notoria alluvione della Valtellina,
senza escludere che le omissioni ascrivibili alla pubblica amministrazione
abbiano creato un'insidia stradale.
Con il terzo motivo di ricorso il solo
Pozzi Enrico lamenta l'insufficiente e contraddittoria motivazione intorno alla
sussistenza della colpa grave nella condotta del sindaco, a norma dell'articolo
360 n. 5 c.p.c.
Assume il ricorrente che nella
fattispecie non risulta la colpa grave del sindaco Pozzi, necessaria per
affermare la sua responsabilità.
Secondo il ricorrente in una
situazione di gravità e di emergenza, quale l'alluvione della Valtellina che
aveva determinato l'evacuazione di intere zone, note a tutti gli abitanti della
provincia di Sondrio, non può ritenersi che il Pozzi fosse tenuto a segnalare
lo stato di pericolo connaturato alla stessa eccezionalità della situazione.
Ritiene questa Corte che il motivo sia
infondato e che lo stesso vada rigettato.
Osserva preliminarmente questa Corte
che la responsabilità civile personale dei funzionari e dipendenti dello Stato
e degli enti pubblici in caso di violazione dei diritti dei terzi, a norma
dell'articolo 28 Costituzione - che si applica anche ai soggetti, come i
sindaci dei comuni, svolgenti funzioni pubbliche senza essere legati all'ente
pubblico da un rapporto di servizio - non presuppone necessariamente l'abuso delle
funzioni di ufficio per il perseguimento di fini personali, essendo sufficiente
l'imputabilità almeno colposa dell'atto dannoso al pubblico amministratore o
dipendente, derivante da violazione delle regole di comune prudenza o di leggi
o regolamenti alla cui osservanza la pubblica amministrazione sia vincolata,
salvo specifica determinazione da parte del legislatore ordinario del grado di
colpevolezza, così come operato con l'articolo 23 Testo unico 3/1957 sugli
impiegati dello Stato, che richiede la colpa grave, applicabile, in difetto di
regolamentazioni specifiche (cfr. peraltro l'articolo 58 legge 142/90, di
rinvio, per gli amministratori e per il personale degli enti locali, alle
disposizioni vigenti in materia di responsabilità degli impiegati civili del lo
Stato), anche alle altre categorie di soggetti responsabili, in via analogica o
in quanto espressione di un principio generale (Cassazione 1890/00).
Nella fattispecie la sentenza
impugnata ha ritenuto che sussistesse la colpa grave del sindaco Pozzi per aver
egli disposto la rimozione della barriera all'ingresso della strada senza
contemporaneamente disporre la rimozione dell'altra barriera posta al termine
della stessa.
Trattasi di valutazione del fatto,
riservata al giudice di merito, che, essendo immune da vizi motivazionali
rilevabili in sede di legittimità, non può essere sindacata in questa sede.
I ricorsi vanno pertanto rigettati.
Esistono giusti motivi per compensare
tra le parti per intero le spese di questo giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi e li rigetta.
Compensa tra le parti le spese di
questo giudizio di cassazione.