CORTE COSTITUZIONALE - SENTENZA N.506/2002
-OMISSIS-
nel giudizio di legittimità costituzionale
dell’art. 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento
e coordinamento legislativo della previdenza sociale), convertito, con
modificazioni, nella legge 6 aprile 1936, n. 1155, e dell’art. 69, primo comma,
della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e
norme in materia di sicurezza sociale), promosso con ordinanza del 31 gennaio
2002 dal Tribunale di Ragusa nel procedimento civile vertente tra Caruso
Rosario e la Legal Sud s.r.l., iscritta al n. 171 del registro ordinanze 2002 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie
speciale, dell’anno 2002.
Visto l’atto di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 23 ottobre
2002 il Giudice relatore Romano Vaccarella.
Ritenuto in fatto
1.– Nel corso di un processo di opposizione
all’espropriazione forzata presso terzi di una pensione di vecchiaia erogata
dall’INPS, avendo l’opponente invocato l’impignorabilità assoluta, il Tribunale
di Ragusa, con ordinanza del 31 gennaio 2002, ha sollevato questione di
legittimità costituzionale dell’art. 128 del regio decreto-legge 4 ottobre
1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza
sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 6 aprile 1936, n. 1155, e
dell’art. 69, primo comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti
pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), per contrasto con
l’art. 3, primo comma, della Costituzione e, comunque, con il principio di
ragionevolezza, nella parte in cui escludono – a differenza di quanto disposto
dall’art. 545, quarto comma, del codice di procedura civile con riguardo alle
retribuzioni – la pignorabilità, nei limiti di un quinto, della pensione di
vecchiaia erogata dall’INPS per crediti diversi da quelli vantati dall’INPS
stesso e da quelli di natura alimentare.
2.– Con riguardo alla non manifesta infondatezza
della questione, il giudice a quo mostra di dissentire dal precedente arresto
sul punto della Corte costituzionale, costituito dalla sentenza n. 55 del 1991,
sia nella parte in cui tale pronuncia valutava la limitazione introdotta dalle
norme denunziate come meramente incidente su di uno dei tanti mezzi di
esecuzione civile – l’espropriazione presso terzi – piuttosto che quale deroga
al principio di responsabilità patrimoniale generica sancito dall’art. 2740 del
codice civile, sia nella parte in cui il differente regime della pignorabilità
delle retribuzioni e delle pensioni era giudicato con "l’intrinseca
diversità di due situazioni giuridiche che rispondono a principi e finalità
diversi quali quelli espressi dagli artt. 36 e 38 della Costituzione".
Quanto alla prima questione, il rimettente
sottolinea l’incongruenza della esclusione del mezzo espropriativo nella
pratica più fruttuoso, mentre, con riguardo al secondo profilo, ritiene
irragionevole la differenza tra il regime generale di impignorabilità delle
pensioni e quello della pignorabilità delle retribuzioni private, ogni qual
volta il trattamento pensionistico non abbia carattere "speciale", ma
integri invece un’ipotesi di salario differito, con identità di natura e
funzione che postula di necessità eguale trattamento in sede esecutiva.
L’equivalenza tra pensione e retribuzione renderebbe irragionevole una
situazione per cui, nonostante la rilevanza costituzionale del diritto alla
retribuzione (art. 36, primo comma, Cost.), questa è pignorabile nei limiti di
un quinto, laddove il principio di solidarietà, di cui all’art. 38, secondo
comma, Cost., farebbe sì che la pensione sia impignorabile anche quando
costituisca "prosecuzione" della medesima capacità reddituale.
In tale ottica il giudice a quo critica il
presupposto implicito della sentenza n. 55 del 1991 della Corte - rinvenuto
nell’"opzione teorica dell’autonomia del sistema delle assicurazioni
sociali rispetto alle assicurazioni private in quanto riconducibili alla
cosiddetta sicurezza sociale, in ossequio al loro fondamento legale e non
pattizio nonché al principio dell’automaticità delle prestazioni" -
richiamandosi ai dati normativi che invece accomunano le due fattispecie, e
segnatamente all’art. 1886 cod. civ. (che richiama, per la disciplina delle
assicurazioni sociali, la disciplina codicistica per colmare le eventuali
lacune delle leggi speciali) e all’art. 2116, primo comma, cod. civ. (che
sancisce il principio dell’automaticità delle prestazioni previdenziali).
Permarrebbe, inoltre, la correlazione tra contributi e prestazioni nella misura
in cui l’erogazione di queste ultime resta comunque subordinata
all’accertamento del fatto che i contributi erano effettivamente dovuti.
Neppure il fine pubblicistico delle
assicurazioni sociali sembra, infine, impedirne l’assimilazione a quelle
private in punto di pignorabilità, tenuto conto della natura mista
dell’erogazione (retributiva, previdenziale, assistenziale), cui ha fatto
esplicito riferimento anche la Corte costituzionale nella sentenza n. 99 del
1993 (evolutiva rispetto alla citata sentenza n. 55 del 1991), la quale ha
dichiarato incostituzionale l’art. 2, primo comma, numero 3, del d.P.R. 5
gennaio 1950, n. 180, nella parte in cui escludeva la pignorabilità, nei limiti
di un quinto, dell’indennità di fine rapporto dei dipendenti dalle pubbliche
amministrazioni.
3.- Evidente è, inoltre, ad avviso del
rimettente, la rilevanza della questione "atteso l’evidenziato thema
decidendum".
4.- E’ intervenuto il Presidente del Consiglio
dei ministri, a mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la
questione sia dichiarata infondata. A sostegno di tale conclusione osserva
come, già con la sentenza n. 22 del 1969, la Corte costituzionale abbia
chiarito che il principio generale della intangibilità delle pensioni erogate
dall’INPS consente solo deroghe, espressamente stabilite, che siano aderenti ai
precetti dell’art. 38, secondo comma, Cost., e che, in relazione alla natura
del credito vantato nei confronti dell’assicurato, precisino la quota
aggredibile dell’emolumento. Tale sarebbe la linea anche della sentenza n. 1041
del 1988 che, nel consentire la pignorabilità nei limiti di un quinto (rectius,
di un terzo) delle pensioni corrisposte dall’INPS per crediti alimentari,
effettua una puntuale comparazione tra i beni essenziali della vita e della
dignità dell’uomo, tutelati dall’art. 38, secondo comma, Cost., e quello agli
alimenti, garantito dall’art. 29 Cost.
Nel richiamare, infine, la sentenza n. 55 del
1991 e l’ordinanza n. 314 del 1991, l’Avvocatura evidenzia come il giudice
rimettente non abbia neppure specificamente indicato e qualificato la natura
del credito azionato, con ciò impedendo ogni valutazione comparativa con gli
interessi tutelati dal menzionato art. 38 Cost.
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale di Ragusa dubita, "in
relazione all’art. 3, comma primo, Cost., e, comunque, al principio di
ragionevolezza", della legittimità costituzionale dell’art. 128 del regio
decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento
legislativo della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, nella
legge 6 aprile 1936, n. 1155, e dell’art. 69, primo comma, della legge 30
aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in
materia di sicurezza sociale), nella parte in cui escludono – in relazione
all’art. 545, quarto comma, cod. proc. civ. – la pignorabilità nei limiti di un
quinto della pensione di vecchiaia per crediti diversi da quelli inerenti
all’INPS e da quelli di natura alimentare.
2.- La questione è fondata nei limiti di seguito
precisati.
3.- Questa Corte è stata numerose volte, e sotto
più profili, investita della questione della pignorabilità delle pensioni, sia
degli ex dipendenti da pubbliche amministrazioni, sia di professionisti
assistiti da casse di previdenza, sia, ancora, di titolari di trattamenti
pensionistici erogati dall’INPS; anche se, nella giurisprudenza formatasi in
oltre un quarantennio, la questione posta dall’ordinanza di rimessione risulta
essere stata trattata ex professo solo una volta.
La copiosa giurisprudenza di questa Corte,
infatti, si è articolata in una serie di pronunce che – quanto al regime della
pignorabilità e sequestrabilità, e sovente attraverso la rimeditazione di
precedenti decisioni – hanno equiparato, da un lato, le pensioni erogate
dall’INPS a quelle erogate agli ex pubblici dipendenti e, dall’altro lato, le
retribuzioni dei pubblici dipendenti a quelle dei lavoratori del settore
privato; sicché il principio della "normale" impignorabilità delle
pensioni è risultato più presupposto che affermato dalla giurisprudenza di
questa Corte, tutta volta ad equiparare il trattamento del settore privato a
quello pubblico.
3.1.- Con la sentenza n. 18 del 1960, la Corte
ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’impignorabilità delle pensioni (sancita, rispettivamente, dagli artt. 128
del regio decreto-legge n. 1827 del 1935 e 45 del regio decreto n. 1765 del
1935) erogate dall’INPS e dall’INAIL, osservando che il "precetto
costituzionale per cui devono essere assicurati al lavoratore, non più in grado
di provvedere al suo sostentamento in caso di infortunio, malattia, invalidità
o vecchiaia, i mezzi indispensabili alle sue esigenze di vita (art. 38
Cost.)" giustifica – senza contrasto "coi principi relativi
all’assistenza familiare, sanciti negli artt. 29 e 30 Cost." -
l’impignorabilità assoluta anche in danno del "coniuge o dei figli minori
che vantino un credito per alimenti verso il beneficiario della pensione".
Con la sentenza n. 1041 del 1988, viceversa, la
Corte ha dichiarato "l’illegittimità costituzionale, per contrasto con gli
artt. 3 e 29 Cost., degli artt. 128 del regio decreto-legge n. 1827 del 1935 e
69 della legge n. 153 del 1969, nella parte in cui non consentono, entro i
limiti stabiliti per i pubblici dipendenti dall’art. 2, numero 1, del d.P.R. n.
180 del 1950 (e cioè "fino alla concorrenza di un terzo valutato al netto
di ritenute"), la pignorabilità delle pensioni corrisposte dall’INPS per
crediti alimentari (ai quali vanno equiparati quelli di assegno di
mantenimento, nei limiti in cui questo abbia carattere alimentare)"; e ciò
in quanto, "dinanzi alla esigenza di tutelare i crediti alimentari, non vi
è alcuna ragione di concedere ai titolari di pensioni INPS un trattamento
privilegiato rispetto a coloro che fruiscono di pensioni dello Stato o di altri
enti pubblici", ovvero fruiscono di assegni corrisposti da casse di
previdenza di professionisti.
3.2.- Con riguardo all’art. 12 del regio
decreto-legge 27 maggio 1923, n. 1324 (convertito nella legge 17 aprile 1925,
n. 473), che prevedeva l’assoluta impignorabilità ed insequestrabilità delle
quote di integrazione, delle pensioni e degli assegni dovuti ai notai dalla
relativa cassa (inclusa l’indennità di cessazione dall’esercizio delle
funzioni), questa Corte ne ha dapprima escluso l’incostituzionalità perché
"non possono porsi sullo stesso piano dei liberi professionisti, quali i
notai, i dipendenti privati" (sentenza n. 100 del 1974); successivamente
(sentenza n. 105 del 1977), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della
norma, nella parte in cui sottraeva alla pignorabilità per crediti alimentari
l’assegno di integrazione corrisposto ai notai in esercizio che non raggiungano
nell’anno un minimo di onorari, e non ne consentiva la pignorabilità nei limiti
stabiliti dall’art. 2, primo comma, numero 1, del d.P.R. n. 180 del 1950;
infine, con la sentenza n. 155 del 1987, la Corte ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale della norma, nella parte in cui non prevede la pignorabilità per
crediti alimentari delle pensioni dei notai negli stessi limiti stabiliti
dall’art. 2, primo comma, numero 1, del d.P.R. n. 180 del 1950.
3.3.- Anche con riguardo alle pensioni ed
indennità corrisposte ai giornalisti dall’INPGI, la Corte ha dapprima
dichiarato (con riguardo, nella specie, ai crediti tributari) che
l’impignorabilità assoluta sancita dall’art. 1 della legge 9 novembre 1955, n.
1122, non contrastava con il principio di eguaglianza, essendo "una
disposizione estensiva della normativa prevista in materia per l’INPS dall’art.
128 del regio decreto-legge n. 1827 del 1935 ed essendo non comparabile la
situazione dei giornalisti con quella di avvocati, commercialisti, geometri,
ragionieri" (sentenza n. 214 del 1972); successivamente, con la sentenza
n. 209 del 1984, la Corte ha individuato nell’art. 2, primo comma, numero 1,
del d.P.R. n. 180 del 1950, una "norma di carattere generale" e,
pertanto, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione
dell’art. 29 Cost., del ricordato art. 1 della legge n. 1122 del 1955, nella
parte in cui non prevede la pignorabilità per crediti alimentari delle
pensioni, assegni e altre indennità dovute dall’INPGI negli stessi limiti di
cui all’art. 2, primo comma, numero 1, del d.P.R. n. 180 del 1950.
3.4.- Espressamente richiamando la già citata
(3.1) sentenza n. 1041 del 1988, questa Corte, con sentenza n. 572 del 1989, ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 110 del d.P.R. 30 giugno
1965, n. 1124, nella parte in cui non consente, entro i limiti stabiliti
dall’art. 2, primo comma, numero 1, del d.P.R. n. 180 del 1950, la
pignorabilità per crediti alimentari delle rendite erogate dall’INAIL.
3.5.- Con sentenza n. 468 del 2002, questa Corte
ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 128 del regio
decreto-legge n. 1827 del 1935, nella parte in cui non consente, entro i limiti
stabiliti dall’art. 2, primo comma, numero 3, del d.P.R. n. 180 del 1950, la
pignorabilità per crediti tributari di pensioni, indennità che ne tengano luogo
ed assegni corrisposti dall’INPS.
4.- Parallelamente, e pressoché
contemporaneamente all’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte che ha
assunto, quanto alle pensioni, quale "norma di carattere generale",
la disciplina della pignorabilità prevista per i dipendenti dalle pubbliche
amministrazioni dal d.P.R. n. 180 del 1950 (art. 2), questa medesima disciplina
è stata ripetutamente sottoposta al vaglio della Corte, nella parte in cui
sanciva il principio della impignorabilità, insequestrabilità ed incedibilità
di stipendi, salari ed altri emolumenti (art. 1) e consentiva di derogarvi nei
medesimi limiti e nelle medesime ipotesi previsti, all’art. 2, per le pensioni.
4.1.- Dopo aver ripetutamente negato che
contrastasse con l’art. 3 Cost. la disposizione sulla generale impignorabilità
delle retribuzioni dei dipendenti da pubbliche amministrazioni,
"giustificata, più che dalla natura del rapporto, dall’intento di tutelare
il buon andamento della pubblica amministrazione, espressamente considerato
nell’art. 97 Cost., che potrebbe essere turbato dalla mancanza di tranquillità
economica del pubblico dipendente, conseguente alla decurtazione della sua
retribuzione", ed aver ritenuto che, correttamente esercitando il suo
potere discrezionale, il legislatore aveva limitato a tre tipi di crediti
(alimentari, tributari, danni arrecati alle pubbliche amministrazioni) le
eccezioni alla generale impignorabilità (sentenza n. 88 del 1963; ordinanza n.
131 del 1967; ordinanza n. 37 del 1970; ordinanza n. 189 del 1973; sentenza n.
49 del 1976; sentenza n. 105 del 1977; sentenza n. 37 del 1985; sentenza n. 337
del 1985), questa Corte, con la sentenza n. 89 del 1987, ha invece dichiarato
costituzionalmente illegittimo l’art. 2, primo comma, numero 3, del d.P.R. n.
180 del 1950, nella parte in cui, diversamente dall’art. 545, quarto comma,
cod. proc. civ., non prevede la pignorabilità e la sequestrabilità degli
stipendi, salari e retribuzioni corrisposti da enti diversi dallo Stato, da
aziende ed imprese di cui all’art. 1 fino alla concorrenza di un quinto per
ogni credito vantato nei confronti del personale; e, con la sentenza n. 878 del
1988, ha esteso il medesimo principio alle retribuzioni corrisposte ai propri
dipendenti dallo Stato e, poi, con sentenza n. 115 del 1990, all’indennità
integrativa speciale, dichiarata impignorabile dall’art. 1, terzo comma, lett.
b, della legge 27 maggio 1959, n. 324.
4.2.- Analogamente, dopo aver statuito che
"ricorrono serie e valide ragioni a giustificazione della speciale
disciplina" dettata dall’art. 369, primo comma, del codice della
navigazione, là dove consentiva la pignorabilità, nella misura del quinto,
delle somme dovute dall’armatore all’arruolato esclusivamente per crediti
alimentari e per debiti certi, liquidi ed esigibili verso l’armatore,
dipendenti dal servizio della nave (sentenza n. 101 del 1974), questa Corte ha
invece dichiarato costituzionalmente illegittima la medesima norma, nonché l’art.
930, primo comma, cod. nav., in ragione del "processo di osmosi tra i
settori dell’impiego pubblico e di quello privato", che non giustificava
più il trattamento privilegiato di pubblici dipendenti (sentenza n. 72 del
1996).
5.- La disamina dell’evoluzione
giurisprudenziale mostra come questa Corte, mentre ha assunto a tertium
comparationis il rapporto di lavoro privato quanto alla retribuzione, ha
adottato quale modello il rapporto di pubblico impiego quanto alle pensioni;
nell’un caso e nell’altro, tuttavia, convergendo verso il risultato di
comprimere, con l’area dell’impignorabilità, le eccezioni al principio per cui
"il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi
beni presenti e futuri" (art. 2740 cod. civ.).
Peraltro, proprio l’adozione a tertium
comparationis ora dell’art. 545 cod. proc. civ. (per le retribuzioni), ora
dell’art. 2 del d.P.R. n. 180 del 1950 (per le pensioni) ha fatto sì che,
mentre per tutte le retribuzioni sia stato travolto il principio della generale
impignorabilità, per le pensioni tale principio – essendosi operato
esclusivamente sulle eccezioni ad esso apportate – sia rimasto in vigore (e,
quindi, solo apparentemente assunto quale premessa di ogni intervento della
Corte in subiecta materia).
In sostanza, la retribuzione è stata
integralmente restituita al novero dei beni sui quali – nei limiti previsti
dalla legge – il creditore, qualunque sia la natura del suo credito, può
soddisfarsi, mentre la pensione (ed i suoi equivalenti) costituisce un "bene"
aggredibile (sempre nei limiti previsti dalla legge) soltanto da alcuni
creditori, selezionati (dall’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 180 del 1950)
in ragione della causa del credito: in concreto, soltanto da chi vanti un
credito alimentare o tributario, nonché – per gli ex dipendenti pubblici – un
credito del datore di lavoro derivante dal rapporto di impiego ovvero – per i
titolari di pensioni INPS – un credito dell’Istituto derivante da indebite
prestazioni percepite ovvero da omissioni contributive (così l’art. 69 della
legge n. 153 del 1969, che ha sostituito – a seguito della sentenza n. 22 del
1969 – l’art. 128, secondo comma, del regio decreto-legge n. 1827 del 1935).
La retribuzione, da qualsiasi lavoratore
percepita, è stata, dunque, assoggettata al regime della responsabilità
patrimoniale quale "bene" sul quale qualsiasi creditore può, nei
limiti di legge, soddisfarsi attraverso l’espropriazione presso terzi; e la
giurisprudenza di questa Corte ha sempre respinto la questione di legittimità
costituzionale, in relazione all’art. 36 Cost., dell’art. 545, quarto comma,
cod. proc. civ., nella parte in cui non prevede l’impignorabilità della quota
di retribuzione necessaria al mantenimento del debitore e della famiglia
(sentenza n. 20 del 1968; sentenza n. 38 del 1970; sentenza n. 102 del 1974;
sentenza n. 209 del 1975; ordinanza n. 12 del 1977; ordinanza n. 260 del 1987;
ordinanza n. 491 del 1987; sentenza n. 434 del 1997).
6.- Se si escludono due pronunce (di rigetto,
sentenza n. 231, e d’inammissibilità, sentenza n. 831 del 1988) su questioni
sollevate sulla base di un fraintendimento della portata delle sentenze n. 89 e
n. 878 del 1987, questa Corte si è occupata del regime dell’impignorabilità in
sé – e non già avendo quale tertium comparationis il d.P.R. n. 180 del 1950 –
delle pensioni erogate dall’INPS, soltanto con la sentenza n. 55 del 1991, alla
quale sono seguite quattro ordinanze d’inammissibilità per manifesta erroneità
nell’individuazione del tertium comparationis (n. 314 del 1991), per inidoneità
della motivazione (n. 305 del 1998 e n. 231 del 2000) e per irrilevanza (n. 92
del 2001).
La sentenza n. 55 del 1991 – premesso che
"il diverso regime della pignorabilità delle pensioni non incide sul
contenuto della responsabilità patrimoniale del debitore…, ma soltanto su un
particolare mezzo di esecuzione civile" (e cioè sull’unico mezzo –
pignoramento presso terzi – idoneo a fare della pensione un "bene"
assoggettabile alla responsabilità patrimoniale) – si limita ad osservare che
"l’esclusione delle pensioni dal novero dei beni sequestrabili o
pignorabili per il soddisfacimento di crediti non qualificati è da ritenersi
espressione della facoltà del legislatore, non preclusa dall’art. 24 Cost., di
subordinare in alcuni casi l’esperimento del diritto del privato alla tutela di
altri interessi generali o di preminente valore pubblico come, nel caso, quelli
garantiti dall’art. 38 Cost.", ed a rilevare come la differenza di regime
tra retribuzioni e pensioni "non è irragionevole poiché trova fondamento
nella intrinseca diversità di due situazioni giuridiche che rispondono a
principi e finalità diversi, quali quelli espressi, rispettivamente, dagli
artt. 36 e 38 Cost.>>.
7.- La Corte ha avuto modo di precisare che la
differenza tra retribuzioni e pensioni è più strutturale che funzionale
(sentenza n. 1045 del 1988), ora traendone la conseguenza della illegittimità
costituzionale dell’art. 442 cod. proc. civ., nella parte in cui non prevede la
rivalutazione dei crediti pensionistici (sentenza n. 156 del 1991), ora
(sentenza n. 361 del 1996) traendone "il corollario della non
applicabilità diretta dell’art. 36 Cost. ai crediti di pensione, ai quali tale
norma è riferibile solo indirettamente per il tramite e nella misura dell’art.
38 Cost.".
D’altra parte, in presenza di crediti aventi
natura mista (retributiva, previdenziale e assistenziale), come l’indennità di
fine rapporto, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della
norma (art. 2, primo comma, numero 3, del d.P.R. n. 180 del 1950) che ne
consentiva la pignorabilità solo per crediti alimentari e non anche, come per i
lavoratori del comparto privato consentiva l’art. 545, quarto comma, cod. proc.
civ., nella misura di un quinto "anche per ogni altro credito" (sentenza
n. 99 del 1993).
8.- Il complesso quadro della giurisprudenza
costituzionale che si è tracciato impone di riesaminare la questione sottoposta
al vaglio della Corte dal Tribunale di Ragusa.
8.1.- L’art. 38, secondo comma, Cost. è
certamente norma che – sancendo il diritto dei lavoratori, in caso di
infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria, a
che siano "preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di
vita" - si ispira a criteri di solidarietà sociale e "di pubblico interesse
a che venga garantita la corresponsione di un minimum", il cui ammontare è
ovviamente riservato all’apprezzamento del legislatore (così la sentenza n. 22
del 1969).
E’ ben vero che il pubblico interesse – in cui
si traduce il criterio di solidarietà sociale – a che il pensionato goda di un
trattamento "adeguato alle esigenze di vita" può, ed anzi deve,
comportare – oltre che un dovere dello Stato (da bilanciarsi, in primis, con le
esigenze della finanza pubblica: ordinanza n. 342 del 2002) – anche una
compressione del diritto di terzi di soddisfare le proprie ragioni creditorie
sul bene-pensione, ma è anche vero che tale compressione non può essere totale
ed indiscriminata, bensì deve rispondere a criteri di ragionevolezza che
valgano, da un lato, ad assicurare in ogni caso (e, quindi, anche con
sacrificio delle ragioni di terzi) al pensionato mezzi adeguati alle sue
esigenze di vita e, dall’altro lato, a non imporre ai terzi, oltre il
ragionevole limite appena indicato, un sacrificio dei loro crediti, negando
alla intera pensione la qualità di bene sul quale possano soddisfarsi.
Il presidio costituzionale (art. 38) del diritto
dei pensionati a godere di "mezzi adeguati alle loro esigenze di
vita" non è tale da comportare, quale suo ineludibile corollario,
l’impignorabilità, in linea di principio, della pensione, ma soltanto
l’impignorabilità assoluta di quella parte di essa che vale, appunto, ad
assicurare al pensionato quei "mezzi adeguati alle esigenze di vita"
che la Costituzione impone gli siano garantiti, ispirandosi ad un criterio di
solidarietà sociale: e, pertanto, ad un criterio che, da un lato, sancisce un
dovere dello Stato e, dall’altro, legittimamente impone un sacrificio (ma nei
limiti funzionali allo scopo) a tutti i consociati (e segnatamente ai
creditori).
8.2.- Al fine di valutare la questione di
legittimità costituzionale sollevata relativamente all’art. 69 della legge 30
aprile 1969, n. 153, osserva questa Corte che le norme, attraverso le quali,
direttamente (art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 180 del 1950) ovvero tramite i
ricordati interventi di questa Corte, è consentito a certi creditori
qualificati di soddisfarsi, nei limiti ivi previsti, sull’intero ammontare
della pensione, non confliggono con il principio appena enunciato, in quanto
ben può il legislatore nella sua discrezionalità selezionare, attraverso un
razionale bilanciamento di valori garantiti dalla Costituzione, in ragione
della loro causa, i crediti rispetto ai quali la pensione – anche nella parte
in cui è volta ad assicurare al pensionato il minimum vitale – è (pro quota
dell’intero) pignorabile. La qualità del credito, in altre parole, giustifica –
quando è espressione di altri valori costituzionali – il discrezionale
bilanciamento con il valore espresso dall’art. 38, secondo comma, Cost., ma
tale valore, quando l’ammontare della pensione eccede quanto necessario per le
esigenze di vita del pensionato, certamente non può rendere impignorabile la
parte eccedente, di modo che, soddisfatta integralmente l’esigenza sottesa al
disposto dell’art. 38, comma secondo, Cost., detta parte eccedente deve
ritenersi (nei limiti e secondo le regole fissati dall’art. 545 cod. proc.
civ.) assoggettabile al regime generale della responsabilità patrimoniale (art.
2740 cod. civ.).
8.3.- E’ appena il caso di rilevare che,
individuato il proprium del disposto dell’art. 38, secondo comma, Cost.
nell’esigenza di garantire nei confronti di chiunque (con le sole eccezioni di
crediti qualificati, tassativamente indicati dal legislatore) l’intangibilità
della parte della pensione necessaria per assicurare mezzi adeguati alle
esigenze di vita del pensionato, non ne discende automaticamente analoga
conseguenza riguardo alle retribuzioni, dal momento che non ne risulta incisa
la ragione per cui, a proposito del regime della pignorabilità, questa Corte ha
negato sussistere l’esigenza di una soglia di impignorabilità assoluta: da un
lato, infatti, l’art. 38, secondo comma, Cost. enuncia un precetto che, quale
espressione di un principio di solidarietà sociale, ha come destinatari anche
(nei limiti di ragione) tutti i consociati, dall’altro, l’art. 36 Cost. -
secondo quanto questa Corte ha statuito nelle ricordate decisioni (n. 5) -
indica parametri ai quali, ma nei rapporti lavoratore-datore di lavoro, deve
conformarsi l’entità della retribuzione, senza che ne scaturisca, quindi,
vincolo alcuno per terzi estranei a tale rapporto, oltre quello – frutto di
razionale <<contemperamento dell’interesse del creditore con quello del
debitore che percepisca uno stipendio>> (sentenze n. 20 del 1968 e 38 del
1970) – del limite del quinto della retribuzione quale possibile oggetto di
pignoramento.
8.4. - La consapevolezza, da un lato, del
pubblico interesse sotteso alla percezione del trattamento pensionistico e, dall’altro
lato, dei limiti "quantitativi" di esso emerge anche da quella
giurisprudenza ordinaria – recentemente avallata da una pronuncia di
legittimità (Cass. 11 giugno 1999, n. 5761) – che ritiene rilevabile d’ufficio,
e non soltanto attraverso l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc.
civ., l’impignorabilità di pensioni di modesto importo (quale, nella specie, di
invalidità).
9.- Non rientra nel potere di questa Corte, ma
in quello discrezionale del legislatore, individuare in concreto l’ammontare
della (parte di) pensione idoneo ad assicurare "mezzi adeguati alle
esigenze di vita" del pensionato, come tale legittimamente assoggettabile
al regime di assoluta impignorabilità (con le sole eccezioni, si ripete,
tassativamente indicate di crediti qualificati, in quanto espressione di altri
valori costituzionali: ad es., artt. 29, 30, 53 Cost.).
Se è vero, infatti, che più volte il legislatore
ha operato interventi che sembrano presupporre una valutazione della soglia
minima vitale (concettualmente non dissimile dai "mezzi adeguati alle
esigenze di vita", di cui è parola nell’art. 38, secondo comma, Cost.), è
anche vero che nessuna di tali valutazioni consente a questa Corte di adottarla
ai fini dell’individuazione della parte assolutamente impignorabile della
pensione: quelle valutazioni – come conferma la loro stessa varietà - sono
ispirate dalla considerazione anche di altri valori, quali le esigenze
tributarie (soglia dei redditi totalmente esenti da IRPEF) o di finanza
pubblica (livello della pensione sociale; doppio di essa ai fini della
corresponsione dell’aumento perequativo; "soglia di povertà" fissata,
dal decreto legislativo 18 giugno 1998, n. 237, per l’accesso al cosiddetto
reddito minimo di inserimento; ecc.). Nemmeno il criterio posto in una materia
"neutra" per la finanza pubblica e destinato ad operare inter
privatos, adottato dal decreto-legge 23 dicembre 1976, n. 857, convertito, con
modificazioni, nella legge 26 febbraio 1977, n. 39 (del triplo della pensione
sociale, quale reddito presunto ai fini del risarcimento del danno provocato
alla persona dalla circolazione stradale) può essere fatto proprio dalla Corte,
attesa l’episodicità della determinazione legislativa e la necessità che sia il
legislatore – bilanciando le esigenze di tutela del credito (art. 24 Cost.) e
di garanzia di mezzi adeguati alle esigenze di vita (art. 38 Cost.) – ad
operare una scelta razionale ed equilibrata.
10.- Deve, pertanto, essere dichiarata
l’illegittimità costituzionale del denunciato art. 128 del regio decreto-legge
4 ottobre 1935, n. 1827, nella parte in cui esclude la pignorabilità per ogni
credito dell’intero ammontare delle pensioni, assegni ed indennità erogati
dall’INPS e non prevede, invece, l’impignorabilità – con le eccezioni previste
dalla legge per crediti qualificati – della sola parte della pensione, assegno
o indennità necessaria per assicurare al pensionato i mezzi adeguati alle
esigenze di vita e conseguentemente la pignorabilità della residua parte a
norma dell’art. 545 cod. proc. civ., nei limiti del quinto della stessa.
11.- Al contrario, deve essere dichiarata
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata
relativamente all’art. 69 della legge 30 aprile 1969, n. 153, dal momento che,
con tale norma, il legislatore non altro ha fatto che prevedere limiti e
modalità attraverso le quali un creditore qualificato (l’INPS, per indebite
prestazioni ovvero omissioni contributive) può assoggettare a pignoramento un
quinto dell’intero ammontare della pensione.
12.- La presente dichiarazione di illegittimità
costituzionale deve essere estesa, a norma dell’art. 27 della legge 11 marzo
1953, n. 87, agli artt. 1 e 2, primo comma, del d.P.R. n. 180 del 1950, nella
parte in cui escludono la pignorabilità per ogni credito dell’intero ammontare
delle pensioni, indennità che ne tengono luogo ed altri assegni di quiescenza
erogati ai dipendenti dai soggetti individuati dall’art. 1 e non prevedono,
invece, l’impignorabilità – con le eccezioni previste dalla legge per crediti
qualificati – della sola parte delle pensioni, indennità o altri assegni di
quiescenza necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze
di vita e conseguentemente la pignorabilità della residua parte a norma
dell’art. 545 cod. proc. civ., nei limiti del quinto della stessa.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento
e coordinamento legislativo della previdenza sociale), convertito, con
modificazioni, nella legge 6 aprile 1936, n. 1155, nella parte in cui esclude
la pignorabilità per ogni credito dell’intero ammontare di pensioni, assegni ed
indennità erogati dall’INPS, anziché prevedere l’impignorabilità, con le
eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte della
pensione, assegno o indennità necessaria per assicurare al pensionato mezzi
adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della
residua parte;
dichiara, in applicazione dell’art. 27 della
legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale degli artt. 1 e 2,
primo comma, del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (Testo unico delle leggi
concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari
e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni), nella parte in cui
escludono la pignorabilità per ogni credito dell’intero ammontare di pensioni,
indennità che ne tengono luogo ed altri assegni di quiescenza erogati ai
dipendenti dai soggetti individuati dall’art. 1, anziché prevedere
l’impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per crediti
qualificati, della sola parte delle pensioni, indennità o altri assegni di
quiescenza necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze
di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte;
dichiara manifestamente infondata la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 69 della legge 30 aprile 1969, n. 153
(Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza
sociale).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 novembre 2002.