ORIENTAMENTI GENERALI

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Nel mercato del lavoro, negli ultimi anni, si registra un crescente dinamismo. Anche se, dunque, non è del tutto esaustiva un’analisi che si fermi al dato normativo attuale, è pur vero che, per intuire gli orientamenti della legislazione di domani, è basilare un’analisi mirata delle linee politico-normative odierne.

L’esigenza di anticipare e prevedere il quadro legislativo di riferimento è resa pressante dalla peculiare articolazione delle fonti che, in particolare nel diritto del lavoro, si è ormai consolidata. Secondo una gerarchia avvalorata da costante prassi, gli orientamenti più generali provengono dall’Unione Europea; nonostante tali indirizzi abbiano, di solito, il carattere di direttiva e, quindi, lascino agli Stati membri ampia discrezionalità circa le modalità di attuazione, essi  tracciano, spesso, dei quadri d’intervento che costituiscono un perimetro di riferimento per la legislazione interna, nonché delle indicazioni assai precise e vincolanti per ottenere finanziamenti a valere sul Fondo Sociale Europeo (FSE), attraverso gli strumenti di cui si darà conto a breve. Il Parlamento italiano ha gradualmente consacrato, in materia, la tecnica della legge-delega e, a volte, del regolamento cd. “delegato”: attraverso i principi e gli orientamenti così individuati, il Governo è autorizzato ad emanare norme attuative che rendano operativi gli indirizzi predisposti dalle Camere.

Costituisce esempio di questa tecnica la legge 14 febbraio 2003 n. 30 (cd. Legge Biagi); è, appunto, anche dall’interpretazione dei criteri e linee guida indicati in tale provvedimento che è possibile formulare delle ipotesi circa gli sviluppi che il mondo del lavoro seguirà ed, in particolare, intuire quali formule contrattuali e tipologie di rapporti e interrelazioni in continuo dinamismo e flessibilità costelleranno l’universo-lavoro. Spetta, poi, alle Regioni offrire un ancor più puntuale livello di realizzazione agli strumenti predisposti a livello nazionale, in virtù del D. Lgs. N. 469/1997 che trasferisce alle Regioni, appunto, parecchie funzioni nevralgiche nel settore delle politiche attive del lavoro e della formazione. E’ compito, infine, degli enti locali e, in primis, delle Province, prevalentemente attraverso i centri per l’impiego, adattare e modellare sulle istanze ed esigenze delle comunità di riferimento gli strumenti e gli stimoli provenienti a livello regionale; siffatta delega è espressamente prevista dalla legge regionale n. 38/1998 la quale, al titolo III individua puntualmente funzioni e organi provinciali; tra questi ultimi, ruolo da veri protagonisti delle dinamiche del mercato del lavoro sarà giocato dai centri per l’impiego dislocati sul territorio di ciascuna provincia, secondo criteri individuati dalla legge stessa.

Accingendoci, pertanto, a dare conto degli sviluppi intervenuti nel diritto del lavoro negli ultimi anni, secondo il profilo prospettico appena delineato, è d’obbligo iniziare con un esame sommario del ruolo svolto dall’UE in materia. A livello comunitario, è la Strategia Europea per l’Occupazione (SEO) che, di anno in anno, ha delineato gli indirizzi e le priorità da perseguire. Il Consiglio di Lussemburgo del 1997 ha dato il via definendo quattro obiettivi (cd. pilastri) all’interno dei quali devono essere precisate le strategie di utilizzo dei fondi europei e, in particolare, del FSE, fonte principale di finanziamento, allo stato, di gran parte delle iniziative promosse dalla provincia. I pilastri summenzionati sono:

1)  miglioramento dell’occupabilità;

2)  sviluppo dell’imprenditorialità;

3)  incoraggiamento della capacità di adattamento delle imprese e dei lavoratori;

4)  potenziamento delle politiche di pari opportunità.

Tali obiettivi oltre a costituire le fondamenta per gli interventi comunitari da attuare nel periodo 2000 – 2006, fungeranno da punti di riferimento a cui i singoli Stati si dovranno attenere ai fini della predisposizione dei Piani Annuali per l’Occupazione (NAP – National Action Plan). I singoli Stati membri presentano il proprio NAP sulla base di trattative con le parti sociali e tenendo conto degli assi da seguire per l’abbassamento del tasso di disoccupazione e l’incentivazione delle politiche attive, che sono frutto di accordo, di anno in anno, fra  l’UE (in particolare la SEO) e i rappresentanti delle istanze nazionali. Spetta agli organi comunitari (Commissione e Consiglio) verificare la compatibilità dei Piani Annuali per l’Occupazione con gli orientamenti dell’UE ed, eventualmente, adottare raccomandazioni nei confronti degli Stati che non abbiano attuato la richiesta convergenza di politiche nel settore. Già dagli indirizzi offerti dalla Strategia Europea per l’Occupazione emerge chiaramente il ruolo di primo piano dei centri per l’impiego: all’interno del primo dei pilastri summenzionati, difatti, la SEO ha individuato l’obiettivo della modernizzazione dei Servizi Pubblici per l’Impiego e delinea, all’uopo, degli strumenti e moduli operativi come:

Ø   monitoraggio del processo di sviluppo dei Servizi Pubblici per l’Impiego;

Ø   definizione di un calendario per la graduale attivazione dei servizi;

Ø   riqualificazione del personale;

Ø   lotta alla disoccupazione giovanile;

Ø   prevenzione della disoccupazione di lunga durata.

L’esigenza di un decentramento a livello locale è affermata dagli organi comunitari ed è confermata dal Masterplan nazionale dei Servizi per l’Impiego; quest’ultimo è frutto di accordi raggiunti all’interno della Conferenza Stato-Regioni che hanno lo scopo di promuovere la funzionalità dei nuovi servizi. Tale strumento di programmazione indica gli assetti organizzativi e le aree funzionali che devono, in linea di massima, essere organizzate in modo omogeneo su tutti i territori regionali, nell’ambito del FSE 2000 – 2006. Entro tale quadro si dovrà dar corso alla riforma dei Servizi per l’Impiego, valorizzando adeguatamente il ricorso al cofinanziamento FSE. A tal proposito sembra doveroso prevedere che l’allargamento ad Est dell’UE provocherà, con ogni probabilità, una drastica riduzione delle risorse attingibili dal suddetto fondo europeo e, dunque, è necessario attivare iniziative nel settore lavoro e formazione con tempismo e consapevolezza adeguati, al fine di non lasciarsi sfuggire opportunità, da un lato, senza, però, dall’altro lato, trascurare di ponderare le fonti di finanziamento alternative che alimentino le attività, una volta che, dal 2006 in poi, saremo costretti a “camminare sulle nostre gambe” anche nel campo in esame. Tra le forme di procacciamento di risorse si suggerisce di vagliare la convenienza di ricorrere alle tipologie operative indicate dal Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (D. Lgs. 267/2000), tra cui, ad esempio contratti di sponsorizzazione (di cui all’art. 119 del T.U. citato), magari a fronte di convenzioni con poli universitari, che, probabilmente, sarebbero uno dei partner ideali, dato il comune coinvolgimento nel campo dell’arricchimento delle risorse umane. Attraverso tali strumenti, nel mentre in cui  si offre il servizio di conoscenza di iniziative di formazione (ad esempio masters, tirocini formativi, stages) promosse dall’Università (o associazioni di categoria od organismi di ogni altro tipo, ovviamente), si garantisce un ritorno in termini di pubblicità all’Università stessa; inoltre, quest’ultima, mediante il meccanismo della defiscalizzazione, potrebbe destinare parte del proprio budget finanziario a iniziative dirette allo sviluppo del territorio e/o di risorse umane.

Sempre nell’ottica di elevare i livelli di efficienza e abbattere elementi di costo, raggiungendo, al tempo stesso, la creazione di una rete sistemica che valorizzi le potenzialità e la competitività dell’intero territorio, sono da potenziare anche le forme di convenzioni e consorzi per la gestione sinergica dei servizi. A tal fine pare opportuno sottolineare gli strumenti di cooperazione sia fra soggetti pubblici (v. in specie gli istituti disciplinati dal D. Lgs. 267/2000 agli artt. 30 e ss. e, in particolare, le convenzioni e i consorzi) sia fra pubblico e privato (si pensi all’esperienza dei patti territoriali).

Tornando, dopo questi rapidi spunti operativi che si è ritenuto importante evidenziare fin da subito, alla panoramica degli interventi normativi che si sono succeduti, ai vari livelli, negli ultimi anni, è attraverso il Masterplan nazionale che sono concordati standards qualitativi e quantitativi di funzionamento. Col medesimo sono fissati pure, secondo criteri di gradualità, gli steps temporali per il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Gli scopi dei Servizi per l’Impiego indicati come prioritari sono:

1)  accoglienza e gestione delle procedure amministrative;

2)  agevolazione dell’incontro domanda/offerta di lavoro;

3)  prevenzione di disoccupazione, in particolare di medio/lungo periodo;

4)  coinvolgimento nelle dinamiche lavorative di fasce deboli quali donne, giovani e soggetti svantaggiati.

Il Masterplan nazionale imputa all’ASSE A del FSE le risorse indispensabili per l’incrementazione (o la vera e propria introduzione) dei servizi che dovranno essere gestiti dagli apparati della pubblica amministrazione, come visto in modo prevalentemente decentrato; l’asse A, difatti, prevede finanziamenti per “contribuire all’occupabilità dei soggetti in cerca di lavoro attraverso l’offerta di un’ampia gamma di misure, anche integrabili tra loro, di prevenzione della disoccupazione” e, inoltre, per “sostenere la riforma dei Servizi per l’Impiego al fine di rendere operativi gli obiettivi descritti”. All’interno dell’ASSE A è stato, così, enucleato uno scopo prioritario: “sostenere il decollo dei Servizi per l’impiego”, che è stato formalizzato nell’obiettivo 3 del National Action Plan, di cui si faceva cenno poc’anzi, e nei relativi Piani Regionali in un’articolata gamma di azioni.

Alla luce di quanto si dirà a breve sul trasferimento delle funzioni dallo Stato alle Regioni, documento fondamentale risulta essere il Masterplan regionale. Attraverso tale strumento si predispongono sia, a priori, delle linee programmatiche idonee a impostare gli interventi secondo criteri di omogeneità, sia, a posteriori, delle forme di controllo per verificare i livelli di quantità e qualità concretamente offerti; si dovrà, così, giungere a un opportuno bilanciamento fra le esigenze di autonomia delle Province, chiamate a svolgere un ruolo attivo di erogazione concreta dei servizi, e quelle di coerenza e tendenziale uniformità, almeno a livello regionale. Spetterà, appunto, a ciascuna Regione svolgere tale ruolo di coordinamento e monitoraggio, così come, del resto, è previsto per l’attività di pianificazione in generale, dal Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (v. in particolare l’art. 5 del D. Lgs. 267/2000).

Mediante il Masterplan e gli strumenti operativi all’uopo ideati, dunque, si evidenzieranno, da un lato, le criticità e le manifestazioni di inefficienza e, dall’altro lato, si esalteranno le punte di efficacia presenti sul territorio, al fine di implementare e diffondere nelle altre province della Regione (e, gradualmente, anche al di là di tali confini) esperienze che abbiano garantito ragguardevoli livelli di qualità e risultato. Si possono ipotizzare anche delle forme di premialità, assicurando in via preferenziale finanziamenti a quelle iniziative che si siano dimostrate fattibili e meritevoli di potenziamento, così da riprodurre, nel rapporto Regioni – Province, quelle tipologie di incentivazione all’efficienza che sono già pienamente operative nella distribuzione delle risorse del FSE e che si sono dimostrate foriere di una stimolante competitività territoriale.

Proseguendo, in fase discendente, il resoconto sulle innovazioni normative nel settore lavoro e formazione, anche a livello statale si è dato corso agli stimoli provenienti dall’UE. Sono state assecondate, così, le raccomandazioni che sollecitavano una “dimensione locale della strategia europea per l’occupazione”, una “diffusione capillare sul territorio” e una “valorizzazione delle migliori esperienze locali”. Nell’ambito di un ampio e articolato processo di decentramento delle funzioni amministrative, il primo passo verso una più decisa localizzazione dei Servizi per l’Impiego è rappresentato dalla cd. legge Bassanini (L. n. 59/1997). Il D. Lgs. n. 469/1997 ha prontamente dato attuazione alla delega contenuta in tale provvedimento legislativo, conferendo a Regioni ed enti locali le funzioni amministrative in materia di mercato del lavoro e rivoluzionando l’essenza stessa dei servizi offerti: la ratio potrebbe riassumersi in “sempre meno adempimenti burocratici e sempre più prestazioni concrete e sostanziali al cittadino utente”. Si è passati, così, da un ufficio di collocamento concepito come sede di procedure prevalentemente formali (in primis timbri), a centri per l’impiego polifunzionali, deputati a curare l’intero settore del lavoro lato sensu: dalle attività formative e di specializzazione per accrescere la propria capacità concorrenziale e il proprio valore aggiunto da offrire sul mercato del lavoro, a procedure che accelerino l’incontro domanda/offerta, a servizi di consulenza e sostegno di vario tipo all’imprenditorialità e alla conoscenza delle concrete possibilità di inserimento calibrato sulle personali aspettative e attitudini.

Il D. Lgs. 469/1997 assegna alle Regioni funzioni di politica attiva, programmazione, coordinamento e indirizzo, mentre sono stati indicati i centri per l’impiego come le istituzioni di base del mercato del lavoro, attributari di funzioni di guida e attuazione specifica delle politiche attive, previa puntuale analisi e monitoraggio dell’offerta e della domanda di occupazione. La riforma, peraltro, oltre a rinnovare la gamma dei servizi messi a disposizione delle varie comunità locali, ha pure modificato l’organizzazione delle strutture deputate alla fornitura degli stessi. Il precedente sistema ministeriale, che era articolato nelle Direzioni regionali e provinciali e nelle Sezioni circoscrizionali è stato sostituito da un modello organizzativo basato sul ruolo delle Regioni e delle Province e sulle nuove strutture amministrative deputate all’erogazione dei servizi: i centri per l’impiego.

Prima di approfondire le rivoluzionarie competenze di questi ultimi organismi, attraverso un esame della legislazione regionale, sembra opportuno, per esigenze di organicità e per rispettare la metodologia che si è illustrata all’inizio, proseguire con i provvedimenti di livello statale, per concludere, successivamente, con la legislazione regionale che, del resto, è la realizzazione, a livello territoriale, degli indirizzi manifestati dal Parlamento e, ancor prima, dall’UE, secondo una prospettiva che fa emergere una chiara linea di continuità.

Soggette a un particolare fermento normativo sono le procedure per il collocamento, sia ordinario che obbligatorio. Per quanto riguarda quest’ultimo, fondamentale è la legge n. 68/1999, intitolata “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”. Il menzionato provvedimento legislativo ha operato una trasformazione che ha comportato il passaggio da una modalità di inserimento lavorativo di tipo burocratico ed impositivo (basato sostanzialmente su una lista dalla quale venivano enucleati, in modo piuttosto asettico, dei nominativi da avviare tramite chiamata numerica, secondo quanto previsto dalla L. n. 482/1968) ad una modalità di inserimento mirato; questa si fonda su un’attenta analisi, da un lato, delle concrete menomazioni del disabile e, dall’altro lato, delle potenzialità e attitudini che lo stesso esprime, calibrando le stesse in relazione ai diversi profili professionali disponibili. La nuova procedura introdotta dalla legge n. 68/1999 prevede, allo scopo, l’elaborazione di percorsi personalizzati volti a valorizzare ed elevare la professionalità della persona e, conseguentemente, il livello di funzionalità ed operatività nell’ambiente lavorativo. Per quanto concerne il riparto delle competenze, alle Regioni è attribuito il coordinamento del sistema di collocamento mirato in armonia con la riforma dei servizi pubblici per l’impiego. Sono, difatti, gli organismi regionali di cui al D. Lgs. n. 469/1997 ad individuare, nell’ambito del “nuovo sistema dei servizi per l’impiego e delle relative reti informative”, gli uffici (all’interno del centro per l’impiego) competenti e legittimati a programmare gli interventi, alla tenuta delle liste, alla stipula delle convenzioni e a tutti gli adempimenti finalizzati alla realizzazione del collocamento mirato.

Per quanto riguarda il collocamento ordinario, invece, si sono succeduti diversi provvedimenti che denotano il fermento e confermano la ratio del legislatore diretta a uno snellimento delle procedure burocratiche e, contestualmente, a una focalizzazione sulle prestazioni sostanziali rivolte agli utenti. Sicuramente da notare sono il decreto legislativo n. 181/2000, intitolato “Disposizioni per agevolare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro in attuazione dell’art. 45 della L. n. 144/1999” e il relativo regolamento di esecuzione (D.P.R. n. 442/2000) che hanno notevolmente semplificato le procedure del collocamento ordinario. Fulcro del sistema non è più il soggetto formalmente iscritto nelle liste di collocamento, bensì, come si esprime il nuovo tessuto normativo, la “persona priva di occupazione che sia alla ricerca attiva di un lavoro”. E’ stata, parallelamente, riformulata la definizione giuridica dello stato di disoccupazione in modo da incentrare l’attenzione sul dato sostanziale: “essere senza lavoro, immediatamente disponibile e alla ricerca di un’occupazione”. La tradizionale funzione del controllo burocratico dello stato di disoccupazione viene sostituita con una funzione attiva di prevenzione, nell’ottica di uno snellimento degli adempimenti e delle procedure e un potenziamento dei servizi, rivolti sia ai lavoratori che alle imprese.

In stretta successione sistematica e cronologica rispetto ai provvedimenti appena evidenziati, è stato emanato dal Consiglio dei Ministri il D. Lgs. n. 297/2002 che contiene, appunto, disposizioni correttive del D. Lgs. n. 181/2000 e integra anche altre fonti in materia, in specie il D.P.R. n. 257/2000 e il D.P.R. n. 442/2000. Il D. Lgs. n. 297/2002 ha introdotto profonde modifiche nel sistema dei servizi all’impiego, volte a definire i principi fondamentali per l’esercizio della potestà legislativa delle Regioni in materia di revisione e razionalizzazione delle procedure del collocamento, in funzione dell’agevolazione dell’incontro domanda/offerta di lavoro. Sono stati, inoltre, ridefiniti i principi per l’individuazione dei soggetti potenziali destinatari delle misure di promozione dell’inserimento nel mercato del lavoro, nella logica di intraprendere strategie preventive della disoccupazione giovanile e di lunga durata; al proposito l’art. 5, comma 1, lettera a) del D. Lgs. n. 297/2002 ha modificato l’art. 4, comma 1, lettera a) del D. Lgs. n. 181/2000, che attualmente assicura la conservazione dello stato di disoccupazione qualora, eventualmente, si svolga un’attività lavorativa che procuri un reddito annuale non superiore al reddito minimo personale escluso da imposizione. Per determinare tale reddito minimo personale si fa riferimento all’imponibile escluso da imposizione che è pari a € 4.500,00 annui per il lavoro autonomo e pari a € 7.500,00 annui per i rapporti di lavoro dipendente. Il suddetto reddito annuale personale escluso da imposizione dovrà essere adeguato sulla base delle disposizioni fiscali stabilite a livello nazionale.