DECRETO LEGISLATIVO ATTUATIVO DELLA C.D. LEGGE
BIAGI
Nell’agosto
2003, dopo alcuni mesi dal conferimento della delega al Governo contenuta negli
articoli da 1 a 5 della legge n. 30/2003, nota come legge Biagi, è stato
emanato lo schema di decreto legislativo.
Acquisiti
i necessari pareri e concerti e sentite le associazioni sindacali
comparativamente più rappresentative dei datori e prestatori di lavoro, il 10
settembre 2003 è stato emanato il decreto legislativo (D. Lgs. n.
276/2003) che attua, in via definitiva e ufficiale, la legge di riforma del
mercato del lavoro.
Già
all’art. 1 del provvedimento si evidenzia subito, in modo espresso, quale sia
il “percorso a cascata” che ha seguito il Governo nel delineare finalità e
campo di applicazione: secondo l’ormai consolidato e doveroso modus operandi,
particolarmente cogente proprio in materia di lavoro, si è, difatti, provveduto
a dare attuazione in primis agli orientamenti comunitari in
materia di occupazione e di apprendimento permanente, e, in via del tutto
consequenziale, ai principi e criteri direttivi delineati dalla legge delega.
Si è seguito, così, quell’iter procedurale che abbiamo visto essere il
più opportuno, da un lato, ad assicurare fedeltà alle linee guida provenienti
dalla sede comunitaria e, dall’altro lato, a garantire un’adeguata ponderazione
e graduazione attraverso il passaggio dal Parlamento (legge delega) al Governo
(decreto legislativo) al Ministro del lavoro e delle Politiche sociali (in
parecchie disposizioni si rinvia, infatti, a decreti che dovranno
essere emanati per specificare meglio condizioni, modalità operative e altri
dettagli di volta in volta indicati).
Rimanendo
al campo di applicazione e alle finalità del decreto legislativo, dopo aver
puntualizzato che esulano dall’operatività del D. Lgs n. 276/2003 le Pubbliche
Amministrazioni e i loro dipendenti, è evidenziato subito lo scopo di aumentare
i tassi di occupazione e promuovere la qualità e stabilità del lavoro,
obiettivo che sarà perseguito anche mediante tipologie contrattuali che
privilegino il contenuto formativo e l’orario flessibile, come, del resto, già
la l. n. 30/2003 indicava.
Volendo
offrire un quadro d’insieme del provvedimento de quo, esso si compone di
9 titoli che, pur spaziando in settori parzialmente diversi, sono
tra loro collegati e procedono secondo una loro ratio: il decreto,
infatti, si apre con le disposizioni generali, introducendo, peraltro delle
definizioni che si richiameranno in seguito; continua con la disciplina del
mercato del lavoro e la sua organizzazione e prosegue con l’individuazione dei
soggetti e dei relativi requisiti che devono essere posseduti da coloro che
vogliono esercitare, in modo lecito, la somministrazione di lavoro ovvero
l’appalto di servizi. Il titolo successivo, assai breve, ha per scopo
principale quello di modificare il comma quinto dell’art. 2112 del codice
civile, al fine di estendere le ipotesi di operatività delle garanzie che il
suddetto articolo assicura ai lavoratori in caso di mutamento nella titolarità
di un’attività economica organizzata. I titoli V, VI e VII possono ricondursi ad
unità nell’ottica di introdurre in modo operativo e disciplinare puntualmente
le nuove tipologie di rapporto di lavoro delineate dalla legge Biagi. In
particolare, ci si occupa di modulazioni dell’orario flessibile e ridotto,
lavoro intermittente, occasionale, a progetto e tipologie a contenuto
formativo, tra cui l’apprendistato e il contratto d’inserimento. Il titolo
ottavo disciplina i casi in cui si dovrà ricorrere a procedure di certificazione
e il relativo iter. Il decreto legislativo si chiude, come di consueto,
con le disposizioni transitorie e finali, dedicando la dovuta attenzione alle abrogazioni
espresse e a quelle implicite.
Venendo
all’analisi puntuale del D. Lgs. n. 276/2003, la prima preoccupazione del
Governo è stata quella di dare attuazione alle forme di legittimazione
all’esercizio delle varie attività inerenti al mercato del lavoro, individuate
solo per principi dalla legge n. 30/2003. L’obiettivo di realizzare una rete di
operatori che rispettino delle condizioni e dei prerequisiti dettagliatamente
delineati, tendenzialmente in modo omogeneo, salve restando le istanze
autonomistiche delle Regioni, è stato perseguito dall’esecutivo attraverso un doppio
canale. Da un lato, infatti, si istituisce un regime unico di autorizzazione,
di livello nazionale, dall’altro, si indicano i principi e i criteri direttivi
che dovranno essere seguiti per gli accreditamenti a livello regionale,
nonché per la formazione e la tenuta dei connessi elenchi.
Per
quanto riguarda la prima forma di legittimazione, è competenza del Ministero
del lavoro e delle politiche sociali l’organizzazione e l’aggiornamento di un
apposito albo delle agenzie per il lavoro ai fini dello svolgimento
delle attività di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del
personale, supporto alla ricollocazione professionale. La possibilità di
esercitare tutte le attività or ora nominate, tuttavia, dipende dalla sezione
in cui è collocato l’operatore: l’albo nazionale, difatti, è appositamente suddiviso in 5 sezioni:
a)
agenzie di somministrazione
di lavoro abilitate a svolgimento di tutte le attività di somministrazione,
intendendosi, per tale, la fornitura di manodopera come indicato nell’articolo 20 e nei casi in cui
è ammessa la somministrazione, rispettivamente, a tempo determinato ovvero
indeterminato.
E’ da rilevare che la sezione sub a) è la
più comprensiva delle cinque previste, tanto che è espressamente sancito che
l’iscrizione nella medesima abilita automaticamente e “a cascata”
all’esercizio delle attività indicate nelle lettere c), d) ed e);
b)
agenzie di
somministrazione di lavoro a tempo indeterminato abilitate a svolgere esclusivamente
una delle attività indicate nell’articolo 20, comma 3, lettere da a)
a h);
c)
agenzie di
intermediazione; anche per questa tipologia soggettiva è prevista
un’abilitazione a cascata, ma abbraccia solo le attività sub d) ed e).
Assai utile sembra richiamare la definizione che l’art. 2 dà dell’intermediazione:
un’attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro, anche in relazione
all’inserimento dei disabili e dei gruppi di lavoratori svantaggiati, la quale
comprende, secondo un’elencazione indicata, seppur implicitamente, come
esemplificativa e non tassativa:
§
raccolta dei curricula
dei potenziali lavoratori;
§
preselezione e costituzione di una relativa banca dati;
§
promozione e gestione
di dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro;
§
effettuazione delle comunicazioni
conseguenti alle assunzioni che siano esito positivo
dell’attività di intermediazione;
§
orientamento
professionale;
§
progettazione ed
erogazione di attività formative finalizzate all’inserimento lavorativo.
d)
agenzie di ricerca
e selezione del personale, ossia aventi come oggetto la consulenza di
direzione finalizzata alla risoluzione di una specifica esigenza dell’organizzazione
committente, attraverso l’indicazione di candidatura idonee a ricoprire una o
più posizioni lavorative in seno all’organizzazione medesima e su specifico
incarico della stessa;
e)
agenzia di supporto
alla ricollocazione professionale, destinate all’esercizio
dell’attività, dettagliatamente delineata dall’organismo committente, anche
sulla base di accordi sindacali, finalizzata alla ricollocazione sul mercato di
lavoratori, attraverso la formazione, la preparazione, l’accompagnamento della
persona e l’affiancamento della stessa nell’inserimento nella nuova attività.
Per
l’iscrizione nell’albo delle agenzie per il lavoro, è necessario
rispettare numerosi vincoli, ottemperare a diversi adempimenti e possedere vari
requisiti, che diventano via via più stringenti con l’aumentare delle attività
cui si viene abilitati, in dipendenza, come si è appena visto, del tipo di
sezione in cui si mira ad essere iscritti.
Le
condizioni che devono essere comunque soddisfatte sono di carattere sia giuridico
che finanziario. Tra le prime possiamo ricordare, a titolo
esemplificativo, la sede legale o una sua dipendenza nel territorio dello Stato
o di altro Stato appartenente all’Unione Europea, nonché la costituzione nella
forma di società di capitali ovvero cooperativa o consorzio di cooperative; a
conferma di quanto si diceva poc’anzi, in merito alla diversa gradazione dei
requisiti richiesti a seconda della sezione in cui si vuole essere incasellati,
per le agenzie di cui alle lettere d) ed e) è ammessa anche la
forma della società di persone. Nell’ambito delle condizioni di ordine
finanziario, particolare attenzione merita il capitale versato minimo
che è pari a 600.000 Euro; qualora l’agenzia sia una cooperativa,
tuttavia, in alternativa a quest’ultimo requisito, è, necessario assicurare la
disponibilità di 600.000 Euro tra capitale sociale versato e riserve
indivisibili.
Per
quanto attiene agli adempimenti burocratici, il soggetto che vuole
ottenere l’iscrizione all’albo ha 2 alternative: la prima è quella di
presentare la richiesta direttamente al Ministero del lavoro e delle
politiche sociali, la seconda, utilizzabile solamente da alcune peculiari
categorie, assoggettate a un regime particolare, è quella di inoltrare
l’istanza alla Regione (o alle Province autonome). Le tipologie
soggettive abilitate a ricorrere alla seconda procedura (indicate all’art. 6)
sono:
Ø
Le Università,
pubbliche e private, comprese le fondazioni universitarie a condizione che
svolgano l’attività di intermediazione senza finalità di lucro;
Ø
I Comuni, le camere
di commercio e gli istituti di scuola secondaria di secondo grado, purchè
rispettino certe condizioni;
Ø
Le associazioni dei
datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più
rappresentative e gli enti bilaterali, sempre che si attengano a determinati
requisiti;
Ø
L’ordine nazionale
dei consulenti del lavoro può chiedere che venga iscritta all’albo un’apposita
fondazione ovvero altro soggetto giuridico, nel rispetto di certi canoni e
prerequisiti.
Nel
caso in cui si adotti quest’ultimo iter, peraltro, bisogna tener
presente che è valido solo con riferimento al territorio della Regione cui ci
si rivolge e che tale procedura può essere utilizzata esclusivamente per
la registrazione in una delle sezioni sub b), c) o d). Si tratta
di un iter solo parzialmente decentrato poiché l’iscrizione vera e propria e il suo aggiornamento avvengono a
livello centralizzato (previa comunicazione al Ministero del lavoro e delle
politiche sociali ad opera degli organi regionali competenti), anche se al
rilascio dell’autorizzazione provvede direttamente la Regione.
Per
entrambi i modelli procedurali, comunque, è previsto un duplice livello di
autorizzazione: dapprima è rilasciata un’autorizzazione provvisoria e,
solo dopo l’accertamento dell’effettivo possesso dei requisiti indispensabili
per quell’attività, è accordata quella definitiva.
Come
si accennava, esiste un secondo canale di registrazione degli operatori del
settore, che è quello dell’accreditamento regionale. Quest’ultimo è il
provvedimento grazie al quale le Regioni riconoscono a un operatore, pubblico o
privato, l’idoneità a:
·
erogare i servizi al
lavoro negli ambiti regionali di riferimento, anche mediante l’utilizzo di
risorse pubbliche;
·
a partecipare
attivamente alla rete dei servizi per il mercato del lavoro.
Dal
punto di vista operativo, le Regioni istituiranno degli appositi elenchi
per l’accreditamento degli operatori che agiscono nel territorio di propria
competenza. Nella redazione dei suddetti elenchi, dovranno rispettarsi gli
indirizzi delineati dalle associazioni di datori e prestatori di lavoro, nonché
una serie di principi e criteri, dettati dall’art. 7, la cui ratio
accomunatrice pare essere quella di assicurare un certo grado di
omogeneizzazione degli standards e un inserimento effettivo nel sistema
nazionale di interconnessione.
Gli
articoli successivi del D. Lgs. n. 276/2003 si occupano di indicare delle forme
di tutela peculiari dirette all’inserimento di soggetti svantaggiati,
nonché di individuare delle garanzie per tutti gli utenti/clienti delle agenzie
per il lavoro. In merito a quest’ultimo aspetto, è da sottolineare,
innanzitutto, il richiamo alla legge sulla privacy (l. n.
675/1997), specificando che i dati personali detenuti dalle agenzia potranno
essere utilizzati esclusivamente per gli scopi e nell’ambito di
diffusione indicato dagli stessi lavoratori. Si pongono, inoltre, il divieto
di procedere a indagini sulle opinioni personali e a trattamenti
discriminatori, peraltro a prescindere dall’eventuale consenso del lavoratore,
nonchè quello di esigere, o comunque percepire, compensi dal lavoratore,
perfino in modo indiretto, a meno che non sia espressamente consentito dai
contratti di lavoro e solo per specifiche categorie di lavoratori altamente
specializzati o per specifici servizi.
Una
delle innovazioni più interessanti introdotte dal decreto legislativo in esame,
su sollecitazione della legge Biagi, è la previsione di un articolato sistema
di monitoraggio statistico e l’istituzione della Borsa continua nazionale
del lavoro (definito dalla legge delega “sistema nazionale di
interconnessione”). Si tratta, appunto, di un sistema aperto di incontro
di domanda/offerta di lavoro finalizzato, in coerenza con gli indirizzi
comunitari, a favorire la maggiore efficienza e trasparenza del mercato del
lavoro, all’interno del quale, da un lato, i cittadini, lavoratori,
disoccupati, persone in cerca di lavoro, e, dall’altro lato, i soggetti
autorizzati e accreditati (per i quali l’interconnessione con la borsa continua
nazionale del lavoro costituisce prerequisito indispensabile) nonché i datori
di lavoro possono decidere di incontrarsi in maniera libera e dove i
servizi sono liberamente scelti dall’utente.
In
base all’art. 15 del D. Lgs. n. 276/2003, ogni operatore, sia pubblico che
privato, che sia stato autorizzato o accreditato, secondo le modalità già
illustrate, dovrà dotarsi di accessi alla rete che consentano ai lavoratori di
inserire nuove candidature e ai datori di lavoro di effettuare richieste di
personale, senza che siano obbligati a ricorrere a intermediari.
I servizi della borsa continua nazionale del lavoro sono articolati su due
livelli, uno nazionale e uno regionale, che devono essere coordinati per
garantire la piena operatività in ambito nazionale e comunitario.
Dopo
aver disciplinato le forme di monitoraggio statistico e di valutazione delle
politiche del lavoro, nonché il regime sanzionatorio, volto a rafforzare
l’applicazione delle disposizioni neointrodotte, il D. Lgs. n. 276/2003 si
occupa della somministrazione di lavoro. Con tale espressione, ormai
entrata nel linguaggio tecnico giuslavoristico, si intende la fornitura
professionale di manodopera, sia a tempo indeterminato che a termine, secondo
la disciplina fornita dall’articolo 20. Quest’ultima disposizione prevede che
il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso da un utilizzatore
che si rivolga a un somministratore autorizzato allo svolgimento di tale
attività, secondo le procedure già viste e descritte dagli artt. 4 e 5. La disciplina
dettata dal decreto di riforma, prima di passare all’elenco delle ipotesi
dettagliate in cui è possibile ricorrere alla somministrazione di lavoro,
rispettivamente, a tempo indeterminato ovvero a tempo determinato, prescrive
che, in ogni caso e per tutta la durata della somministrazione, i lavoratori
svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo
dell’utilizzatore . Se il contratto è a tempo indeterminato, per i
periodi in cui non stanno svolgendo le proprie mansioni presso un utilizzatore,
essi restano a disposizione del somministratore, salvo che si
verifichi una giusta causa o un giustificato motivo di risoluzione del
contratto di lavoro.
Ferma
restando la necessità di realizzare le condizioni previste, separatamente, per
addivenire a contratto di somministrazione a tempo determinato ovvero
indeterminato, sono tassativamente indicate le ipotesi in cui, comunque, tale
tipologia contrattuale è vietata, pena l’applicazione delle sanzioni
appositamente previste dall’art. 27 (somministrazione irregolare) o, se del
caso, dall’art. 28 (somministrazione fraudolenta). Tali ipotesi sono:
Ø
Sostituzione di
lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
Ø
Presso unità
produttive in cui si sia proceduto a licenziamenti collettivi, nei 6
mesi precedenti, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni
cui si riferisce il contratto di somministrazione ovvero presso unità
produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una
riduzione dell’orario con diritto al trattamento di integrazione salariale,
semprechè, anche in questo caso si tratti delle mansioni del contratto di
somministrazione. Tale ipotesi di divieto, tuttavia, vale solo se gli accordi
sindacali non prevedano diversamente;
Ø
Da parte delle
imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi in
base all’art. 4 del D. Lgs. n. 626/1994 e successive modifiche.
Per
la stipulazione del contratto di somministrazione è prevista la forma scritta
e l’inserimento obbligatorio di numerosi elementi; tra questi, tuttavia, solo
alcuni sono essenziali, tanto che la loro mancanza legittima il
lavoratore a richiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle
dipendenze dell’utilizzatore. Tali elementi sono:
a)
Gli estremi
dell’autorizzazione rilasciata al somministratore;
b)
Il numero dei
lavoratori da somministrare;
c)
I casi e le ragioni
di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, per la
regolarità della somministrazione;
d)
L’indicazione della
presenza di eventuali rischi per l’integrità e la salute del lavoratore e delle
misure di prevenzione adottate;
e)
La data di inizio e
la durata prevista del contratto di somministrazione.
L’art.
23 del D. Lgs. n. 276/2003, al fine di prevenire possibili trattamenti
sperequativi, si occupa di tutelare la posizione del lavoratore
attraverso una serie di norme. Tra queste, particolare importanza riveste
quella che assicura al lavoratore dipendente dal somministratore un trattamento
economico e normativo complessivamente non inferiore a quello dei
dipendenti di pari livello dell’utilizzatore, a parità di mansioni svolte;
significativo, al proposito, appare anche il regime di solidarietà tra
utilizzatore e somministratore in merito ai trattamenti retributivi e ai
contributi previdenziali dei lavoratori.
Nel
concludere la disamina della normativa applicabile ai contratti di
somministrazione, si precisa che il contratto di appalto si distingue
dai primi per i tipici elementi (di cui all’art. 1655 del codice civile)
dell’organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore e
dell’assunzione, da parte dell’appaltatore stesso, del rischio d’impresa.
Nei
successivi titoli del decreto in esame si entra nel cuore della disciplina
delle nuove forme contrattuali, in chiave di flessibilizzazione
del mercato di lavoro.
La
prima delle tipologie innovative introdotte dal D. lgs. n. 276/2003, in stretta
aderenza con le direttive della legge Biagi, è il lavoro intermittente, anche
detto job on call, dal suo omologo anglosassone. E’ il contratto
mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro,
a tempo indeterminato o per un tempo espressamente pattuito in forma scritta,
che ne può utilizzare la prestazione lavorativa. La forma scritta, tuttavia,
diversamente che per il contratto di somministrazione, è richiesta ai soli fini
probatori (non, dunque, ad substantiam). La stipulazione del contratto
di lavoro intermittente è ammessa per lo svolgimento di prestazioni di
carattere discontinuo o intermittente, secondo le esigenze individuate
dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di
lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale
o, in via provvisoriamente sostitutiva, dal Ministro del lavoro e delle
politiche sociali, con apposito decreto da emanarsi trascorsi sei mesi dalla
data di entrata in vigore del decreto legislativo de quo.
Sono
previsti, altresì, dei casi in cui è vietato il ricorso al lavoro
intermittente; è da rilevare, peraltro, che tali ipotesi sono le medesime che
escludono la ricorribilità al contratto di somministrazione.
L’art. 36 prevede che al lavoratore dovrà
essere corrisposta un’indennità di disponibilità nel caso in cui questo si
obblighi contrattualmente a rispondere alla chiamata del datore di
lavoro. Il rischio a cui si espone il lavoratore che inserisca tale clausola è
che un suo ingiustificato rifiuto di adempiere può comportare:
§
Risoluzione del
contratto;
§
Restituzione della
quota di indennità di disponibilità riferita al periodo successivo
all’ingiustificato rifiuto;
§
Congruo risarcimento
del danno.
Il
lavoro intermittente può essere pattuito, per periodi predeterminati, in un
arco di tempo che può essere pari alla settimana, al mese o all’anno; in ogni
caso, così come già visto per il contratto di somministrazione, vale il
principio di non discriminazione rispetto al lavoratore di pari livello
e a parità di mansioni.
La
seconda forma contrattuale disciplinata dal D. Lgs. n. 276/2003 è il lavoro
ripartito; è uno speciale contratto di lavoro attraverso il quale due
lavoratori assumono in solido l’adempimento di un’unica e identica
obbligazione lavorativa. Nell’ambito di tale schema, ai contraenti è riconosciuta
la possibilità di convenire una diversa quota di responsabilità o delle
condizioni particolari di tempo per l’adempimento dell’uno e dell’altro
coobbligato o, anche, di accordarsi, in qualsiasi tempo, per sostituzioni
reciproche o variazioni di orario. Non è ammesso, però, derogare al vincolo
di solidarietà e, se le parti non prevedono diversamente, ogni lavoratore
resta personalmente e direttamente responsabile dell’adempimento dell’intera
prestazione lavorativa. Conseguenza di tale vincolo è che, salvo diversa
intesa, il licenziamento o le dimissioni di uno dei coobbligati comportano
l’estinzione dell’intero contratto. Tale drastico esito, tuttavia, può essere
evitato qualora, dietro richiesta del datore di lavoro, l’altro lavoratore si
renda disponibile ad adempiere l’obbligazione lavorativa; la disponibilità può
limitarsi anche a un’esecuzione pro quota e, in ogni caso, il lavoro
ripartito si trasformerà in un normale contratto di lavoro subordinato (v. art.
2094 del codice civile).
Per
quanto riguarda il rapporto di lavoro part-time, sebbene non sia
la prima forma di recezione nell’ordinamento italiano, il D. Lgs. n. 276/2003
ha riformato la disciplina applicabile a tale tipologia contrattuale in
un’ottica che mira, da un lato a estenderne l’ambito di operatività e il
grado di flessibilità, dall’altro lato, a mantenerne, e, ove possibile,
potenziarne, le garanzie e tutele per il lavoratore. Il delicato compito
di bilanciamento delle esigenze delle due parti è stato realizzato dal
legislatore delegato mediante numerose novelle apportate al D. Lgs. n. 61/2000,
come già modificato dal D. Lgs. n. 100/2001. In base al quadro attuale della
normativa in tema di contratto a tempo parziale, è stato incrementato il ruolo
della contrattazione collettiva: quest’ultima, infatti, non solo può
determinare modalità e condizioni della prestazione lavorativa part-time in generale, ma possono
perfino individuare, per specifiche figure o livelli professionali, modalità
particolari di attuazione della disciplina vertente sulle materie riservate
ai contratti collettivi, sia nazionali che territoriali.
Dopo
aver esteso l’utilizzo della tipologia di rapporto anche ai contratti a tempo
determinato, il decreto in esame regola la possibilità di aumentare, anche in
via provvisoria, il carico lavorativo del prestatore a tempo parziale,
distinguendo, a tal fine, tra part-time di tipo orizzontale e quello
verticale o misto. Per quanto riguarda il primo, il datore di lavoro ha facoltà
di richiedere lo svolgimento di prestazioni supplementari rispetto a
quelle concordate con il lavoratore ma, ferma restando la necessità del consenso
del lavoratore interessato (a meno che il lavoro supplementare non sia
espressamente regolato dal contratto collettivo), quest’ultimo è libero di
acconsentire o meno, dato che mai il suo rifiuto potrà integrare gli estremi
del licenziamento per giustificato motivo. Saranno, ad ogni modo, stabiliti
dalla contrattazione collettiva il numero massimo delle ore di lavoro
supplementare e le relative causali. In merito al part-time verticale o misto, anche in questo caso a tempo
sia indeterminato che determinato, lo svolgimento di prestazioni di lavoro straordinarie
è consentito nei limiti e con l’applicazione della disciplina legale e
contrattuale dei rapporti a tempo pieno.
Sempre
nel nuovo quadro normativo introdotto dal D. Lgs. n. 276/2003, nel contratto di
lavoro a tempo parziale si può inserire una clausola che preveda forme di
flessibilità inerenti alla collocazione temporale della prestazione
lavorativa. La genericità di tale previsione è subito seguita da una serie di
forme garantistiche a tutela del lavoratore; in primis la suddetta
clausola deve essere stipulata per iscritto, con l’eventuale assistenza
di un componente della rappresentanza sindacale aziendale, e senza che il
rifiuto del lavoratore possa essere considerato causa di licenziamento.
Inoltre, il potere di richiesta di prestazioni ulteriori, da parte del datore
di lavoro, deve essere esercitato nel rispetto di un congruo preavviso.
Per incentivare ulteriormente le parti alla conclusione di contratti di lavoro part-time
ovvero alla trasformazione di rapporti di lavoro a tempo pieno, saranno
definiti degli appositi incentivi economici nell’ambito della riforma
di sostegno ai livelli occupazionali.
Proseguendo
nell’excursus delle tipologie di lavoro flessibili introdotte ex novo
o, comunque, sostanzialmente modificate, una notevole attenzione è dedicata
all’apprendistato. Quest’ultimo è articolato, in modo del tutto
innovativo e nel pieno rispetto delle direttive piuttosto puntuali già dettate
dalla legge Biagi, in 3 species:
a)
contratto di
apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione;
b)
contratto di apprendistato
professionalizzante per il conseguimento di una qualificazione attraverso una
formazione sul lavoro e un apprendimento tecnico- professionale;
c)
contratto di
apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta
formazione.
Il
D. Lgs. n. 267/2003 disciplina, in modo assai dettagliato, le 3 tipologie di
apprendistato in maniera separata, cosicché sia ben evidente che alla diversità
dell’età, esigenze e condizioni del lavoratore corrisponde una differente
disciplina, volta a favorire, il più possibile, il raggiungimento degli
obiettivi che ognuno dei contratti in esame persegue. La normativa dettata per
ciascuna delle forme di apprendistato costituisce una puntualizzazione di
quella già vista nell’esame della legge Biagi alla quale, pertanto, si rimanda.
Il decreto attuativo, peraltro, specifica i limiti valevoli per ogni
tipo di apprendistato, salvo che per le imprese artigiane, per le quali restano
in vigore le disposizioni di cui all’art. 4 della l. n. 443/1985.
Complessivamente gli apprendisti non possono essere in numero superiore al 100
per cento delle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il
datore di lavoro stesso. Qualora i dipendenti qualificati o specializzati o
qualificati siano in numero inferiore a tre, gli apprendisti assunti non
possono essere più di tre.
Una
tipologia contrattuale introdotta, invece, ex novo è il contratto di
inserimento. Questo ha lo scopo di inserire ovvero reinserire nel mercato
del lavoro determinate categorie di soggetti mediante un progetto
individuale di adattamento delle competenze professionali del lavoratore a
uno specifico contesto lavorativo. Per quanto riguarda le species di datori
di lavoro che possono sfruttare i vantaggi del contratto in esame, essi
sono:
a)
Enti pubblici economici,
imprese e loro consorzi;
b)
Gruppi di imprese;
c)
Associazioni
professionali, socio-culturali, sportive;
d)
Fondazioni;
e)
Enti di ricerca,
pubblici e privati;
f)
Organizzazioni e
associazioni di categoria.
Ulteriore
requisito che devono possedere le tipologie di datori di lavoro appena elencate
è che abbiano mantenuto in servizio almeno il 60% dei lavoratori il cui
contratto di inserimento sia scaduto nei 18 mesi precedenti; ciò al fine, da un
lato, di scongiurare uno sfruttamento della forma contrattuale in esame,
dall’altro lato, di sollecitare l’assunzione dei lavoratori assunti con tale
tipologia di rapporto.
I
potenziali lavoratori che possono usufruire del contratto di inserimento
appartengono a categorie che sono classificabili nelle seguenti categorie:
1)
persone di età compresa fra i 18 e i 29 anni;
2)
disoccupati di lunga durata da 29 a 32 anni;
3)
lavoratori, con un’età superiore a 50 anni, privi di posto di lavoro;
4) lavoratori che intendano riprendere un’attività
lavorativa e che non abbiano lavorato per almeno 2 anni;
1)
donne di qualsiasi
età che residenti in un’area geografica in cui il tasso di occupazione
femminile sia inferire almeno del 20% di quello maschile;
2)
persone riconosciute
affette, ai sensi della normativa vigente, da un grave handicap fisico, mentale
o psichico.
Un
cenno merita una forma di contatto col mondo del lavoro che, seppur connotata
dalla necessaria temporaneità e da un target di potenziali
fruitori assai limitato, è una intuizione del Governo che è degna di
nota: si tratta dei tirocini estivi di orientamento. Sono iniziative, a
contenuto formativo, di orientamento e di addestramento pratico, promosse
durante le vacanze estive a favore di un adolescente o di un giovane
che, regolarmente iscritto presso un istituto scolastico di ogni ordine e grado
ovvero in una Università, desideri approfittare della possibilità di accrescere
il suo curriculum di esperienze.
Un
contratto cui è doveroso dedicare ben maggiore attenzione è il lavoro a
progetto. Le disposizioni ad esso inerenti si applicano ai rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa ( cd. co.co.co.) prevalentemente
personale e senza vincolo di subordinazione che siano riconducibili a uno o più
progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso, determinati dal
committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del
risultato e, dunque, indipendentemente dal fattore tempo, anche se
rispettando il coordinamento con l’organizzazione del committente. Dal campo di
applicazione dell’istituto in esame vanno escluse una serie di ipotesi,
tra cui:
Ø
agenti e
rappresentanti di commercio, per i quali resta ferma la disciplina già dettata
per loro;
Ø
le prestazioni
occasionali, che sono individuate e regolate dal capo successivo all’interno
dello stesso titolo VII, salvo che la durata complessiva sia superiore a 30 gg
nel corso dell’anno solare con lo stesso committente ovvero il compenso
percepito nello stesso anno solare superi i 5000 euro;
Ø
le professioni
intellettuali per l’esercizio delle quali sia necessaria l’iscrizione in un
determinato albo;
Ø
i rapporti e le
attività di collaborazione coordinata e
continuativa comunque rese e utilizzate a fini istituzionali in favore delle
associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni
sportive nazionali;
Ø
i componenti degli
organi di amministrazione e controllo delle società e i partecipanti a collegi
e commissioni, nonché coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia.
La
natura caratterizzante ed essenziale del progetto (ovvero programma di
lavoro o fase di esso) è ribadita con forza dall’art. 69 del D. Lgs. n.
276/2003 che, per l’ipotesi in cui manchi, prevede che il rapporto sia
considerato di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla costituzione
del rapporto. Del tutto analoga sanzione per il datore di lavoro è individuata
per il caso in cui il giudice accerti che, di fatto, si sia venuto a
configurare un rapporto di lavoro subordinato.
Dopo
aver individuato gli elementi formali che devono necessariamente inserirsi nel
contratto (anche se solo con valenza probatoria), il Decreto legislativo de
quo indica i diritti che devono essere riconosciuti al
collaboratore, fermo restando che rimangono perfettamente valide ed efficaci
eventuali clausole di contratto individuale o di accordo collettivo di maggior favore per il lavoratore. Per
quanto riguarda la retribuzione, deve essere proporzionata alla quantità
e qualità del lavoro eseguito e deve tener conto dei compensi normalmente
corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione
del rapporto. E’, inoltre, riconosciuto autore dell’invenzione fatta
nello svolgimento del rapporto. Nel caso di gravidanza, malattia e infortunio,
il collaboratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro, in
quanto il rapporto rimane sospeso, senza erogazione del corrispettivo; per le
ultime due ipotesi or ora menzionate, tuttavia, sono fissati dei limiti
temporali oltrepassati i quali il committente può recedere dal contratto. A
garanzia della posizione del collaboratore, è assicurata, infine,
l’applicazione delle disposizioni sul processo del lavoro, sulla sicurezza e
igiene e sugli infortuni sul lavoro e malattie professionali.
Il
capo II dello stesso titolo dedicato al lavoro a progetto disciplina il lavoro occasionale.
Dopo aver richiamato i tratti distintivi di quest’ultimo rispetto all’ambito di
applicazione del capo I (lavoro a progetto, appunto), il legislatore delegato circoscrive
ulteriormente il campo di applicazione dell’istituto in esame. Esso è
definito come un’attività lavorativa di natura meramente occasionale
resa da uno dei soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non
ancora entrati nel mondo del lavoro o in procinto di uscirne che rientri in una
delle seguenti categorie:
·
disoccupati da oltre
un anno;
·
casalinghe, studenti
e pensionati;
·
disabili e soggetti
in comunità di recupero;
·
lavoratori
extracomunitari, regolarmente soggiornanti in Italia, nei 6 mesi successivi
alla perdita del lavoro.
Una
ulteriore delimitazione, anche se dal punto di vista oggettivo, discende
dall’elencazione delle tipologie di servizi che possono essere dedotti
nel rapporto di lavoro occasionale:
¨
piccoli lavori
domestici a carattere straordinario, compresa l’assistenza domiciliare a
bambini, a persone anziane, ammalate o con handicap;
¨
insegnamento privato
supplementare;
¨
piccoli lavori di
giardinaggio, pulizia e manutenzione di edifici e monumenti;
¨
realizzazione di
manifestazioni sociali, sportive, culturali o caritatevoli;
¨
collaborazione con
enti pubblici e associazioni di volontariato per lo svolgimento di lavori di
emergenza, come quelli dovuti a calamità o eventi naturali improvvisi o di
solidarietà.
I
soggetti, rientranti in una delle categorie or ora viste, che desiderino
dichiararsi disponibili all’espletamento di una delle mansioni indicate
nell’elenco, devono rivolgersi al centro per l’impiego della Provincia o
a uno dei soggetti accreditati dalle Regioni per farsi rilasciare una tessera
magnetica dalla quale risulti la loro condizione. Dal canto loro, coloro
che siano interessati a ricevere una o più delle prestazioni di lavoro
accessorio acquistano, presso le rivendite autorizzate, dei carnet di buoni
per prestazioni di lavoro accessorio del valore nominale di 7,5 euro. Il
compenso spettante al lavoratore è erogato all’atto della restituzione dei
buoni da enti o concessionari individuati dal Ministro del lavoro e delle
politiche sociali.
Dall’esame
delle numerose tipologie contrattuali introdotte o sostanzialmente modificate
dal D. Lgs. n. 276/2003 emerge chiaramente la possibilità dell’insorgenza di dubbi
interpretativi e applicativi relativi ai rapporti di lavoro ivi disciplinati;
altrettanto chiari sono i rischi, per entrambe le parti, connessi a un’incerta
qualificazione , durata, diritti e doveri reciproci e altri elementi del
contratto.
Per
prevenire uno stato siffatto di incertezza e ridurre, parallelamente, il contenzioso che potrebbe derivarne
(incrementando ancor più il carico di lavoro dei tribunali in funzione di
giudici del lavoro), il D. Lgs. n. 276/2003 delinea un iter che le parti
possono decidere, a tal fine, di adottare: la certificazione del
contratto di lavoro. E’ una procedura volontaria attraverso la quale i
contraenti ottengono la certificazione, ossia un’attestazione, proveniente da
autorità competenti, che il contenuto del contratto e, in particolare la sua
qualificazione (come lavoro intermittente, ripartito, a tempo parziale o a
progetto), corrispondono a realtà.
In
ossequio al carattere della volontarietà del procedimento, esso ha inizio con istanza
scritta comune delle parti del contratto di lavoro. Per quanto riguarda il
prosieguo dell’iter, il decreto attuativo della legge Biagi si limita a
indicare alcuni principi e a imporre il rispetto dei codici di buone
pratiche; la disciplina più puntuale della procedura di certificazione sarà
dettata all’atto della costituzione delle singole Commissioni di
certificazione. Queste ultime sono gli organi che il legislatore delegato
abilita all’espletamento della procedura e possono essere istituite presso:
Ø
gli enti
bilaterali costituiti nell’ambito territoriale di riferimento, ovvero a
livello nazionale quando la commissione di certificazione sia costituita
nell’ambito di organismi bilaterali a competenza nazionale;
Ø
le Direzioni
provinciali del lavoro e le Province, secondo quanto stabilito da apposito
decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali entro 60 giorni
dall’entrata in vigore del presente decreto;
Ø
le Università
pubbliche e private, comprese le Fondazioni universitarie, registrate
nell’apposito albo istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche
sociali (con decreto del suddetto Ministro, di concerto con il Ministro
dell’Istruzione, della Università e della Ricerca); tale categoria soggettiva,
tuttavia, è abilitata solo limitatamente ai rapporti di collaborazione e
consulenza attivati con docenti di diritto del lavoro di ruolo ai sensi
dell’art. 66 del D.P.R. n. 382/1980.
Lo
scopo essenziale della procedura di certificazione, come già evidenziato, è
quello di prevenire incertezze sulla qualificazione del rapporto, nonché sulle
clausole che lo regolano. La certezza giuridica così raggiunta, però, non
è assoluta: gli effetti dell’accertamento dell’organo abilitato,
difatti, permangono, peraltro anche nei confronti dei terzi, soltanto fino al
momento in cui sia stato accolto , con sentenza di merito, uno dei ricorsi
giurisdizionali indicati dallo stesso D. Lgs. n. 276/2003. Le autorità
competenti a ricevere i ricorsi, sono il tribunale in funzione di
giudice del lavoro (ai sensi dell’art. 413 del Codice di Procedura Civile) e il
T.A.R. (tribunale amministrativo regionale) nella cui giurisdizione ha
sede la commissione che ha certificato il contratto. Per quanto riguarda il
primo, le cause di impugnazione dell’atto di certificazione sono:
¨
erronea
qualificazione del contratto;
¨
difformità tra il
programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione;
¨
vizi del consenso.
Davanti
al T.A.R., invece, il ricorso contro l’atto certificatorio deve essere diretto a far accertare la
violazione del procedimento ovvero l’eccesso di potere.
Le
Commissioni di certificazione svolgono altresì funzioni di assistenza e consulenza
effettiva alle parti contrattuali; tale attività è espletata sia al
momento della stipulazione del contratto di lavoro, sia in caso di un’eventuale
modificazione del programma negoziale in sede di attuazione del rapporto,
specie in merito alla disponibilità dei diritti e all’esatta qualificazione dei
contratti di lavoro. Gli enti bilaterali di cui all’art. 76 lettera a),
peraltro, sono organi abilitati a certificare (oltre ai contratti di lavoro
stessi) anche le rinunzie e le transazioni di cui all’art. 2113
del Codice Civile, al fine di confermare la volontà abdicativa ovvero
transattiva delle parti stesse.
Per
concludere sulla questione della certificazione, il Ministro del lavoro e delle
politiche sociali, con proprio decreto, definirà moduli e formulari ad hoc,
che tengano conto di degli orientamenti giurisprudenziali in tema di
qualificazione del contratto di lavoro, come autonomo o subordinato, in
relazione alle diverse tipologie di lavoro. Al fine di svolgere la funzione
certificativa per un arco di tempo sufficientemente ampio, dovranno essere
conservati, per almeno 5 anni dalla data della loro scadenza, sia i
contratti di lavoro certificati che la relativa documentazione.
Il
D. Lgs. n. 276/2003 si chiude, come di consueto, con le disposizioni
transitorie e finali, elencando una serie di disposizioni che saranno abrogate
dalla data di entrata in vigore del decreto; è prevedendo, inoltre, mediante
una clausola di abrogazione tacita (come tale fonte di dubbi
interpretativi e, per questo, sconsigliata dalle direttive di legistica), che
saranno eliminate dall’ordinamento giuridico tutte le disposizioni legislative
e regolamentari incompatibili con il decreto stesso.