L’attuazione
della direttiva europea sul commercio elettronico (PRIMA
PARTE) Il decreto legislativo n. 70 del 9
aprile 2003 di attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni
aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione nel mercato
interno, con particolare riferimento al commercio elettronico © 2003 Giuseppe Briganti – intervento pubblicato su autorizzazione di www.iusreporter.it |
SOMMARIO:
1. Premessa
– 2. Obiettivi e campo di applicazione del D.L.vo 70/2003
– 3. Definizioni – 4. Mercato
interno – 5. Regime di stabilimento e di
informazione – 6. Comunicazioni commerciali e spamming
1. Premessa
Con il decreto
legislativo n. 70 del 9 aprile 2003[1], emanato sulla base della
delega contenuta nella legge comunitaria 2001[2], l’Italia ha dato
finalmente attuazione alla direttiva
2000/31/CE dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei
servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio
elettronico, nel mercato interno[3].
Come si legge nella relazione
illustrativa[4]
che accompagna il provvedimento di attuazione, la direttiva europea sul
commercio elettronico si fonda sulla clausola mercato interno ed è volta
ad assicurare la libera prestazione dei servizi on-line nell'insieme della
Comunità, creando regole uniformi per il commercio elettronico, che è,
per sua stessa natura, senza frontiere.
“In particolare, anche in
considerazione dell’incertezza esistente in molti Stati membri sulla disciplina
da applicare a tale forma di commercio e alle divergenze esistenti tra le varie
legislazioni nazionali, la direttiva si propone di fornire una base comune di
regole alla prestazione di servizi della società dell’informazione e, dunque, a
tutte le transazioni in linea, in cui le negoziazioni e la conclusione degli
accordi avvengono senza la presenza fisica dei contraenti.
La direttiva 2000/31 è uno dei
punti portanti del piano d'azione della Commissione, che ha lanciato, nel
dicembre 1999, l'iniziativa eEurope, con lo scopo di
‘mettere l'Europa in rete’, ed ha presentato un rapporto sullo stato
d'avanzamento di questo piano nell'incontro di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000.
In questo summit il Consiglio
europeo ha fissato un obiettivo ambizioso, divenire l'economia della conoscenza
più competitiva e dinamica del mondo, riconoscendo la necessità urgente per
l'Europa di sfruttare rapidamente le possibilità offerta dalla new economy e, in particolare, da internet”[5].
Con il provvedimento in esame,
il Governo, dunque, “in piena aderenza alla politica europea, attraverso lo
strumento di recepimento della direttiva comunitaria,
si propone di sviluppare un'economia basata sulla conoscenza, di contribuire
allo sviluppo e alla modernizzazione dei mercati facilitando il sorgere di
nuove forme di gestione dell'attività imprenditoriale, in particolare di medie o piccole dimensioni, promuovendo nuove
tipologie di commercio”.
“Uno degli obiettivi da
perseguire è pervenire, attraverso regole chiare e trasparenti, a costi di
produzione minori e ad una migliore scelta e qualità dei prodotti
consegnati, accrescendo così la fiducia
dei consumatori nei contratti telematici.
Tale fiducia, a monte, deve
essere riposta su meccanismi che garantiscano la sicurezza, l'affidabilità
delle comunicazioni in rete, la certezza dell'integrità del documento, sistemi
rapidi di composizione extragiudiziale delle controversie”.
Il decreto sul commercio
elettronico si compone di 22 articoli, che saranno brevemente analizzati nel
prosieguo.
Le disposizioni dettate dal
provvedimento si vanno ad aggiungere al già complesso quadro normativo italiano
in materia ed hanno sollevato accese critiche tra i primi commentatori[6].
2.
Obiettivi e campo di applicazione del D.L.vo 70/2003
Obiettivo fondamentale del
decreto sul commercio elettronico è quello di promuovere la libera
circolazione dei servizi della società dell’informazione (come definiti
dall’art. 2), fra i quali il commercio elettronico (art. 1, comma 1),
garantendo così il buon funzionamento del mercato.
Non
rientrano nel campo di applicazione del provvedimento (art. 1, comma 2)[7]:
a) i rapporti fra contribuente e
amministrazione finanziaria connessi con l'applicazione, anche tramite
concessionari, delle disposizioni in materia di tributi nonché la
regolamentazione degli aspetti tributari dei servizi della società
dell'informazione ed in particolare del commercio elettronico[8];
b) le questioni relative al diritto
alla riservatezza, con riguardo al trattamento dei dati personali nel settore
delle telecomunicazioni di cui alla legge
31 dicembre 1996, n. 675[9] e al decreto
legislativo 13 maggio 1998, n. 171[10] e successive
modificazioni;
c) le intese restrittive della
concorrenza;
d) le prestazioni di servizi
della società dell'informazione effettuate da soggetti stabiliti in Paesi non
appartenenti allo spazio economico europeo[11];
e) le attività, dei notai o di
altre professioni, nella misura in cui implicano un nesso diretto e specifico
con l’esercizio dei pubblici poteri;
f) la rappresentanza e la difesa
processuali;
g) i giochi d’azzardo, ove
ammessi, che implicano una posta pecuniaria,
i giochi di fortuna, compresi il lotto, le lotterie, le scommesse i
concorsi pronostici e gli altri giochi come definiti dalla normativa vigente,
nonché quelli nei quali l'elemento
aleatorio è prevalente.
Sono fatte salve dal decreto,
inoltre, le disposizioni comunitarie e nazionali sulla tutela della salute
pubblica e dei consumatori (come definiti dall’art. 2), sul regime autorizzatorio in ordine alle prestazioni di servizi investigativi o di
vigilanza privata, nonché in materia di ordine
pubblico e di sicurezza, di prevenzione del riciclaggio del denaro, del
traffico illecito di stupefacenti, di commercio, importazione ed esportazione
di armi, munizioni ed esplosivi e dei materiali d’armamento di cui alla legge 9
luglio 1990, n. 185 (art. 1, comma 3).
Ai fini del provvedimento in
esame valgono le seguenti definizioni (art. 2, comma 1):
A) servizi della società dell’informazione:
le attività economiche svolte in linea (on-line) nonché i servizi definiti
dall’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 21 giugno 1986, n. 317, e
successive modificazioni.
Detta norma prevede che per
servizio della società dell’informazione deve intendersi qualsiasi servizio
prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a
richiesta individuale di un destinatario di servizi[12];
B) prestatore: la persona
fisica o giuridica che presta un servizio della società dell’informazione;
C) prestatore stabilito:
il prestatore che esercita effettivamente un’attività economica mediante una
stabile organizzazione per un tempo indeterminato.
Viene specificato che “la
presenza e l’uso dei mezzi tecnici e delle tecnologie necessarie per prestare
un servizio non costituiscono di per sé uno stabilimento del prestatore”[13].
Come si legge nella relazione
illustrativa, infatti, “il concetto di stabilimento non va riferito al luogo in
cui si trovano i mezzi tecnici e le tecnologie necessarie ad effettuare la
prestazione del servizio: ciò implica che la sede del prestatore dei servizi
oggetto della direttiva prescinde dall’ubicazione dei server o dei siti web
utilizzati dal medesimo per la prestazione di tali servizi”;
D) destinatario del servizio:
il soggetto che, a scopi professionali e non, utilizza un servizio della
società dell’informazione, in particolare per ricercare o rendere accessibili
informazioni;
E) consumatore: qualsiasi
persona fisica che agisca con finalità non riferibili all’attività commerciale,
imprenditoriale o professionale eventualmente svolta;
F) comunicazioni commerciali:
tutte le forme di comunicazione destinate, in modo diretto o indiretto, a
promuovere beni, servizi o l’immagine di un’impresa, di un’organizzazione o di
un soggetto che esercita un’attività
agricola, commerciale, industriale, artigianale o una libera professione.
Non sono di per sé comunicazioni
commerciali:
1) le
informazioni che consentono un accesso diretto all’attività dell'impresa, del
soggetto o dell'organizzazione, come un nome di dominio, o un indirizzo di
posta elettronica;
2) le
comunicazioni relative a beni, servizi o all’immagine di tale impresa, soggetto
o organizzazione, elaborate in modo indipendente, in particolare senza alcun
corrispettivo;
G) professione regolamentata:
professione riconosciuta ai sensi dell’articolo 2, del decreto legislativo 27
gennaio 1992, n. 115, ovvero ai sensi dell’articolo 2 del decreto legislativo 2
maggio 1994, n. 319[14];
H) ambito regolamentato:
le disposizioni applicabili ai prestatori di servizi o ai servizi della società
dell’informazione, indipendentemente dal fatto che siano di carattere generale
o loro specificamente destinate.
L'ambito regolamentato riguarda
le disposizioni che il prestatore deve soddisfare per quanto concerne:
1)
l’accesso all’attività di servizi della società dell’informazione, quali le
disposizioni riguardanti le qualifiche e i regimi di autorizzazione o di
notifica;
2)
l’esercizio dell’attività di un servizio della società dell’informazione,
quali, ad esempio, le disposizioni riguardanti il comportamento del prestatore,
la qualità o i contenuti del servizio, comprese le disposizioni applicabili
alla pubblicità e ai contratti, ovvero alla responsabilità del prestatore.
L'ambito regolamentato comprende
unicamente i requisiti riguardanti le attività in linea e non comprende i
requisiti legali relativi a (art. 2, comma 2)[15]:
a) le
merci in quanto tali nonché le merci, i beni e i prodotti per le quali le
disposizioni comunitarie o nazionali nelle materie di cui all'articolo 1, comma
3, sopra illustrato, prevedono il possesso e l'esibizione di documenti,
certificazioni, nulla osta o altri titoli autorizzatori
di qualunque specie;
b) la
consegna o il trasporto delle merci;
c) i
servizi non prestati per via elettronica.
Sono inoltre fatte salve dal
decreto sul commercio elettronico, ove non espressamente derogate, le
disposizioni in materia bancaria, finanziaria, assicurativa e dei sistemi di
pagamento[16]
nonché le competenze degli organi amministrativi e degli organi di polizia
aventi funzioni di vigilanza e di controllo, compreso il controllo sulle reti
informatiche di cui alla legge 31 luglio 1997, n. 249[17], e delle autorità
indipendenti di settore (art. 2, comma 3).
L'art. 3 del decreto sul
commercio elettronico introduce il principio in base al quale il controllo
dei servizi della società dell’informazione deve essere effettuato all’origine
dell’attività[18].
Ai sensi dell’art. 3, comma 1,
del provvedimento, pertanto, i servizi della società dell’informazione
forniti da un prestatore stabilito – come definito dall’art. 2 – sul
territorio italiano devono conformarsi alle disposizioni nazionali applicabili
nell'ambito regolamentato, oltre che alle norme del decreto in esame.
Le disposizioni relative
all'ambito regolamentato (definito dall’art. 2, comma 1, lett. h), sopra
illustrato) non possono d’altra parte limitare la libera circolazione dei
servizi della società dell’informazione provenienti da un prestatore stabilito
in un altro Stato membro (art. 3, comma 2).
Si specifica inoltre che alle controversie
che riguardano il prestatore stabilito si applicano le disposizioni del
regolamento CE n. 44/2001 del Consiglio del 22 dicembre 2000, concernente la
competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in
materia civile e commerciale (art. 3, comma 3)[19].
Le disposizioni dei commi 1 e 2
dell'art. 3, appena esaminate, non trovano applicazione nei seguenti
casi (art. 4):
a) diritti d’autore, diritti
assimilati, diritti di cui alla legge 21 febbraio 1989, n. 70 e al decreto
legislativo 6 maggio 1999, n. 169, nonché diritti di proprietà industriale;
b) emissione di moneta
elettronica da parte di istituti per i quali gli Stati membri hanno applicato
una delle deroghe di cui all’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva
2000/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l’avvio,
l’esercizio e la vigilanza prudenziale dell’attività degli istituti di moneta
elettronica;
c) l’articolo 44, paragrafo 2,
della direttiva 85/611/CEE, in materia di pubblicità degli organismi di
investimento collettivo in valori mobiliari;
d) all’attività assicurativa di
cui all’articolo 30 e al titolo IV della direttiva 92/49/CEE (terza direttiva
sulle assicurazioni sui danni), agli articoli 7 e 8 della direttiva 88/357/CEE
(seconda direttiva sulle assicurazioni sui danni); al titolo IV della direttiva
92/96/CEE (terza direttiva sulle assicurazioni sulla vita) e all’articolo 4
della direttiva 90/619/CEE (seconda direttiva sulle assicurazioni sulla vita),
come modificate dalla direttiva 2002/83/CE;
e) facoltà delle parti di
scegliere la legge applicabile al loro contratto;
f) obbligazioni contrattuali
riguardanti i contratti conclusi dai consumatori;
g) validità dei contratti che
istituiscono o trasferiscono diritti relativi a beni immobili nei casi in cui
tali contratti devono soddisfare requisiti formali;
h) ammissibilità delle
comunicazioni commerciali non sollecitate per posta elettronica.
Ai sensi dell’art. 5, comma 1,
del decreto sul commercio elettronico, la libera circolazione di un determinato
servizio della società dell’informazione proveniente da un altro Stato membro
può inoltre essere limitata, con provvedimento dell’autorità
giudiziaria o degli organi amministrativi di vigilanza o delle autorità
indipendenti di settore, per motivi di:
a) ordine pubblico, per l’opera
di prevenzione, investigazione, individuazione e perseguimento di reati, in
particolare la tutela dei minori e la lotta contro l’incitamento all’odio
razziale, sessuale, religioso o etnico, nonché contro la violazione della
dignità umana;
b) tutela della salute pubblica;
c) pubblica sicurezza, compresa
la salvaguardia della sicurezza e della difesa nazionale;
d) tutela dei consumatori, ivi
compresi gli investitori.
I provvedimenti di cui sopra
possono essere adottati solo se, nel caso concreto, siano (art. 5, comma 2):
a) necessari riguardo ad un
determinato servizio della società dell’informazione lesivo degli obiettivi
posti a tutela degli interessi pubblici di cui al comma 1 dell’art. 5,
ovvero che costituisca un rischio serio
e grave di pregiudizio agli stessi obiettivi;
b) proporzionati a tali
obiettivi.
Fatti salvi i procedimenti
giudiziari e gli atti compiuti nell’ambito di un‘indagine penale, l’autorità
competente, per il tramite del Ministero delle attività produttive ovvero
l’autorità indipendente di settore, deve, prima di adottare il provvedimento
limitativo (art. 5, comma 3):
a) chiedere allo Stato membro di
cui al comma 1 dell’art. 5 di prendere provvedimenti e verificare che essi non
sono stati presi o che erano inadeguati;
b) notificare alla Commissione
europea e allo Stato membro di cui al comma 1 dell’art. 5, la sua intenzione di
adottare tali provvedimenti. Dei provvedimenti adottati dalle autorità
indipendenti, è data periodicamente comunicazione al Ministero competente.
In caso di urgenza, i
soggetti di cui al comma 3 dell’art. 5 possono derogare a dette condizioni. I
provvedimenti, in tal caso, sono notificati nel più breve tempo possibile alla
Commissione e allo Stato membro, insieme ai motivi dell’urgenza (art. 5, comma
4).
5.
Regime di stabilimento e di informazione
Ai sensi dell’art. 6 del
provvedimento in esame, l’accesso all’attività di un prestatore di un
servizio della società dell’informazione e il suo esercizio non sono soggetti,
in quanto tali, ad autorizzazione preventiva o ad altra misura di effetto equivalente
(Principio dell’assenza di autorizzazione preventiva).
Secondo la relazione
illustrativa, tale principio “costituisce quasi un postulato del principio di
libera circolazione, ribadendo che il
prestatore di servizi deve essere libero di accedere all’attività di fornitura
di tali servizi in qualsiasi Stato membro, senza necessità di autorizzazione
preventiva nello Stato prescelto, essendo soggetto agli adempimenti
amministrativi soltanto nello Stato di origine”.
Sono d’altra parte fatte salve
le disposizioni sui regimi di autorizzazione che non riguardano
specificatamente ed esclusivamente i servizi della società dell’informazione o
i regimi di autorizzazione nel settore dei servizi delle telecomunicazioni di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 19 settembre 1997, n. 318, dalla
cui applicazione sono esclusi i servizi della società dell'informazione (art.
6, comma 2)[20].
Ciò posto, il successivo art. 7
del D.L.vo 70/2003 stabilisce le informazioni generali obbligatorie che
devono essere fornite dal prestatore di un servizio della società
dell’informazione.
La disposizione in parola
prevede infatti che il prestatore, in aggiunta agli obblighi informativi
previsti per specifici beni e servizi, debba rendere facilmente accessibili,
in modo diretto e permanente, ai destinatari del servizio – come sopra
definiti – e alle Autorità competenti, le seguenti informazioni:
a) il nome, la denominazione o
la ragione sociale;
b) il domicilio o la sede
legale;
c) gli estremi che permettono di
contattare rapidamente il prestatore e di comunicare direttamente ed
efficacemente con lo stesso, compreso l’indirizzo di posta elettronica;
d) il numero di iscrizione al
repertorio delle attività economiche, REA, o al registro delle imprese;
e) gli elementi di individuazione
nonché gli estremi della competente autorità di vigilanza qualora un’attività
sia soggetta a concessione, licenza od autorizzazione;
f) per quanto riguarda in
particolare le professioni regolamentate, come definite dall’art. 2:
1)
l’ordine professionale o istituzione analoga, presso cui il prestatore sia
iscritto e il numero di iscrizione;
2) il
titolo professionale e lo Stato membro in cui è stato rilasciato;
3) il
riferimento alle norme professionali e agli eventuali codici di condotta vigenti
nello Stato membro di stabilimento e le modalità di consultazione dei medesimi;
g) il numero della partita IVA o
altro numero di identificazione considerato equivalente nello Stato membro,
qualora il prestatore eserciti un’attività soggetta ad imposta;
h) l’indicazione in modo chiaro
ed inequivocabile dei prezzi e delle tariffe dei diversi servizi della società
dell’informazione forniti, evidenziando se comprendono le imposte, i costi di
consegna ed altri elementi aggiuntivi da specificare;
i) l’indicazione delle attività
consentite al consumatore e al destinatario del servizio e gli estremi del
contratto qualora un’attività sia soggetta ad autorizzazione o l’oggetto della
prestazione sia fornito sulla base di un contratto di licenza d’uso.
Si specifica altresì che il
prestatore è tenuto a mantenere aggiornate le informazioni di cui sopra
(art. 7, comma 2).
In considerazione delle
incertezze sorte in proposito, il decreto dispone infine, espressamente, che la
registrazione della testata editoriale telematica è obbligatoria
esclusivamente per le attività per le quali i prestatori del servizio intendano
avvalersi delle provvidenze previste dalla legge 7 marzo 2001, n. 62 (art.
7, comma 3)[21].
Si segnala sin d’ora che, come
si vedrà meglio in seguito, la violazione dell’art. 7 appena illustrato,
qualora il fatto non costituisca reato, comporta l’applicazione della sanzione
amministrativa pecuniaria di cui all’art. 21 del provvedimento.
6.
Comunicazioni commerciali e spamming
Il provvedimento sul commercio
elettronico, in aggiunta agli obblighi informativi previsti per specifici beni
e servizi ed alle informazioni generali obbligatorie illustrate, pone inoltre,
all’art. 8, specifici obblighi di informazione con riguardo alle comunicazioni
commerciali, come sopra definite[22].
Le comunicazioni commerciali che
costituiscono un servizio della società dell’informazione o che di esso siano
parte integrante, devono infatti contenere, sin dal primo invio, in modo chiaro
ed inequivocabile, una specifica informativa, diretta ad evidenziare:
a) che si tratta di
comunicazione commerciale;
b) la persona fisica o giuridica
per conto della quale è effettuata la comunicazione commerciale;
c) che si tratta di un’offerta
promozionale come sconti, premi, o omaggi e le relative condizioni di accesso;
d) che si tratta di concorsi o
giochi promozionali, se consentiti, e le relative condizioni di partecipazione.
Viene altresì disciplinata dal
decreto in esame quella particolare categoria di comunicazioni commerciali
costituita dalle comunicazioni commerciali non sollecitate (spamming).
L’art. 9, comma 1, sancisce
infatti che tale genere di comunicazioni, trasmesse da un prestatore per
posta elettronica devono, in modo chiaro e inequivocabile, essere identificate
come tali fin dal momento in cui il destinatario le riceve e contenere
l’indicazione che il destinatario del messaggio può opporsi al loro ricevimento
per il futuro.
Sono d’altra parte fatti
espressamente salvi gli obblighi previsti in materia dal D.L.vo
185/1999 e dal D.L.vo 171/1998, che regolano in ambiti diversi la
questione del consenso all’invio di comunicazioni non sollecitate[23].
Occorre ricordare in proposito
che un primo schema del provvedimento in parola prevedeva l’istituzione di un registro
nazionale presso gli uffici del Garante per la protezione dei dati
personali; registro nel quale avrebbero potuto iscriversi i soggetti che non si
fossero dichiarati contrari a ricevere e-mail commerciali e che avrebbe dovuto
dunque essere consultato dalle società che operano in Internet prima di inviare
comunicazioni promozionali.
L’istituzione di un siffatto
registro è stata però oggetto di parere sfavorevole del Garante, il quale ha
rilevato che essa sarebbe stata innanzitutto “fuori delega”.
Infatti, dice il Garante nel suo
parere, “sia in base all’espressa disposizione della direttiva europea sul
commercio elettronico, sia in base ai riferimenti contenuti nella legge delega
[legge comunitaria 2001], il legislatore italiano non ha ‘competenza’ ad
introdurre disposizioni che incidano sul trattamento dei dati personali
nell’ambito della disciplina riguardante il commercio elettronico.
L’Italia, come altri Paesi, poi,
ha da tempo introdotto la regola secondo cui le comunicazioni on-line
commerciali o pubblicitarie richiedono il consenso preventivo del destinatario,
piuttosto che la successiva opposizione ad ulteriori invii (opt
out).
Tale sistema basato sul
cosiddetto ‘opt in’, già in
vigore in cinque Paesi europei, è stato prescelto quest’anno come regola comune
a livello comunitario ed è ora ‘obbligatorio’ per i Paesi membri dell’Unione
europea, a seguito della recente adozione della direttiva
2002/58/CE sulle comunicazioni elettroniche”[24].
Con il testo definitivo del
decreto sul commercio elettronico il legislatore ha dunque rinunciato
all’istituzione di un simile registro nazionale[25].
In tema di spamming,
il D.L.vo 70/2003 stabilisce inoltre, in favore del destinatario dei messaggi,
che la prova del carattere sollecitato delle comunicazioni commerciali è
onere del prestatore del servizio (art. 9, comma 2).
Viene infine dettata una
disposizione specifica circa l’uso delle comunicazioni commerciali nelle
professioni regolamentate, come sopra definite: l’impiego di
comunicazioni commerciali che costituiscono un servizio della società
dell’informazione o che di esso sono parte, fornite da chi esercita una
professione regolamentata, deve essere conforme alle regole di deontologia
professionale e in particolare, all’indipendenza, alla dignità, all’onore della
professione, al segreto professionale e alla lealtà verso clienti e colleghi (art.
10)[26].
Come si vedrà meglio, alla
violazione delle disposizioni di cui agli artt. 8, 9
e 10 appena esaminati l’art. 21 fa conseguire, anche in questo caso,
l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria ove il fatto non
costituisca reato.
[1] Decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico, GU Serie gen. 87 del 14 aprile 2003, Suppl. ord.
L’entrata in vigore del provvedimento è stata fissata al trentesimo giorno dalla data della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (art. 22).
Nella medesima GU è stato pubblicato inoltre anche il D.L.vo 9 aprile 2003, n. 68, Attuazione della direttiva 2001/29/CE sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione. Sull’argomento si rimanda all’Osservatorio di www.iusreporter.it dedicato al Diritto d’autore, raggiungibile all’indirizzo www.iusreporter.it/Testi/osservaautore.htm.
[2] La legge comunitaria 2001 (legge 1 marzo 2002, n. 39, Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2001, GU 72 del 26 marzo 2002, Suppl. ord.) aveva infatti delegato il Governo ad emanare un decreto legislativo per dare attuazione alla direttiva europea sul commercio elettronico.
Si riporta il testo dell’art. 31 della legge comunitaria 2001:
“Art. 31 (Attuazione della direttiva 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno)
1. Il Governo è delegato ad emanare, entro il termine e con le modalità di cui all'articolo 1, commi 1 e 2, un decreto legislativo per dare organica attuazione alla direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno, nel rispetto dei princípi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 2, nonché dei seguenti princípi e criteri direttivi:
a) definire le informazioni obbligatorie generali che devono essere fornite dal prestatore di un servizio ai destinatari del servizio stesso ed alle competenti autorità da designare ai sensi della normativa vigente nonché le modalità per renderle accessibili, in modo facile, diretto e permanente; in particolare, devono essere indicati in modo chiaro e inequivocabile i prezzi dei servizi, anche riguardo alle imposte e ai costi di consegna e deve essere reso esplicito che l'obbligo di registrazione della testata editoriale telematica si applica esclusivamente alle attività per le quali i prestatori del servizio intendano avvalersi delle provvidenze previste dalla legge 7 marzo 2001, n. 62, o che comunque ne facciano specifica richiesta;
b) definire gli obblighi di informazione sia per la comunicazione commerciale che per la comunicazione non sollecitata; quanto a quest'ultima, ai sensi della normativa sul trattamento dei dati personali, devono essere incoraggiati ed agevolati sistemi di filtraggio da parte delle imprese. In ogni caso, l'invio di comunicazioni non sollecitate per posta elettronica non deve dare luogo a costi supplementari di comunicazione per il destinatario;
c) definire l'impiego di comunicazioni commerciali fornite da soggetti che esercitano una professione regolamentata, nel rispetto delle relative norme applicabili, nonché forme e procedure di consultazione e cooperazione con gli ordini professionali, nel rispetto della loro autonomia, per la predisposizione delle pertinenti norme e per incoraggiare l'elaborazione di codici di condotta a livello comunitario che precisino le informazioni che possono essere fornite a fini di comunicazioni commerciali;
d) disciplinare la responsabilità dei prestatori intermediari con riferimento all'attività di semplice trasporto; in particolare, il prestatore non sarà considerato responsabile delle informazioni trasmesse a condizione che:
1) non sia esso stesso a dare origine alla trasmissione;
2) non selezioni il destinatario della trasmissione;
3) non selezioni né modifichi le informazioni trasmesse;
e) disciplinare la responsabilità dei prestatori con riferimento alla memorizzazione temporanea detta "caching"; il prestatore non sarà considerato responsabile della memorizzazione automatica, intermedia e temporanea di tali informazioni, effettuata al solo scopo di rendere più efficace il successivo inoltro ad altri destinatari a loro richiesta, a condizione che egli:
1) non modifichi le informazioni;
2) si conformi alle condizioni di accesso alle informazioni;
3) si conformi alle norme di aggiornamento delle informazioni;
4) indichi tali informazioni in un modo ampiamente riconosciuto e utilizzato dalle imprese del settore;
5) non interferisca con l'uso lecito delle tecnologie ampiamente riconosciute ed utilizzate nel settore per ottenere dati sull'impiego delle stesse informazioni;
6) agisca prontamente per rimuovere le informazioni che ha memorizzato o per disabilitarne l'accesso, non appena venga effettivamente a conoscenza del fatto che le informazioni sono state rimosse dal luogo dove si trovavano inizialmente sulla rete o che l'accesso alle informazioni è stato disabilitato oppure che un organo giurisdizionale o un'autorità amministrativa ne ha disposto la rimozione o la disabilitazione dell'accesso;
f) disciplinare la responsabilità dei prestatori con riferimento all'attività cosiddetta di "hosting"; il prestatore non sarà considerato responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che egli:
1) non sia effettivamente al corrente del fatto che l'attività o l'informazione è illecita;
2) per quanto attiene alle azioni risarcitorie, non sia al corrente dei fatti o di circostanze che rendano manifesta l'illegalità dell'attività o dell'informazione;
3) non appena al corrente di tali fatti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l'accesso;
g) disciplinare le modalità con le quali i prestatori di servizi delle società dell'informazione sono tenuti ad informare senza indugio la pubblica autorità competente di presunte attività o informazioni illecite dei destinatari dei loro servizi o a comunicare alle autorità competenti, a loro richiesta, informazioni che consentano l'identificazione dei destinatari dei loro servizi, con cui hanno accordi di memorizzazione dei dati;
h) favorire l'elaborazione, da parte di associazioni o di organizzazioni imprenditoriali, professionali o di consumatori, di codici di condotta per evitare violazioni dei diritti, garantire la protezione dei minori e salvaguardare la dignità umana;
i) prevedere misure sanzionatorie effettive, proporzionate e dissuasive nei confronti delle violazioni;
l) prevedere che il prestatore di servizi è civilmente responsabile del contenuto di tali servizi nel caso in cui, richiesto dall'autorità giudiziaria o amministrativa, non ha agito prontamente per impedire l'accesso a detto contenuto, ovvero se, avendo avuto conoscenza del carattere illecito o pregiudizievole per un terzo del contenuto di un servizio al quale assicura l'accesso, non ha usato la dovuta diligenza;
m) prevedere che, in caso di dissenso fra prestatore e destinatario del servizio della società dell'informazione, la composizione extragiudiziale delle controversie possa adeguatamente avvenire anche per via elettronica”.
Sulle varie fasi del recepimento della direttiva 2000/31/CE, si veda l’Osservatorio di www.iusreporter.it dedicato al Commercio elettronico, raggiungibile all’indirizzo www.iusreporter.it/Testi/agg-commel.htm.
[3] Gazzetta Ufficiale CE L 178 del 17 luglio 2000 (successiva rettifica in GUCE L 285 del 23 ottobre 2002).
Per un commento all’intero provvedimento, si veda G. Briganti, La direttiva sul commercio elettronico, in Iusreporter, www.iusreporter.it, www.iusreporter.it/Testi/doc-dircommel.htm.
[4] Si farà, più precisamente, riferimento al testo della relazione illustrativa riportato dalla notifica dello schema di decreto legislativo alla Commissione europea, effettuata con nota n. 2003 DAR 0029/I del 24 gennaio 2003.
[6] Si veda M. Cammarata, Troppe norme, occorre un testo unico, in InterLex, www.interlex.it, www.interlex.it/ecomm/troppenorme.htm.
Nello stesso sito, v. M. Cammarata, Le trappole nei contratti di hosting, secondo cui “Il testo [del provvedimento] è criptico, confuso, ridondante, con diversi passaggi che fanno rabbrividire i giuristi più attenti”; G. Scorza, “Testata editoriale telematica”: le sviste del legislatore, secondo cui “Purtroppo il testo del decreto legislativo 70/03 delude le grandi aspettative che attorno ad esso si erano create e non appare neppure rispondente alle finalità ed agli obiettivi individuati dal legislatore comunitario”.
[7] Con riguardo anche ai considerando 12, 13 e 16 della direttiva 2000/31/CE.
[8] Con riguardo in particolare all’IVA, imposta che colpisce numerosi servizi contemplati dal provvedimento sul commercio elettronico, rilevante è la direttiva 2002/38/CE del 7 maggio 2002, che modifica temporaneamente la direttiva 77/388/CEE per quanto riguarda il regime di imposta sul valore aggiunto applicabile ai servizi di radiodiffusione e di televisione e a determinati servizi prestati tramite mezzi elettronici, GUCE L 128 del 15 maggio 2002.
[9] Legge 31 dicembre 1996, n. 675, Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali, GU Serie gen. 5 dell’8 gennaio 1997, meglio nota come “legge sulla privacy”.
[10] D.L.vo 171/1998, Disposizioni in materia di tutela della vita privata nel settore delle telecomunicazioni, in attuazione della direttiva 97/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, ed in tema di attività giornalistica, GU Serie gen. 127 del 3 giugno 1998.
Deve segnalarsi in proposito che la direttiva 97/66/CE attuata in Italia con il D.L.vo 171/1998 è stata abrogata e sostituita dalla recente direttiva 2002/58/CE del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche), GUCE L 201 del 31 luglio 2002.
Le disposizioni del D.L.vo 171/1998 sono pertanto destinate ad essere presto superate dalla normativa di attuazione della direttiva 2002/58/CE.
Sul punto, si veda G. Briganti, Comunicazioni elettroniche. Sicurezza, riservatezza, spamming, in Iusreporter, www.iusreporter.it, www.iusreporter.it/Testi/comunicazionielettroniche.pdf.
[11] Considerando 58 della direttiva 2000/31/CE: “La presente direttiva non deve applicarsi ai servizi di prestatori stabiliti in un paese terzo. Tuttavia, data la dimensione globale del commercio elettronico, è opportuno garantire la coerenza della normativa comunitaria con quella internazionale. La presente direttiva deve far salvi i risultati delle discussioni sugli aspetti giuridici in corso presso le organizzazioni internazionali (tra le altre, OMC, OCSE, Uncitral)”.
[12] La legge 21 giugno 1986, n. 317 (GU 151 del 2 luglio 1986) reca oggi: Procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione in attuazione della direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998, modificata dalla direttiva 98/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 luglio 1998.
La disposizione citata nel testo specifica inoltre che per servizio a distanza deve intendersi “un servizio fornito senza la presenza simultanea delle parti”; per servizio per via elettronica “un servizio inviato all’origine e ricevuto a destinazione mediante attrezzature elettroniche di trattamento, compresa la compressione digitale e di memorizzazione di dati e che è interamente trasmesso, inoltrato e ricevuto mediante fili, radio, mezzi ottici od altri mezzi elettromagnetici”; per servizio a richiesta individuale di un destinatario di servizi “un servizio fornito mediante trasmissione di dati su richiesta individuale”.
[13] Il testo dello schema di decreto legislativo di attuazione notificato alla Commissione europea, prevedeva, in aggiunta, le parole “quando svolgono funzioni meramente ausiliarie e preparatorie”.
A questo proposito, si ricorda quanto contenuto nel parere (favorevole con osservazioni) espresso dalla X Commissione parlamentare sullo schema di provvedimento:
“a) con riferimento all'articolo 2, comma 1, lettera c), si valuti l'opportunità di mantenere nel testo del decreto legislativo la precisazione che la presenza e l'uso di mezzi tecnici e delle tecnologie necessarie per prestare un servizio non costituiscono di per sé uno stabilimento del prestatore «quando svolgono funzioni meramente ausiliarie e preparatorie», atteso che tale precisazione non trova corrispondenza nella direttiva - la quale stabilisce che il luogo di stabilimento è quello in cui le società esercitano la loro attività economica e che, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, dello schema, la disciplina nazionale risulta applicabile ai prestatori stabiliti sul territorio italiano”.
Si veda l’Osservatorio di www.iusreporter.it sul Commercio elettronico, sopra citato.
[14] D.L.vo 27 gennaio 1992, n. 115, Attuazione della direttiva n. 89/48/CEE relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni, GU 40 del 18 febbraio 1992, il cui articolo 2 (“Professioni”) prevede:
“1. Ai fini del presente decreto si considerano professioni:
a) le attività per il cui esercizio è richiesta la iscrizione in albi, registri ed elenchi, tenuti da amministrazioni o enti pubblici, se la iscrizione è subordinata al possesso di una formazione professionale rispondente al requisito di cui al comma 3 dell'art. 1;
b) i rapporti di impiego pubblico o privato, se l'accesso ai medesimi è subordinato, da disposizioni legislative o regolamentari, al possesso di una formazione professionale rispondente al requisito di cui al comma 3 dell'art. 1;
c) le attività esercitate con l'impiego di un titolo professionale il cui uso è riservato a chi possiede una formazione professionale rispondente al requisito di cui al comma 3 dell'art. 1;
d) le attività attinenti al settore sanitario nei casi in cui il possesso di una formazione professionale rispondente al requisito di cui al comma 3 dell'art. 1 è condizione determinante ai fini della retribuzione delle relative prestazioni o della ammissione al rimborso”.
L’art. 2 (“Professioni”) del D.L.vo 2 maggio 1994, n. 319 (Attuazione della direttiva 92/51/CEE relativa ad un secondo sistema generale di riconoscimento della formazione professionale che integra la direttiva 89/48/CEE, GU 123 del 28 maggio 1994, Suppl. Ord.) così recita:
“1. Ai fini del presente decreto si considerano professioni:
a) le attività per il cui esercizio è richiesta la iscrizione in albi, registri ed elenchi, tenuti da amministrazioni o enti pubblici, se la iscrizione è subordinata al possesso di una formazione professionale rispondente ai requisiti di cui ai commi 3 e 4 dell'art. 1;
b) i rapporti di impiego pubblico o privato, se l'accesso ai medesimi è subordinato, da disposizioni legislative o regolamentari, al possesso di una formazione professionale rispondente ai requisiti di cui ai commi 3 e 4 dell'art. 1;
c) le attività esercitate con l'impiego di un titolo professionale il cui uso è riservato a chi possiede una formazione professionale rispondente ai requisiti di cui ai commi 3 e 4 dell'art. 1;
d) le attività attinenti al settore sanitario nei casi in cui il possesso di una formazione professionale rispondente ai requisiti di cui ai commi 3 e 4 dell'art. 1 è condizione determinante ai fini della retribuzione delle relative prestazioni o della ammissione al rimborso”.
[15] Tenuto conto di quanto enunciato dal considerando 21 della direttiva sul commercio elettronico:
“Il campo d'applicazione dell'ambito regolamentato lascia impregiudicata un'eventuale armonizzazione futura all'interno della Comunità dei servizi della società dell'informazione e la futura legislazione adottata a livello nazionale in conformità della normativa comunitaria.
L'ambito regolamentato comprende unicamente requisiti riguardanti le attività in linea, quali l'informazione in linea, la pubblicità in linea, la vendita in linea, i contratti in linea, e non comprende i requisiti legali degli Stati membri relativi alle merci, quali le norme in materia di sicurezza, gli obblighi di etichettatura e la responsabilità per le merci, o i requisiti degli Stati membri relativi alla consegna o al trasporto delle merci, compresa la distribuzione di prodotti medicinali.
L'ambito regolamentato non comprende l'esercizio dei diritti di prelazione su taluni beni, quali le opere d'arte, da parte delle autorità pubbliche”.
[16] Con riferimento a questa norma, si riporta l’osservazione espressa dalla X Commissione parlamentare nel suo parere sullo schema di decreto legislativo:
“b) con riferimento all'articolo 2, comma 3, che fa salve le specifiche disposizioni relative alla materia bancaria, finanziaria, assicurativa e dei sistemi di pagamento, appare opportuno valutare attentamente - anche alla luce della comunicazione della Commissione europea sul commercio elettronico e i servizi finanziari, del 7 febbraio 2001 - se tale previsione non limiti o escluda di fatto la possibilità di applicare il decreto legislativo al commercio on line di prodotti bancari, finanziari o assicurativi, introducendo un'esclusione non prevista dalla direttiva”.
[17] L. 31 luglio 1997, n. 249, Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo, GU Serie gen. 177 del 31 luglio 1997, Suppl. ord.
[18] Principio esplicitato nei considerando 22 e 24 della direttiva 2000/31/CE.
“Il controllo dei servizi della società dell'informazione deve essere effettuato all'origine dell'attività, al fine di assicurare una protezione efficace degli obiettivi di interesse pubblico, ed è pertanto necessario garantire che l'autorità competente assicuri questa tutela non soltanto per i cittadini del suo paese ma anche per tutti cittadini della Comunità.
Per migliorare la fiducia reciproca tra gli Stati membri, è indispensabile specificare chiaramente questa responsabilità dello Stato membro in cui i servizi hanno origine.
Inoltre, per garantire efficacemente la libera circolazione dei servizi e la certezza del diritto per i prestatori e i loro destinatari, questi servizi devono in linea di principio essere sottoposti alla normativa dello Stato membro nel quale il prestatore è stabilito” (considerando 22).
“Nel contesto della presente direttiva, nonostante il principio del controllo alla fonte dei servizi della società dell'informazione, è legittimo, alle condizioni stabilite dalla presente direttiva, che gli Stati membri adottino misure per limitare la libera circolazione dei servizi della società dell'informazione” (considerando 24).
[19] Regolamento 44/2001/CE, GUCE L 12 del 16 gennaio 2001; successiva rettifica in GUCE L 307 del 24 novembre 2001.
Il Regolamento, entrato in vigore il primo marzo 2002, ha sostituito la Convenzione di Bruxelles sottoscritta il 27 settembre 1968 (GUCE C 189 del 28 luglio 1990) e la Convenzione di Lugano del 16 settembre 1988.
Il principio fondamentale accolto dal Regolamento in materia di competenza giurisdizionale è quello secondo cui la competenza a conoscere di una data controversia presentante elementi di estraneità spetta al giudice dello Stato in cui è domiciliato il convenuto, indipendentemente dalla cittadinanza di quest’ultimo.
A questo proposito, infatti, l’art. 2, par. 1, stabilisce che, salve le altre disposizioni del Regolamento, le persone domiciliate nel territorio di un determinato Stato membro sono convenute, a prescindere dalla loro nazionalità, davanti ai giudici di tale Stato membro.
Si veda T. Ballarino, Diritto Internazionale Privato, Padova, Cedam.
[20] D.P.R. 19 settembre 1997, n. 318, Regolamento per l’attuazione di direttive comunitarie nel settore delle telecomunicazioni, GU Serie gen. 221 del 22 settembre 1997, Suppl. ord.
[21] Legge 7 marzo 2001, n. 62, Nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla legge 5 agosto 1981, n. 416, GU Serie gen. 67 del 21 marzo 2001.
Critico sulla disposizione dell’art. 7, comma 3, è G. Scorza, “Testata editoriale telematica”: le sviste del legislatore cit., secondo cui “la disposizione – frutto di un cattivo ‘suggerimento’ del legislatore delegante prontamente raccolto dall’esecutivo – è infatti caratterizzata da una concentrazione di errori e sviste linguistiche prima ancora che giuridiche”.
[22] Per un approfondimento sulla disciplina riservata dalla direttiva europea sul commercio elettronico alle comunicazioni commerciali, si veda G. Briganti, Le comunicazioni commerciali nella società dell’informazione, in Iusreporter, www.iusreporter.it, www.iusreporter.it/Testi/comunicazioni2.htm.
[23] A questo proposito, si ricorda che l’art. 10 (“Chiamate indesiderate”), comma 1, D.L.vo 171/1998, con riguardo alla tutela della vita privata nel settore delle telecomunicazioni, stabilisce che “l’uso di un sistema automatizzato di chiamata senza intervento di un operatore o del telefax per scopi di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta, ovvero per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale interattiva, è consentito con il consenso espresso dell’abbonato”.
Il secondo comma della disposizione citata prevede d’altra parte che le chiamate effettuate per le medesime finalità di cui sopra, ma con mezzi diversi da quelli ivi indicati, siano consentite ai sensi degli articoli 11 e 12 della legge sulla privacy (L. 675/1996).
L’art. 10 D.L.vo 171/1998 è però destinato ad essere sostituito dalla futura normativa nazionale di recepimento della già menzionata direttiva 2002/58/CE relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche, il cui art. 13 (“Comunicazioni indesiderate”) prevede quanto segue:
“1. L'uso di sistemi automatizzati di chiamata senza intervento di un operatore (dispositivi automatici di chiamata), del telefax o della posta elettronica a fini di commercializzazione diretta è consentito soltanto nei confronti degli abbonati che abbiano espresso preliminarmente il loro consenso.
2. Fatto salvo il paragrafo 1, allorché una persona fisica o giuridica ottiene dai suoi clienti le coordinate elettroniche per la posta elettronica nel contesto della vendita di un prodotto o servizio ai sensi della direttiva 95/46/CE, la medesima persona fisica o giuridica può utilizzare tali coordinate elettroniche a scopi di commercializzazione diretta di propri analoghi prodotti o servizi, a condizione che ai clienti sia offerta in modo chiaro e distinto al momento della raccolta delle coordinate elettroniche e ad ogni messaggio la possibilità di opporsi, gratuitamente e in maniera agevole, all'uso di tali coordinate elettroniche qualora il cliente non abbia rifiutato inizialmente tale uso.
3. Gli Stati membri adottano le misure appropriate per garantire che, gratuitamente, le comunicazioni indesiderate a scopo di commercializzazione diretta, in casi diversi da quelli di cui ai paragrafi 1 e 2, non siano permesse se manca il consenso degli abbonati interessati oppure se gli abbonati esprimono il desiderio di non ricevere questo tipo di chiamate; la scelta tra queste due possibilità è effettuata dalla normativa nazionale.
4. In ogni caso, è vietata la prassi di inviare messaggi di posta elettronica a scopi di commercializzazione diretta camuffando o celando l'identità del mittente da parte del quale la comunicazione è effettuata, o senza fornire un indirizzo valido cui il destinatario possa inviare una richiesta di cessazione di tali comunicazioni.
5. Le disposizioni di cui ai paragrafi 1 e 3 si applicano agli abbonati che siano persone fisiche. Gli Stati membri garantiscono inoltre, nel quadro del diritto comunitario e della normativa nazionale applicabile, un'adeguata tutela degli interessi legittimi degli abbonati che non siano persone fisiche relativamente alle comunicazioni indesiderate”.
L’art. 10 del D.L.vo 185/1999 (Attuazione della direttiva 97/7/CE relativa alla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza, GU Serie gen. 143 del 21 giugno 1999), con riguardo ai contratti a distanza conclusi dai consumatori, al primo comma stabilisce invece che “l’impiego da parte di un fornitore del telefono, della posta elettronica di sistemi automatizzati di chiamata senza l’intervento di un operatore o di fax, richiede il consenso preventivo del consumatore”.
L’art. 10, comma 2, D.L.vo 185/1999 prevede d’altra parte che tecniche di comunicazione a distanza diverse da quelle di cui sopra, qualora consentano una comunicazione individuale, possano essere impiegate dal fornitore se il consumatore non si dichiara esplicitamente contrario.
Si veda anche l’art. 10 della recente direttiva 2002/65/CE del 23 settembre 2002, concernente la commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori e che modifica la direttiva 90/619/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE e 98/27/CE, GUCE L 271 del 9 ottobre 2002.
Occorre infine osservare che rimane altresì impregiudicata la disciplina in materia di protezione dei dati personali di cui alla L. 675/1996, la quale contiene norme rilevanti anche in materia di spamming.
Per un approfondimento in tema di spamming si veda G. Briganti, Spamming e diritto, in Iusreporter, www.iusreporter.it, www.iusreporter.it/Testi/doc-spamming.htm. Nello stessso sito v.: G. Briganti, Le comunicazioni elettroniche indesiderate, www.iusreporter.it/Testi/spamming2.htm; Osservatorio sullo Spamming, www.iusreporter.it/Testi/osservaspamming.htm.
[24] Pertanto, solo in sede di recepimento della direttiva 2002/58/CE, prosegue il Garante nel suo parere, “potranno prevedersi disposizioni più articolate, mentre lo schema attuale di decreto legislativo sul commercio elettronico potrebbe, al massimo, rinviare alle disposizioni nazionali sulla privacy”.
“Il sistema ipotizzato nei primi lavori preparatori sul commercio elettronico imporrebbe, quindi, un inutile obbligo di consultare il registro da parte di chiunque desidera inviare e-mail commerciali ovvero di milioni di persone, non potendo incidere sulle norme vigenti che impongono alle società di raccogliere il preventivo consenso informato dei destinatario.
Oltre a queste contraddizioni, il Garante evidenzia anche insuperabili difficoltà di realizzazione del meccanismo proposto.
Difficoltà di aggiornamento, praticamente quotidiano, e di consultazione imporrebbero ingenti oneri finanziari, sia sotto il profilo delle spese da sostenere per la gestione del sistema, sia per le risorse umane da dedicare al suo funzionamento, tali da renderlo da subito del tutto ingestibile”.
Garante per la protezione dei dati personali, Newsletter 28 ottobre – 3 novembre 2002, www.garanteprivacy.it.
[25] In tema di spamming, il legislatore non ha poi accolto l’osservazione formulata dalla X Commissione parlamentare nel parere più volte citato, in cui si legge quanto segue:
“d) in relazione a quanto disposto dall'articolo 9, che disciplina le comunicazioni commerciali non sollecitate, appare opportuno prevedere sistemi di filtraggio delle informazioni da parte delle imprese, in conformità a quanto previsto dall'articolo 31, comma 1, lettera b), della legge di delega”.
[26] Con riferimento all’art. 10, nel parere espresso dalla X Commissione parlamentare sullo schema di decreto di attuazione si legge quanto segue:
“e) con riferimento all'articolo 10, relativo all'uso delle comunicazioni commerciali nelle professioni regolamentate, si valuti l'opportunità di prevedere forme e procedure di consultazione con gli ordini professionali, secondo quanto stabilito dall'articolo 31, comma 1, lettera c), della legge di delega”.
Sull’uso delle comunicazioni commerciali nelle professioni regolamentate si veda G. Briganti, Le comunicazioni commerciali nella società dell’informazione, cit., par. 5.
Con riguardo in particolare alla professione forense, si ricorda che in data 26 ottobre 2002 il Consiglio Nazionale Forense ha introdotto nuove regole in materia di pubblicità informativa dell’avvocato, modificando l’art. 17 del vigente Codice deontologico.
Il nuovo testo della disposizione citata (“Informazioni sull'esercizio professionale”) consente all’avvocato di dare informazioni sulla propria attività professionale, secondo correttezza e verità, nel rispetto della dignità e del decoro della professione e degli obblighi di segretezza e riservatezza.
Quanto ai mezzi di informazione, prosegue l’art. 17, devono ritenersi consentiti, per quel che qui interessa:
- le brochures informative inviate anche a mezzo posta a soggetti determinati;
- gli annuari professionali, le rubriche, le riviste giuridiche, i repertori e i bollettini con informazioni giuridiche;
- i rapporti con la stampa (secondo quanto stabilito dall’articolo 18 del Codice deontologico);
- i siti web e le reti telematiche (Internet), purché propri dell’avvocato o di studi legali associati o di società di avvocati, nei limiti della informazione, e previa segnalazione al Consiglio dell’ordine. Con riferimento ai siti già esistenti l’avvocato è tenuto a procedere alla segnalazione al Consiglio dell’ordine di appartenenza entro 120 giorni.
Devono al contrario ritenersi vietati, tra l’altro, i giornali e gli annunci pubblicitari in genere; i mezzi di divulgazione anomali e contrari al decoro; le sponsorizzazioni; le telefonate di presentazione e le visite a domicilio non specificatamente richieste; l’utilizzazione di Internet per offerta di servizi e consulenze gratuite, in proprio o su siti di terzi.
Quanto ai contenuti della informazione, il nuovo testo dell’art. 17 del Codice deontologico forense consente l’indicazione dei seguenti dati:
- i dati personali necessari (nomi, indirizzi, anche web, numeri di telefono e fax e indirizzi di posta elettronica, dati di nascita e di formazione del professionista, fotografie, lingue conosciute, articoli e libri pubblicati, attività didattica, onorificenze, e quant’altro relativo alla persona, limitatamente a ciò che attiene all’attività professionale esercitata);
- le informazioni dello studio (composizione, nome dei fondatori anche defunti, attività prevalenti svolte, numero degli addetti, sedi secondarie, orari di apertura);
- l’indicazione di un logo;
- l'indicazione della certificazione di qualità (l'avvocato che intenda fare menzione di una certificazione di qualità deve depositare presso il Consiglio dell'ordine il giustificativo della certificazione in corso di validità e l'indicazione completa del certificatore e del campo di applicazione della certificazione ufficialmente riconosciuta dallo Stato).
In particolare, è espressamente consentita l’utilizzazione della rete Internet e del sito web per l'offerta di consulenza, nel rispetto dei seguenti obblighi:
- indicazione dei dati anagrafici, partita Iva e Consiglio dell’ordine di appartenenza;
- impegno espressamente dichiarato al rispetto del Codice deontologico, con la riproduzione del testo, ovvero con la precisazione dei modi o mezzi per consentirne il reperimento o la consultazione;
- indicazione della persona responsabile;
- specificazione degli estremi della eventuale polizza assicurativa, con copertura riferita anche alle prestazioni on-line e indicazione dei massimali;
- indicazione delle vigenti tariffe professionali per la determinazione dei corrispettivi.
È vietata invece l’indicazione di dati che riguardano terze persone; dei nomi dei clienti (il divieto deve ritenersi sussistente anche con il consenso dei clienti); delle specializzazioni (salvo le specifiche ipotesi previste dalla legge); dei prezzi delle singole prestazioni (è vietato pubblicare l’annuncio che la prima consultazione è gratuita); delle percentuali delle cause vinte o l’esaltazione dei meriti; del fatturato individuale o dello studio; di promesse di recupero; di offerte comunque di servizi (in relazione a quanto disposto dall’articolo 19 del Codice deontologico forense).