Il suolo
La definizione di suolo, primo dei beni comuni condominiali citati dal codice civile, il sottosuolo e il suo utilizzo- Il suolo: definizione
- Cosa si considera suolo
- La ripartizione delle spese
- Presunzione inversa
- Suolo adiacente o circostante
- Il sottosuolo
- Uso del sottosuolo
Il suolo: definizione
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Il suolo è il primo dei beni comuni citati dall'art. 1117 del codice civile. L'esatta qualificazione dello stesso, considerato che la disposizione civilistica lo identifica solamente come "il suolo su cui sorge l'edificio", ha richiesto più volte l'intervento della giurisprudenza. La questione, lungi dall'essere una disputa puramente nominalistica ha dei risvolti pratici non indifferenti.
Cosa si considera suolo
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Così, stando all'orientamento giurisprudenziale dominante il suolo coincide con quella "porzione di terreno su cui poggia l'intero edificio e, immediatamente, la parte infima di esso". Rientrano, pertanto, in tale nozione "l'area dove sono infisse le fondazioni e la superficie sulla quale poggia il pavimento del pianterreno, non anche quest'ultimo. Ne consegue che i condomini sono comproprietari non della superficie a livello di campagna, bensì dell'area di terreno sita in profondità - sottostante, cioè, la superficie alla base del fabbricato - sulla quale posano le fondamenta dell'immobile" (Cass. n. 8119/2004).
È principio pacifico per la giurisprudenza dominante, altresì, che per il suolo su cui insiste l'edificio condominiale, si considera l'area sulla quale poggia il pavimento del piano più basso, sia che questo emerga in tutto o in parte dal piano di campagna circostante, sia che si trovi più in profondità, risultando completamente interrato (Cass. n. 5085/2006).
È principio pacifico per la giurisprudenza dominante, altresì, che per il suolo su cui insiste l'edificio condominiale, si considera l'area sulla quale poggia il pavimento del piano più basso, sia che questo emerga in tutto o in parte dal piano di campagna circostante, sia che si trovi più in profondità, risultando completamente interrato (Cass. n. 5085/2006).
La ripartizione delle spese
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Trattandosi di bene comune ex art. 1117 c.c., le spese necessarie per la sua conservazione e godimento sono da ripartire in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascun condomino ex art. 1123, 1 comma, c.c. È inibito, inoltre, "al singolo condomino, in difetto di prova di avere acquistato in base a valido titolo porzioni di esso, di assoggettarlo a proprio uso esclusivo impedendone il pari uso agli altri condomini senza il consenso di costoro" (Cass. n. 14350/2000).
Presunzione inversa
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La presunzione di comunanza del suolo ex art. 1117 c.c. non opera, tuttavia, nella situazione inversa. In caso di edifici, separati e autonomi, eretti sul medesimo suolo su cui è sorto lo stabile condominiale, la giurisprudenza ha stabilito che l'appartenenza al condominio, e, dunque, la qualifica di bene comune, non è automatica. Né può valere a far sorgere automaticamente la presunzione di comunione, il fatto che il terreno su cui in tempi diversi siano stati costruiti sia il fabbricato condominiale che gli altri edifici, appartenga al medesimo proprietario, poiché "l'estensione della proprietà condominiale ad edifici separati ed autonomi rispetto all'edificio in cui ha sede il condominio può essere giustificata soltanto in ragione di un titolo idoneo a far ricomprendere il relativo manufatto nella proprietà del condomino stesso" (Cass. n. 9105/2013).
Nello specifico, la giurisprudenza, di legittimità e di merito, ha affermato che, seppur l'elencazione delle parti comuni ex art. 1117 c.c. non è da considerarsi tassativa, l'area "de qua" non presenta quelle caratteristiche "di oggettiva destinazione del bene all'uso comune che renderebbe applicabile la citata presunzione" (Trib. Trani 27.7.2004); per cui, per poter stabilire, in concreto, se una determinata area contigua all'edificio condominiale sia o meno pertinenza dello stesso e faccia parte delle strutture del condominio, occorre accertare se ricorrono gli elementi richiesti per l'insorgere del vincolo pertinenziale (ovvero, l'esistenza di un elemento oggettivo, consistente nella destinazione di un bene accessorio al servizio o all'ornamento del bene principale, e di un elemento soggettivo, consistente nella rispondenza di tale destinazione all'effettiva volontà dell'avente diritto di creare tale vincolo a norma dell'art. 817 c.c.), valutando "lo stato effettivo dei luoghi ed i rapporti intercorrenti tra i manufatti condominiali e l'adiacente spazio", sulla base di un accertamento che si traduce in un apprezzamento di fatto, incensurabile in Cassazione (Cass. n. 2999/1988).
La questione, lungi dall'essere meramente teorica, presenta notevole rilevanza circa la legittimità di eventuali lavori di scavo o ampliamento realizzati dal proprietario del piano più basso del condominio (cantina, seminterrato, abbassamento della pavimentazione, ecc.).
L'indirizzo univoco della giurisprudenza afferma che la porzione di suolo sottostante all'edificio condominiale, costituito dalla zona esistente in profondità al di sotto dell'area superficiaria che è alla base dello stesso, ancorchè non menzionato espressamente dall'art. 1117 c.c., con riguardo alla funzione di sostegno che esso contribuisce a svolgere per la stabilità del fabbricato e, comunque, indipendentemente dalla destinazione, va considerato di proprietà comune (Cass. n. 17141/2006; n. 22835/2006), in mancanza di un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condomini (si pensi, ad esempio, alla destinazione del sottosuolo a posti auto, box e cantine, in rapporto di accessorietà o pertinenza delle singole unità immobiliari).
Alcune decisioni, di legittimità e di merito, più risalenti presentavano, tuttavia, un indirizzo non perfettamente conforme a quello del divieto di "qualsiasi opera". La Cassazione, difatti, ha ritenuto legittima l'esecuzione, da parte del proprietario dei vani terranei, di "opere di scavo occorrenti per provvedere alla pavimentazione a regola d'arte dei vani stessi, in quanto tali opere non pregiudicano la funzione del sottosuolo rispetto all'edificio, che è, principalmente, quella di sostenere l'edificio e, secondariamente, di installarvi tubi e canali, né alterano l'equilibrio giuridico ed economico della comunione" (Cass. n. 1323/1967). Altresì, in tempi più recenti, la Suprema Corte ha ritenuto valida l'escavazione del sottosuolo effettuata da parte di un condomino "per collegare con una scala le unità immobiliari al piano terreno con quelle poste al seminterrato, tutte di sua proprietà esclusiva" poiché non considerata appropriazione del bene comune, né limitazione dell'uso e del godimento cui lo stesso è destinato (Cass. n. 5546/1999), mentre i giudici di merito hanno considerato legittima una "modesta escavazione" affermando nello specifico che "pur essendo interdetto al singolo condomino di effettuare opere nel sottosuolo tali da compromettere il diritto degli altri condomini di servirsi di esso e di trarne le utilità che questo è, per sua natura e destinazione, capace di offrire, tuttavia è legittima una modesta escavazione che, mentre da un lato consente una migliore utilizzazione delle cose proprie e di quelle comuni da parte del singolo, non pregiudica il pari diritto di tutti gli altri partecipanti". (Trib. Milano, 06-07-1989).
Ad ogni modo, si può affermare che secondo la prevalente giurisprudenza, al proprietario esclusivo del piano più basso, ovunque sia collocato (interrato, seminterrato o al livello del piano di campagna) è inibito effettuare senza il consenso unanime di tutti i condomini o di un titolo di proprietà esclusiva del sottosuolo, qualsiasi scavo o ampliamento per un maggiore godimento della sua unità immobiliare, poiché qualsiasi opera sotto l'edificio, "con l'attrarre la cosa comune nell'orbita della sua disponibilità esclusiva, viene a ledere il diritto di proprietà dei condomini su una parte comune", in palese violazione dell'art. 1102 c.c. (Cass. n. 17141/2006; n. 8119/2004; n. 6587/1986).
Suolo adiacente o circostante
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In genere, la presunzione di comunione ex art. 1117 c.c. non opera con riferimento all'area circostante o adiacente il fabbricato condominiale, poiché il "suolo su cui sorge l'edificio", secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale, è soltanto quello circoscritto dalle fondamenta e dai muri perimetrali esterni dello stesso, mentre quello adiacente o circostante potrebbe "rientrare tra le cose comuni unicamente per diverso titolo, potendo trovarsi in rapporto di accessorietà o di pertinenza con l'edificio stesso" (Cass. n. 273/1984). Nello specifico, la giurisprudenza, di legittimità e di merito, ha affermato che, seppur l'elencazione delle parti comuni ex art. 1117 c.c. non è da considerarsi tassativa, l'area "de qua" non presenta quelle caratteristiche "di oggettiva destinazione del bene all'uso comune che renderebbe applicabile la citata presunzione" (Trib. Trani 27.7.2004); per cui, per poter stabilire, in concreto, se una determinata area contigua all'edificio condominiale sia o meno pertinenza dello stesso e faccia parte delle strutture del condominio, occorre accertare se ricorrono gli elementi richiesti per l'insorgere del vincolo pertinenziale (ovvero, l'esistenza di un elemento oggettivo, consistente nella destinazione di un bene accessorio al servizio o all'ornamento del bene principale, e di un elemento soggettivo, consistente nella rispondenza di tale destinazione all'effettiva volontà dell'avente diritto di creare tale vincolo a norma dell'art. 817 c.c.), valutando "lo stato effettivo dei luoghi ed i rapporti intercorrenti tra i manufatti condominiali e l'adiacente spazio", sulla base di un accertamento che si traduce in un apprezzamento di fatto, incensurabile in Cassazione (Cass. n. 2999/1988).
Il sottosuolo
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Secondo l'art. 840 c.c. la proprietà del suolo si estende al sottosuolo, con tutto ciò che vi si contiene fino alla profondità entro cui la stessa può essere utilmente esercitata. Pertanto, il proprietario del suolo, salvi i limiti imposti dalla legge, può disporre e godere pienamente del sottosuolo, realizzando "qualsiasi escavazione od opera che non rechi danno al vicino". Tale principio, applicabile alle proprietà solitarie, relativamente al sottosuolo dell'edificio condominiale, va, tuttavia, contemperato con l'art. 1117 c.c. che, come anticipato, individua il suolo su cui sorge l'edificio quale bene di proprietà comune di tutti i condomini, salvo che non risulti diversamente dal titolo. La questione, lungi dall'essere meramente teorica, presenta notevole rilevanza circa la legittimità di eventuali lavori di scavo o ampliamento realizzati dal proprietario del piano più basso del condominio (cantina, seminterrato, abbassamento della pavimentazione, ecc.).
L'indirizzo univoco della giurisprudenza afferma che la porzione di suolo sottostante all'edificio condominiale, costituito dalla zona esistente in profondità al di sotto dell'area superficiaria che è alla base dello stesso, ancorchè non menzionato espressamente dall'art. 1117 c.c., con riguardo alla funzione di sostegno che esso contribuisce a svolgere per la stabilità del fabbricato e, comunque, indipendentemente dalla destinazione, va considerato di proprietà comune (Cass. n. 17141/2006; n. 22835/2006), in mancanza di un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condomini (si pensi, ad esempio, alla destinazione del sottosuolo a posti auto, box e cantine, in rapporto di accessorietà o pertinenza delle singole unità immobiliari).
Uso del sottosuolo
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Sulla scorta di quanto affermato, ciascuno dei condomini può servirsi del sottosuolo secondo i principi espressi dall'art. 1102 c.c., purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri di farne uso paritario secondo il loro diritto, ma "non può, senza il consenso degli altri, procedere ad escavazioni in profondità del sottosuolo per ricavarne nuovi locali o ingrandire quelli preesistenti, comportando tale attività l'assoggettamento di un bene comune a vantaggio del singolo" (Cass. n. 5085/2006). Alcune decisioni, di legittimità e di merito, più risalenti presentavano, tuttavia, un indirizzo non perfettamente conforme a quello del divieto di "qualsiasi opera". La Cassazione, difatti, ha ritenuto legittima l'esecuzione, da parte del proprietario dei vani terranei, di "opere di scavo occorrenti per provvedere alla pavimentazione a regola d'arte dei vani stessi, in quanto tali opere non pregiudicano la funzione del sottosuolo rispetto all'edificio, che è, principalmente, quella di sostenere l'edificio e, secondariamente, di installarvi tubi e canali, né alterano l'equilibrio giuridico ed economico della comunione" (Cass. n. 1323/1967). Altresì, in tempi più recenti, la Suprema Corte ha ritenuto valida l'escavazione del sottosuolo effettuata da parte di un condomino "per collegare con una scala le unità immobiliari al piano terreno con quelle poste al seminterrato, tutte di sua proprietà esclusiva" poiché non considerata appropriazione del bene comune, né limitazione dell'uso e del godimento cui lo stesso è destinato (Cass. n. 5546/1999), mentre i giudici di merito hanno considerato legittima una "modesta escavazione" affermando nello specifico che "pur essendo interdetto al singolo condomino di effettuare opere nel sottosuolo tali da compromettere il diritto degli altri condomini di servirsi di esso e di trarne le utilità che questo è, per sua natura e destinazione, capace di offrire, tuttavia è legittima una modesta escavazione che, mentre da un lato consente una migliore utilizzazione delle cose proprie e di quelle comuni da parte del singolo, non pregiudica il pari diritto di tutti gli altri partecipanti". (Trib. Milano, 06-07-1989).
Ad ogni modo, si può affermare che secondo la prevalente giurisprudenza, al proprietario esclusivo del piano più basso, ovunque sia collocato (interrato, seminterrato o al livello del piano di campagna) è inibito effettuare senza il consenso unanime di tutti i condomini o di un titolo di proprietà esclusiva del sottosuolo, qualsiasi scavo o ampliamento per un maggiore godimento della sua unità immobiliare, poiché qualsiasi opera sotto l'edificio, "con l'attrarre la cosa comune nell'orbita della sua disponibilità esclusiva, viene a ledere il diritto di proprietà dei condomini su una parte comune", in palese violazione dell'art. 1102 c.c. (Cass. n. 17141/2006; n. 8119/2004; n. 6587/1986).
Indice della guida al condominio