NORMATIVA DELLA REGIONE MARCHE IN TEMA DI MERCATO DEL LAVORO

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 Dopo aver dato conto dei principali provvedimenti di livello comunitario e nazionale che hanno interessato il mondo del lavoro, si illustreranno, sia pure in linea di massima, le innovazioni apportate dalla legislazione regionale delle Marche, in attuazione degli orientamenti indicati nelle due sedi di livello superiore ora menzionate.

Le tappe che hanno segnato il graduale accrescimento del ruolo svolto, nei settori del lavoro e della formazione, dagli enti locali sono le leggi regionali susseguitesi negli ultimi anni, fino ad arrivare alla fondamentale l. reg. n. 38/1998, che esamineremo in maniera puntuale.

La legge regionale n. 16/1990 ha delineato, in modo particolare, delle forme di intervento nel settore della formazione professionale; la l. reg. n. 2/1996 ha completato il processo di delega delle competenze in materia di attività formative alle Amministrazioni Provinciali; la l. reg. n. 31/1997, intitolata “Interventi per sostenere e favorire nuova occupazione e istituzione dell’osservatorio del mercato del lavoro”, ha tentato di porre a sistema i vari strumenti di intervento regionale in materia di formazione e politiche attive, anticipando, peraltro, alcuni spunti operativi che sono stati, poi, sviluppati a livello nazionale. Per quanto riguarda l’osservatorio del mercato del lavoro, è da precisare subito che le funzioni di tale organismo, indicate al capo II della l. reg. n. 31/1997, nonché l’attività di monitoraggio, sono svolte dall’ARMAL (Agenzia Regionale Marche Lavoro), struttura tecnica istituita dalla legge regionale n. 38/1998. E’ quest’ultima, come accennato, che rappresenta il fulcro delle iniziative e il perno per la programmazione e il raggiungimento degli obiettivi a livello marchigiano. Essa disciplina l’esercizio delle funzioni e chiarisce il riparto delle competenze fra Regione ed enti locali, in attuazione del disposto del D. Lgs. n. 468/1997 e D. Lgs. n. 469/1997; è previsto, così, un’articolazione di attribuzioni nei settori del mercato del lavoro e della formazione professionale che assicuri l’integrazione tra i servizi per l’impiego, le politiche attive del lavoro e le attività di formazione professionale, in base ai principi di sussidiarietà, di cooperazione istituzionale e di concertazione tra le parti sociali.

Per quanto riguarda il principio di sussidiarietà, la legge in commento, in modo del tutto coerente, distingue le funzioni di programmazione e indirizzo, da un lato, e quelle di gestione ed erogazione dei servizi, dall’altro lato; le prime spettano alla Regione, le seconde alle Province (come a breve si darà conto nel dettaglio). Ai Comuni è riconosciuta espressamente solo la possibilità assicurare, attraverso propri uffici e previ accordi con la Provincia competente, assistenza al cittadino per qualsiasi pratica amministrativa che riguarda le funzioni disciplinate dalla presente legge. Quanto agli strumenti del coordinamento e della concertazione, la Regione Marche è da tempo che li adotta nei processi decisionali e di programmazione che le competono e di ciò offre testimonianza il Comitato di concertazione Regione - parti sociali, istituito nel 1993. Nell’ambito delle funzioni inerenti al mercato del lavoro e delle altre disciplinate dalla l. reg. n. 38/1998, quest’ultima ha, peraltro, assai potenziato il ricorso alla cooperazione e alla concertazione attraverso l’istituzione di organismi ad hoc: la Commissione regionale per il lavoro, la Commissione provinciale per le politiche del lavoro e la Conferenza interistituzionale di coordinamento regionale.

La prima costituisce la sede di concertazione per la progettazione, la proposta, la valutazione e la verifica delle linee programmatiche e delle politiche del lavoro e sue funzioni principali sono di consulenza (esprime pareri obbligatori sul piano triennale e annuale degli interventi per le politiche attive del lavoro), nonché di ordine amministrativo, ad esclusione delle competenze riservate alla Commissione provinciale. Anche quest’ultima, come quella regionale, è una commissione paritetica, in quanto costituita da rappresentanti delle organizzazioni datoriali e sindacali più rappresentative a livello territoriale e ha funzioni in prevalenza propulsive e consultive, in analogia, sempre, col suo omologo di ambito regionale. La Conferenza interistituzionale di coordinamento regionale ha lo scopo precipuo di realizzare l’integrazione tra i servizi all’impiego, le politiche attive del lavoro e le politiche formative; in tale ottica, i suoi compiti più rilevanti sono di impulso, mediante la formulazione di proposte nei confronti della Giunta regionale e degli altri enti attributari di funzioni nei settori in esame, nonché di consulenza sugli indirizzi regionali e sugli atti rispetto ad essi conseguenti.

Sempre all’interno della trama delle proficue  interrelazioni fra i diversi attori dei settori in argomento e nell’ottica di una reciproca collaborazione, la Regione, le Province, le Comunità montane e i Comuni sono tenuti a fornirsi informazioni, dati statistici e ogni altro elemento utile allo svolgimento dei rispettivi compiti, anche attraverso la costituzione di sistemi informativi comuni. Fungeranno da ponti di raccordo, per promuovere l’azione coordinata di Regioni ed enti locali, la Conferenza Regionale e le Conferenze Provinciali delle autonomie.

Per completare gli strumenti operativi di cooperazione, anche da un punto di vista più prettamente tecnico, l’art. 9 legge cit. istituisce l’ ARMAL (Agenzia Regionale Marche Lavoro). Tale organismo ha molteplici funzioni che vanno dalla assistenza tecnica, monitoraggio e informazione (fornendo anche elementi utili alla Giunta regionale per l’attività di programmazione), alla realizzazione di interventi specifici ed erogazione di servizi specialistici. L’ARMAL, oltre ad essere organismo ausiliario degli organi regionali, nel senso appena indicato, svolge assistenza tecnica pure nei confronti delle Province, anche al fine di garantire standards uniformi nei livelli di prestazioni erogati dai centri per l’impiego (su cui ci si soffermerà a breve), nonché, infine, assicura, il collegamento con il SIL (Sistema Informativo del Lavoro).

Passando, ora, a individuare in modo più specifico il riparto delle competenze fra i due attori fondamentali nel campo dei servizi volti all’inserimento lavorativo e alla formazione professionale, funzione fondamentale della Regione è quella di redigere e approvare i piani annuale e triennale degli interventi, nell’ambito di attribuzioni, come visto, in prevalenza di indirizzo e programmazione. Il piano triennale degli interventi per le politiche attive per il lavoro ha come scopo quello di definire:

Ø   gli obiettivi e gli interventi da realizzare per l’esercizio delle funzioni di alcune tra le principali funzioni delle Regioni, tra cui sono degne di nota:

a)   la programmazione e il coordinamento delle iniziative volte a incrementare l’occupazione (specie per lo sviluppo dell’imprenditorialità e del lavoro autonomo, favorendo le categorie, sotto diversi profili, svantaggiate, le donne, i giovani e gli iscritti alle liste di collocamento);

b)   compiti di indirizzo per l’incentivare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro;

c)  attività di programmazione e verifica di tirocini formativi, di borse lavoro, di lavori socialmente utili e di progetti relativi all’occupazione di soggetti tossicodipendenti ed ex detenuti;

Ø   gli interventi di formazione professionale previsti dall’art. 4 della l. reg. n. 16/1990;

Ø   gli interventi di sostegno all’occupazione previsti dall’art. 2 della l. reg. n. 31/1997;

Ø   gli indirizzi per le attività dell’ARMAL;

Ø   le risorse finanziarie per ognuno dei tre anni interessati.

Al piano annuale degli interventi, garantendo la coerenza con il piano triennale, spetta di definire le tipologie, le priorità, e i livelli degli interventi, nonché di ripartire le risorse finanziarie, con l’eventuale previsione di una partecipazione degli utenti mediante tariffe per l’accesso ai servizi.

Per quanto riguarda le funzioni che la l. reg. n. 38/1998 attribuisce alle Province, bisogna rilevare la coerenza nel riparto delle competenze: difatti, tra i compiti principali delle Amministrazioni provinciali, spiccano quelli connessi alla gestione ed erogazione dei servizi relativi alle funzioni che abbiamo indicato poc’anzi alle lettere a), b) e c), dalle quali emergeva chiaramente la vocazione, viceversa, tipicamente programmatoria delle Regioni. Da sottolineare sono anche le funzioni provinciali concernenti il sostegno dell’occupazione di cui alla l. reg. n. 31/1997 (con esclusione, però, delle competenze relative agli interventi straordinari in aree con gravi squilibri tra domanda e offerta di lavoro e di quelle spettanti all’ARMAL in veste di Osservatorio regionale sul mercato del lavoro).

Alle Province, inoltre, il primo comma dell’art. 20, l. reg. n. 38/1998 attribuisce funzioni in materia di:

·     collocamento:

a)   ordinario;

b)   agricolo;

c)   dello spettacolo in base a una lista unica di livello nazionale;

d)   obbligatorio;

e)   dei lavoratori a domicilio;

f)   dei lavoratori domestici;

g)   dei lavoratori non appartenenti all’Unione Europea;

·     avviamento a selezione negli enti pubblici e nelle pubbliche amministrazioni, tranne quello relativo alle amministrazioni centrali dello Stato e agli uffici centrali degli enti pubblici nazionali;

·     preselezione e incontri tra domanda e offerta di lavoro;

·     iniziative dirette a incrementare l’occupazione e a incentivare l’incontro domanda/offerta nel mercato del lavoro, riservando particolare attenzione a donne e giovani.

Risultano confermate, peraltro, le funzioni che le Amministrazioni provinciali esercitavano già prima della l. reg. n. 38/1998, in virtù di leggi statali e regionali, comprese quelle in materia di formazione professionale.

Il braccio operativo delle Province, per l’erogazione e la gestione dei servizi connessi alle attribuzioni disposte con la legge de quo, sono i centri per l’impiego (Cpl). L’istituzione di tali organismi spetta alle Province, ma fase preliminare imprescindibile è quella della individuazione, da parte della Giunta regionale, dei bacini di utenza territoriali; quest’ultimi comprendono una comunità, di regola, di almeno 100.000 abitanti. Tenendo conto di questo e degli altri parametri delineati dalla l. reg. n. 38/1998, nella regione Marche sono stati attivati 13 centri per l’impiego, 3 per ogni Provincia (Pesaro-Urbino, Macerata e Ascoli Piceno), tranne la Provincia di Ancona che ne abbraccia quattro. Per quanto riguarda la nostra Provincia, utilizzando i dati del censimento 2001, fonte Regione Marche – Istat, la situazione è la seguente:

 

Denominazione Cpl

Popolazione residente

Cpl Ascoli Piceno

105.684

Cpl Fermo

156.426

Cpl San Benedetto del Tronto

103.106

 

Soffermandoci ancora al profilo logistico, sono le Province a definire l’organizzazione dei Cpl, sulla base delle risorse a disposizione e utilizzando in modo prioritario il personale, gli strumenti e le strutture delle scuole regionali di formazione professionale, trasferite alle Province medesime; la direzione degli stessi, infine, deve essere affidata a personale che ricopra incarichi dirigenziali.

Passando a un profilo più sostanziale, i centri per l’impiego, all’interno dell’architettura delineata dalla l. reg. n. 38/1998, rivestono un ruolo di primissimo piano e sono l’asse portante per l’attivazione concreta degli interventi a favore dei destinatari dei servizi. La funzione probabilmente principale dei centri per l’impiego è quella inerente alla gestione ed erogazione dei servizi enumerati dall’art. 20 della l. reg. n. 38/1998 e di cui si è dato conto poc’anzi. Tuttavia non sono assolutamente da trascurare i numerosi altri compiti che sono attribuiti a tali strumenti:

Ø   progettazione, organizzazione e gestione di corsi di formazione professionale;

Ø   accesso a percorsi formativi, come:

               a) corsi individuali;

    b) corsi specifici;

    c) corsi a occupazione garantita;

d)  contratti di formazione e lavoro (CFL);

e)   corsi di formazione sul lavoro;

Ø   promozione dell’utilizzo degli incentivi all’occupazione per le imprese;

Ø   promozione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro mediante accessi telematici;

Ø   attività di informazione, di orientamento e di consulenza individuale;

Ø   attività amministrativa connessa alle funzioni conferite.

Ai fini di una più capillare ed efficiente gestione di una così vasta gamma di servizi, le Province istituiscono, inoltre, ulteriori bracci operativi denominati centri locali per la formazione che fungono da articolazioni, anche decentrate, dei centri per l’impiego. Tali strumenti sono attivati utilizzando, in via prioritaria, le scuole regionali di formazione professionale, ma le Amministrazioni provinciali si possono servire, all’uopo, anche di altri centri locali, purchè, da siffatta scelta, non derivino ulteriori oneri finanziari a carico della Regione. La principale funzione che è assegnata ai centri locali per la formazione è l’attività formativa di cui alle leggi regionali n. 16/1990 e n. 2/1996.

Dopo aver enucleato quali siano i diversi ruoli istituzionali degli attori che interagiscono nel mercato del lavoro, è interessante analizzare come siano stati utilizzati, in concreto, gli strumenti predisposti dal reticolato normativo. Ci si soffermerà, così, sul Piano Triennale degli Interventi, che abbiamo visto essere il documento cardine di esplicazione delle competenze regionali. La programmazione, per il periodo 2000–2002 prevede, in linea di massima, un duplice canale di operatività: in prima battuta, si sottolinea l’esigenza di un rafforzamento globale del sistema, in seconda battuta, si individuano interventi specifici in materia di politiche attive del lavoro.

Scendendo ancor più nello specifico, il Piano approvato dal Consiglio della Regione Marche, per il triennio 2000 – 2002, individua alcune linee d’indirizzo generali:

§     integrazione delle politiche attive del lavoro con le politiche formative;

§     raggiungimento degli obiettivi di sviluppo individuati in alcuni documenti regionali;

§     raggiungimento degli obiettivi delle politiche attive del lavoro definiti a livello nazionale e comunitario;

§     adeguamento delle strutture centrali e periferiche alle nuove funzioni e procedure con contestuale sviluppo di un apparato di strumenti di informazione, monitoraggio e valutazione.

Per quanto riguarda il potenziamento dei servizi, in base agli indirizzi programmatici per il periodo considerato, sono stati predisposte una serie di azioni puntuali:

¨   creazione di un sistema qualificato, strutturato in rete tra gli attori territoriali privati e pubblici

 

¨   garanzia di servizi diffusi di orientamento e informazione;

¨   predisposizione di percorsi efficaci di inserimento lavorativo;

¨   rafforzamento del canale dell’apprendistato;

¨   strutturazione di strategie di formazione continua;

¨   rafforzamento e adeguamento degli strumenti di monitoraggio delle politiche, nonché la valutazione e l’analisi dei fabbisogni.

Per l’attivazione coordinata e sistematica di un numero così elevato e qualificato di interventi, abbiamo visto come la legislazione nazionale (in particolare il D. Lgs. n. 469/1997) e, in attuazione di questa, la legislazione regionale (per le Marche, si sottolinea, ancora una volta, la portata decisiva della l. reg. n. 38/1998) abbiano delineato un quadro chiaro delle attribuzioni; si è, altresì, evidenziata la posizione di primo piano in cui sono stati collocati i centri per l’impiego.

Seguendo le direttive così definite dalle fonti normative di vario livello, la Regione Marche, in sede di approvazione del Piano per gli interventi delle politiche attive del lavoro 2000 – 2002, ha individuato, di concerto con le Province, la gamma dei servizi da erogare, al termine del triennio, da tutti i Cpl:

Ø   accoglienza;

Ø   informazione;

Ø   adempimenti amministrativi;

Ø   incontro domanda/offerta e consulenza alle imprese;

Ø   consulenza orientativa per il lavoro, offrendo particolare sostegno all’inserimento lavorativo;

Ø   progettazione di interventi formativi;

Ø   orientamento e sostegno all’inserimento lavorativo dei disabili;

Ø   incentivi alla creazione di impresa;

Ø   bilancio di competenze.

Considerando la molteplicità di compiti e funzioni e l’eterogeneità dei soggetti che saranno gli attori del mercato del lavoro, si è avvertita l’esigenza di indicare degli standards qualitativi che tendano a garantire una certa uniformità nelle performances assicurate dai vari operatori, in primis dai Cpl. La necessità di predisporre dei parametri omogenei è sentita in maniera più pressante dalla Regione Marche, in cui le tradizioni di decentramento e autonomia hanno, nel tempo, consolidato specificità locali bisognose di una “riconduzione a sistema”. L’esigenza di identificare standards minimi di qualità dei servizi quale base per l’architettura generale del sistema di erogazione ha portato alla decisione di elaborare un documento strategico e preparatorio rispetto al Piano Triennale; tale strumento contiene le indicazioni relative agli standards di qualità dei servizi per l’impiego da adottare a livello regionale e sul quale si sono confrontati i soggetti istituzionali e sociali competenti. Gli standards suddetti costituiscono un pilastro non solo dal punto di vista progettuale, ma anche sotto il profilo dell’integrazione tra i diversi soggetti. Conseguentemente, è fondamentale la specificazione dei servizi da erogare nei centri per l’impiego e nei centri locali per la formazione e la definizione delle caratteristiche qualitative attese.

La concreta individuazione degli standards è avvenuta su base consensuale e negoziale, ossia in virtù di un accordo raggiunto fra i soggetti implicati, con diverso ruolo, nella programmazione dei servizi regionali, grazie al quale sono stati individuati i requisiti di qualità e i criteri di valutazione. Per la fase di decollo del nuovo sistema si è ritenuto opportuno definire alcuni standards minimi che fungano da parametro di riferimento per tutti gli operatori coinvolti nella implementazione dei nuovi servizi e, al tempo stesso, precostituiscano una valida garanzia per i cittadini di prestazioni omogenee. Come step iniziale, si è ritenuto conveniente concentrare gli sforzi, anche dal punto di vista della concertazione, sui servizi che sono maggiormente diffusi sul territorio, tra i quali:

¨   accoglienza;

¨   informazione;

¨   adempimenti amministrativi;

¨   incontro domanda/offerta e consulenza alle imprese;

¨   consulenza orientativa per il lavoro, con particolare attenzione all’inserimento lavorativo;

¨   progettazione di interventi formativi.

Dall’elencazione appena delineata, emerge che non sono stati assoggettati a standardizzazione alcuni servizi, nonostante anche essi rivestano un ruolo cruciale nelle prospettive di attività dei centri per l’impiego. Tali servizi esentati dal primo processo di omogeneizzazione sono:

§     inserimento lavorativo dei disabili;

§     sostegno alla creazione d’impresa;

§     bilancio di competenze.

La definizione degli standards di qualità ha comportato la descrizione concordata (per ciascun servizio prescelto) di alcuni elementi chiave cui finalizzare la progettazione organizzativa e la gestione:

Ø   caratteristiche dell’output – risultato atteso (finalità e benefici assicurati ai clienti utenti);

Ø   caratteristiche di input, ossia delle risorse necessarie, intese come risorse informative, logistiche e tecnologiche, sino alle competenze professionali degli operatori;

Ø   caratteristiche del progetto di erogazione (attività, prestazioni, modalità di erogazione).

Gli standards specificano le caratteristiche che devono essere rispettate (per ciascuna delle dimensioni indicate e per ciascuno dei servizi) affinché si realizzi un servizio “di qualità”. Essi costituiscono, pertanto, il punto di riferimento qualitativo per tutto il sistema dei servizi per l’impiego regionale, sul quale ciascun soggetto è chiamato a misurarsi, in un’ottica di continuo miglioramento. Per ciascuna delle funzioni analizzate, si è pervenuti alla definizione concordata dei fattori e degli indicatori che concorrono a determinare la qualità del servizio stesso, così da poterli considerare di riferimento per l’azione dei diversi soggetti e strutture, in una logica di promozione e di sviluppo.

Per concludere la panoramica, è assai utile dare conto della delibera di Giunta regionale dell’11 marzo 2002, n. 327 che è intervenuta in materia in una duplice prospettiva.

 Da un canto, si istituisce un Comitato Regionale di coordinamento per la gestione della riforma del collocamento che si occuperà della revisione delle disposizioni in ordine all’avviamento a selezione nella pubblica amministrazione e, inoltre, di dettare, al fine della uniformizzazione, i criteri applicativi univoci a livello regionale per l’applicazione della riforma in oggetto.

Dall’altro canto, è stato approvato un documento (allegato A della delibera citata) contenente i primi indirizzi per l’applicazione del D. Lgs. n. 181/2000, modificato e integrato dal D. Lgs. n. 297/2002, e del D.P.R. n. 442/2000. Tale atto amministrativo richiama, innanzitutto, le fonti normative che hanno rivoluzionato il mercato del lavoro in tema di incontro domanda/offerta, di semplificazione delle procedure di collocamento ordinario e, soprattutto, di servizi all’impiego. Nell’ambito di tale excursus legislativo, la Giunta regionale si è fatta carico di ricordare le principali innovazioni sopravvenute; si comincia con le novità di cui abbiamo già parlato, legate alla riconversione dell’apparato procedurale dei servizi per l’impiego, ora concepito come processo diretto all’erogazione di servizi che pongono al centro l’utente e non più incentrato sul disbrigo di pratiche burocratiche. Si prosegue con la sottolineatura di innovazioni che incidono, ancor più direttamente, sulle procedure inerenti al mercato del lavoro. In particolare, si è evidenziato che:

¨   le liste di collocamento sono state sostituite da un elenco anagrafico da cui emergono i dati relativi agli utenti iscritti, distinguendoli tra:

§     disoccupati;

§     inoccupati;

§     occupati in cerca di altra occupazione;

¨   non è più previsto il rilascio del libretto di lavoro ed è sostituito da una scheda, contenente pure i dati relativi alle esperienze professionali e formative, nonché alla disponibilità dichiarata dal lavoratore;

¨   l’autocertificazione, come sistema di accesso ai servizi, diviene volontario e fondato sulla disponibilità reale e concreta a svolgere o a cercare un’attività lavorativa;

¨   si procederà a un colloquio orientativo, cui hanno diritto i nuovi utenti che si rivolgono ai centri per l’impiego, entro tre mesi dall’autocertificazione;

¨   sono modificati i sistemi di comunicazione relative ad assunzione, cessazione o trasformazione del rapporto di lavoro.

Adeguandosi alle suddette modifiche, sotto il profilo tanto procedurale, quanto sostanziale, i centri per l’impiego proporranno servizi e azioni per l’inserimento lavorativo, la formazione e la riqualificazione professionale, attuando una strategia di prevenzione contro la disoccupazione giovanile e quella di lunga durata.

Di seguito, la Giunta regionale ha individuato, in modo assai articolato, gli indirizzi e le linee guida per la gestione del nuovo sistema in relazione ad alcuni punti cardine della riforma:

·     anagrafe dei lavoratori;

·     scheda professionale;

·     stato di disoccupazione;

·     assunzione dei lavoratori;

·     prevenzione della disoccupazione di lunga durata.