Le facciate
In cosa consistono le facciate, qual è la disciplina e come funziona la ripartizione delle spese tra i condomini
- Cos'è la facciata
- La giurisprudenza sul valore della facciata
- Gli elementi della facciata
- Usi e innovazioni
- Ripartizione delle spese
Cos'è la facciata
[Torna su]
La facciata è l'insieme delle linee architettoniche e delle strutture ornamentali che connotano l'edificio, imprimendogli una propria fisionomia autonoma e un particolare pregio estetico.
Ne deriva che la facciata rappresenta, quindi, l'immagine stessa dell'edificio, l'involucro esterno e visibile nel quale rientrano, senza differenza e aldilà delle esposizioni, sia la parte anteriore, frontale e principale che gli altri lati dello stabile.
Facciata e muro maestro
La facciata, tuttavia, va tenuta concettualmente distinta dal muro maestro, poiché mentre quest'ultimo ha la funzione portante dell'edificio la facciata è la sua superficie esterna, che rileva dunque non tanto ai fini dell'esistenza dell'edificio quanto in relazione al suo aspetto esteriore, con la conseguenza che gli interventi che interessano la facciata dovranno avere riguardo soprattutto al divieto di alterare il decoro architettonico dell'edificio, mentre quelli riguardanti i muri maestri rileveranno in relazione al divieto di pregiudicare la sicurezza e la stabilità dell'edificio stesso.
Aldilà della sua definizione di carattere architettonico, il concetto di facciata è stato delineato dalla giurisprudenza attraverso principi ormai consolidati sia in ordine alla natura della facciata, sia in merito alle singole parti di cui si compone.
Il concetto di facciata è stato delineato dalla giurisprudenza e dalla dottrina attraverso numerose pronunce che hanno sancito pacificamente che la stessa, avente o meno valore architettonico o decorativo, costituisce parte presuntivamente comune dell'edificio condominiale, in quanto, al pari dei muri maestri rappresenta "una delle strutture essenziali ai fini dell'esistenza stessa dello stabile unitariamente considerato, sicchè nell'ipotesi della condominialità del fabbricato, ai sensi dell'art. 1117, n. 1, c.c., ricade necessariamente fra le parti oggetto di comunione fra i proprietari delle diverse porzioni dello stesso e resta destinata indifferenziatamente al servizio di tutte tali porzioni" (Cass. n. 298/1977; n. 945/1998).
Per cui l'esplicita menzione della facciata nella nuova elencazione delle parti comuni necessarie di cui al punto 1 dell'art. 1117 c.c. operata dalla l. n. 220/2012, si è limitata a recepire le consolidate indicazioni dottrinali e giurisprudenziali, dovendosi ritenere che in tal modo il legislatore della riforma abbia inteso tutelare tale bene in modo diretto, evitando l'insorgere di controversie in ordine alla ripartizione delle spese, eventuali usi illegittimi in grado di comprometterne l'aspetto esteriore e salvaguardando indirettamente il concetto di decoro architettonico.
Fanno notoriamente parte della facciata gli elementi architettonici che, per loro natura, diventano parte integrante dei connotati e dell'aspetto armonico della stessa, come, ad esempio, le fasce di coronamento (cornicioni o marcapiano), le colonnine, i fregi, gli stucchi, le mensole e tutte quelle decorazioni che contribuiscono a fare da ornamento all'edificio (Trib. Torino 22.10.1986; 16.2.2001), e, dunque essendo destinate all'abbellimento della facciata sono da considerarsi parti comuni dello stesso. Per quanto concerne, invece, i balconi che compongono la facciata, nel silenzio del legislatore codicistico, anche dopo la riforma, le numerose questioni sorte in merito alla presunzione di comunione hanno richiesto più volte l'intervento della giurisprudenza. In merito, è ritenuto principio pacifico che i balconi, per le obiettive caratteristiche strutturali destinate in modo esclusivo all'uso e al godimento di una parte dell'immobile oggetto di proprietà esclusiva, sono elementi accidentali esclusi dalla proprietà comune anche se inseriti nella facciata, e formano parte integrante dell'appartamento che vi ha accesso, come un prolungamento del piano. Tuttavia, la realtà edilizia e architettonica presenta situazioni difficilmente conciliabili con tale inquadramento in quanto si tratta di strutture che contribuiscono in ogni caso a modellare le linee del fabbricato e a determinarne l'estetica. Si è andata così formando una copiosa giurisprudenza che proprio in questa prospettiva estrapola, riconducendoli all'intero edificio, gli elementi decorativi del balcone (i c.d. "frontalini", i cementi decorativi dei parapetti, nonché le viti di ottone e i piombi ai pilastri della balaustra, le aggiunte sovrapposte con malta cementizia, ecc.), i quali "svolgendo una funzione decorativa estesa all'intero edificio, del quale accrescono il pregio architettonico, costituiscono, come tali, parti comuni ai sensi dell'art. 1117, n. 3, cod. civ., con la conseguenza che la spesa per la relativa riparazione ricade su tutti i condomini" (Cass. n. 587/2011; n. 14576/2004; n. 176/1986).
Quale parte comune dell'edificio, tutti i condomini hanno il diritto di usare la facciata, ex art. 1102 c.c., nel limite di consentire pari diritto agli altri condomini e senza alterarne destinazione d'uso e decoro.
Sulla scorta dei principi codicistici, pertanto, sono ritenute ammissibili le opere che interessano la facciata, quali l'apertura di vedute, l'apposizione di insegne o targhe, l'installazione di tubature, purchè ispirate al criterio del rispetto del decoro architettonico dell'edificio, da valutarsi in base alla linea estetica, avuto riguardo alla fisionomia della costruzione e prescindendo dall'ambiente in cui la stessa si trova (Cass. n. 10513/1993; Gdp Grosseto n. 1038/2011), nonché "l'appoggio di una canna fumaria", di un impianto per aria condizionata o di tende per proteggersi dal sole o dal calore, purchè trattasi di modifiche della cosa comune conformi "alla destinazione della stessa, che ciascun condomino - pertanto può apportare a sue cure e spese, sempre che non impedisca l'altrui paritario uso, non rechi pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza dell'edificio, e nonne alteri il decoro architettonico; fenomeno - quest'ultimo - che si verifica non già quando si mutano le originali linee architettoniche, ma quando la nuova opera si rifletta negativamente sull'insieme dell'armonico aspetto dello stabile" (Trib. Milano n. 1941/2013).
Non è, invece, ritenuta ammissibile qualsiasi modifica della facciata che, comportando una interferenza nel godimento del bene comune, "possa integrare una indebita turbativa suscettibile di tutela possessoria" (Trib. Milano n. 1941/2013). Devono, intendersi, inoltre, vietate le innovazioni che recano danno alla stessa in conseguenza di sopraelevazioni lesive dell'aspetto architettonico dell'edificio, sia in relazione alla facciata esterna che a quella interna, equiparata alla prima, che solitamente si apre sul cortile (Cass. n. 1297/1998).
Quanto alle maggioranze assembleari necessarie per deliberare interventi relativi alla facciata condominiale, ove si tratti di innovazioni, consentite purchè non lesive del decoro architettonico dell'edificio, è richiesta la maggioranza prescritta dall'art. 1136, 5° co., c.c. (ovvero la maggioranza dei partecipanti al condominio ed i due terzi del valore dell'edificio); ove si tratti del "rifacimento" della facciata o di riparazioni straordinarie è richiesta la maggioranza prevista dall'art. 1136, 2° co., c.c. (ossia la maggioranza degli intervenuti in assemblea ed almeno la metà del valore dell'edificio).
È pacifico che la facciata, quale parte presuntivamente comune dell'edificio è indifferenziatamente destinata al servizio di tutti i condomini, "con la conseguenza che le spese della sua manutenzione devono essere sostenute dai relativi titolari in misura proporzionale al valore delle rispettive proprietà" (Cass. n. 945/1998).
Analogamente, le spese per gli elementi architettonici decorativi dei balconi (fasce marcapiano, ringhiere, ecc.), quando si identificano con la struttura della facciata, vanno ripartite a carico della collettività condominiale, suddivise tra tutti i condomini in maniera proporzionale alle singole quote di proprietà (Cass. n. 587/2011).
Così è anche per i c.d. "frontalini", considerati per orientamento giurisprudenziale costante elemento imprescindibile della facciata poiché assicurano l'estetica dello stabile tanto quanto lo stesso muro perimetrale dell'edificio con cui si integrano in un rapporto armonico (Trib. Milano 5102/1992; Cass. 1361/1989).
In ragione della presunzione legale di condominialità della facciata, a carico di tutti i proprietari delle unità immobiliari devono porsi, in proporzione, le spese di rifacimento dell'intonaco (Cass. n. 298/1977), nonché quelle di "riparazione della pannellatura della facciata di un edificio", sul rilievo che essa assolve ad una duplice funzione, "l'una di protezione verso l'esterno dei balconi di proprietà esclusiva dei singoli condomini e di riparo dagli agenti atmosferici, l'altra di abbellimento della facciata dello stabile" (Cass. n. 13655/1992).
Le spese necessarie per la manutenzione della facciata vanno ripartite in base ai millesimi di proprietà anche tra i proprietari delle autorimesse o dei box interrati (Cass. n. 298/77; n. 945/1998), sempre che si trovino compresi strutturalmente nell'edificio condominiale e non siano collocati in corpi di fabbrica separati.
In tale ultimo caso, infatti, la giurisprudenza opta per la tesi negativa sulla base delle regole concernenti il c.d. "condominio parziale", secondo il quale all'uso diverso dei beni comuni corrispondono spese diverse tra i condomini in proporzione all'utilizzo e al godimento separato della res condominiale. Per cui, si è escluso che i proprietari dei box contenuti in un immobile che sia separato dall'edificio con le unità abitative, debbano concorrere alle spese di manutenzione della facciata, che serve quindi solo una parte del fabbricato, formando oggetto di condominio separato, le quali "debbono essere sostenute solo dai proprietari delle unità immobiliari di questa parte e non dagli altri, secondo il principio generale del comma 3 dell'art. 1123 c.c." (Cass. n. 1255/1995).
Aldilà della sua definizione di carattere architettonico, il concetto di facciata è stato delineato dalla giurisprudenza attraverso principi ormai consolidati sia in ordine alla natura della facciata, sia in merito alle singole parti di cui si compone.
La giurisprudenza sul valore della facciata
[Torna su]
Il concetto di facciata è stato delineato dalla giurisprudenza e dalla dottrina attraverso numerose pronunce che hanno sancito pacificamente che la stessa, avente o meno valore architettonico o decorativo, costituisce parte presuntivamente comune dell'edificio condominiale, in quanto, al pari dei muri maestri rappresenta "una delle strutture essenziali ai fini dell'esistenza stessa dello stabile unitariamente considerato, sicchè nell'ipotesi della condominialità del fabbricato, ai sensi dell'art. 1117, n. 1, c.c., ricade necessariamente fra le parti oggetto di comunione fra i proprietari delle diverse porzioni dello stesso e resta destinata indifferenziatamente al servizio di tutte tali porzioni" (Cass. n. 298/1977; n. 945/1998).
Per cui l'esplicita menzione della facciata nella nuova elencazione delle parti comuni necessarie di cui al punto 1 dell'art. 1117 c.c. operata dalla l. n. 220/2012, si è limitata a recepire le consolidate indicazioni dottrinali e giurisprudenziali, dovendosi ritenere che in tal modo il legislatore della riforma abbia inteso tutelare tale bene in modo diretto, evitando l'insorgere di controversie in ordine alla ripartizione delle spese, eventuali usi illegittimi in grado di comprometterne l'aspetto esteriore e salvaguardando indirettamente il concetto di decoro architettonico.
Gli elementi della facciata
[Torna su]
Fanno notoriamente parte della facciata gli elementi architettonici che, per loro natura, diventano parte integrante dei connotati e dell'aspetto armonico della stessa, come, ad esempio, le fasce di coronamento (cornicioni o marcapiano), le colonnine, i fregi, gli stucchi, le mensole e tutte quelle decorazioni che contribuiscono a fare da ornamento all'edificio (Trib. Torino 22.10.1986; 16.2.2001), e, dunque essendo destinate all'abbellimento della facciata sono da considerarsi parti comuni dello stesso. Per quanto concerne, invece, i balconi che compongono la facciata, nel silenzio del legislatore codicistico, anche dopo la riforma, le numerose questioni sorte in merito alla presunzione di comunione hanno richiesto più volte l'intervento della giurisprudenza. In merito, è ritenuto principio pacifico che i balconi, per le obiettive caratteristiche strutturali destinate in modo esclusivo all'uso e al godimento di una parte dell'immobile oggetto di proprietà esclusiva, sono elementi accidentali esclusi dalla proprietà comune anche se inseriti nella facciata, e formano parte integrante dell'appartamento che vi ha accesso, come un prolungamento del piano. Tuttavia, la realtà edilizia e architettonica presenta situazioni difficilmente conciliabili con tale inquadramento in quanto si tratta di strutture che contribuiscono in ogni caso a modellare le linee del fabbricato e a determinarne l'estetica. Si è andata così formando una copiosa giurisprudenza che proprio in questa prospettiva estrapola, riconducendoli all'intero edificio, gli elementi decorativi del balcone (i c.d. "frontalini", i cementi decorativi dei parapetti, nonché le viti di ottone e i piombi ai pilastri della balaustra, le aggiunte sovrapposte con malta cementizia, ecc.), i quali "svolgendo una funzione decorativa estesa all'intero edificio, del quale accrescono il pregio architettonico, costituiscono, come tali, parti comuni ai sensi dell'art. 1117, n. 3, cod. civ., con la conseguenza che la spesa per la relativa riparazione ricade su tutti i condomini" (Cass. n. 587/2011; n. 14576/2004; n. 176/1986).
Usi e innovazioni
[Torna su]
Quale parte comune dell'edificio, tutti i condomini hanno il diritto di usare la facciata, ex art. 1102 c.c., nel limite di consentire pari diritto agli altri condomini e senza alterarne destinazione d'uso e decoro.
Sulla scorta dei principi codicistici, pertanto, sono ritenute ammissibili le opere che interessano la facciata, quali l'apertura di vedute, l'apposizione di insegne o targhe, l'installazione di tubature, purchè ispirate al criterio del rispetto del decoro architettonico dell'edificio, da valutarsi in base alla linea estetica, avuto riguardo alla fisionomia della costruzione e prescindendo dall'ambiente in cui la stessa si trova (Cass. n. 10513/1993; Gdp Grosseto n. 1038/2011), nonché "l'appoggio di una canna fumaria", di un impianto per aria condizionata o di tende per proteggersi dal sole o dal calore, purchè trattasi di modifiche della cosa comune conformi "alla destinazione della stessa, che ciascun condomino - pertanto può apportare a sue cure e spese, sempre che non impedisca l'altrui paritario uso, non rechi pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza dell'edificio, e nonne alteri il decoro architettonico; fenomeno - quest'ultimo - che si verifica non già quando si mutano le originali linee architettoniche, ma quando la nuova opera si rifletta negativamente sull'insieme dell'armonico aspetto dello stabile" (Trib. Milano n. 1941/2013).
Non è, invece, ritenuta ammissibile qualsiasi modifica della facciata che, comportando una interferenza nel godimento del bene comune, "possa integrare una indebita turbativa suscettibile di tutela possessoria" (Trib. Milano n. 1941/2013). Devono, intendersi, inoltre, vietate le innovazioni che recano danno alla stessa in conseguenza di sopraelevazioni lesive dell'aspetto architettonico dell'edificio, sia in relazione alla facciata esterna che a quella interna, equiparata alla prima, che solitamente si apre sul cortile (Cass. n. 1297/1998).
Quanto alle maggioranze assembleari necessarie per deliberare interventi relativi alla facciata condominiale, ove si tratti di innovazioni, consentite purchè non lesive del decoro architettonico dell'edificio, è richiesta la maggioranza prescritta dall'art. 1136, 5° co., c.c. (ovvero la maggioranza dei partecipanti al condominio ed i due terzi del valore dell'edificio); ove si tratti del "rifacimento" della facciata o di riparazioni straordinarie è richiesta la maggioranza prevista dall'art. 1136, 2° co., c.c. (ossia la maggioranza degli intervenuti in assemblea ed almeno la metà del valore dell'edificio).
Ripartizione delle spese
[Torna su]
È pacifico che la facciata, quale parte presuntivamente comune dell'edificio è indifferenziatamente destinata al servizio di tutti i condomini, "con la conseguenza che le spese della sua manutenzione devono essere sostenute dai relativi titolari in misura proporzionale al valore delle rispettive proprietà" (Cass. n. 945/1998).
Analogamente, le spese per gli elementi architettonici decorativi dei balconi (fasce marcapiano, ringhiere, ecc.), quando si identificano con la struttura della facciata, vanno ripartite a carico della collettività condominiale, suddivise tra tutti i condomini in maniera proporzionale alle singole quote di proprietà (Cass. n. 587/2011).
Così è anche per i c.d. "frontalini", considerati per orientamento giurisprudenziale costante elemento imprescindibile della facciata poiché assicurano l'estetica dello stabile tanto quanto lo stesso muro perimetrale dell'edificio con cui si integrano in un rapporto armonico (Trib. Milano 5102/1992; Cass. 1361/1989).
In ragione della presunzione legale di condominialità della facciata, a carico di tutti i proprietari delle unità immobiliari devono porsi, in proporzione, le spese di rifacimento dell'intonaco (Cass. n. 298/1977), nonché quelle di "riparazione della pannellatura della facciata di un edificio", sul rilievo che essa assolve ad una duplice funzione, "l'una di protezione verso l'esterno dei balconi di proprietà esclusiva dei singoli condomini e di riparo dagli agenti atmosferici, l'altra di abbellimento della facciata dello stabile" (Cass. n. 13655/1992).
Le spese necessarie per la manutenzione della facciata vanno ripartite in base ai millesimi di proprietà anche tra i proprietari delle autorimesse o dei box interrati (Cass. n. 298/77; n. 945/1998), sempre che si trovino compresi strutturalmente nell'edificio condominiale e non siano collocati in corpi di fabbrica separati.
In tale ultimo caso, infatti, la giurisprudenza opta per la tesi negativa sulla base delle regole concernenti il c.d. "condominio parziale", secondo il quale all'uso diverso dei beni comuni corrispondono spese diverse tra i condomini in proporzione all'utilizzo e al godimento separato della res condominiale. Per cui, si è escluso che i proprietari dei box contenuti in un immobile che sia separato dall'edificio con le unità abitative, debbano concorrere alle spese di manutenzione della facciata, che serve quindi solo una parte del fabbricato, formando oggetto di condominio separato, le quali "debbono essere sostenute solo dai proprietari delle unità immobiliari di questa parte e non dagli altri, secondo il principio generale del comma 3 dell'art. 1123 c.c." (Cass. n. 1255/1995).