L'ingiuria era un reato previsto dall'art. 594 c.p., commesso da chiunque offendeva l'onore o il decoro di una persona presente. Oggi risulta depenalizzato.
- Il bene giuridico tutelato
- Soggetto attivo e passivo nel reato di ingiuria
- Elemento oggettivo del reato
- La condotta
- Elemento soggettivo del reato di ingiuria
- Ritorsione e provocazione
- La querela e la prova liberatoria
- Ingiuria come illecito civile
Il bene giuridico tutelato
La fattispecie incriminatrice tutelava i beni giuridici dell'onore, inteso come l'insieme delle qualità‚ morali che concorrono a determinare il valore di una persona, e del decoro, concernente il rispetto (o il riguardo) di cui ciascun individuo è degno (Cass. n. 34599/2008), da ogni attacco diretto alla dignità personale e sociale dell'essere umano, che ricada sotto la sua percezione.
Considerata l'estrema variabilità dei suddetti concetti, la linea di confine tra ciò che poteva costituire ingiuria e ciò che, invece, non lo era (annoverandosi, ad esempio, come una semplice scortesia) era spesso molto sottile, rimanendo così affidata all'apprezzamento del giudice, il quale doveva necessariamente contestualizzare l'offesa, "cioè rapportarla all'ambito spazio-temporale nel quale è stata pronunziata" (Cass. n. 30790/2014; n. 37105/2009), tenendo conto della sua obiettiva capacità‚ offensiva e dei rapporti tra le parti (Cass. n. 10188/2011; n. 3931/2010; n. 37301/2013).
Soggetto attivo e passivo nel reato di ingiuria
Il soggetto attivo del reato di ingiuria poteva essere chiunque, considerato che si trattava di un reato comune che, pertanto, poteva essere commesso contro qualsiasi individuo, a prescindere dalle condizioni soggettive o dalle qualifiche possedute.
Oltre a tutte le persone fisiche, si ritiene potessero diventare soggetti passivi del reato de quo anche le persone giuridiche, le associazioni, le organizzazioni, le comunità‚ religiose (ecc.) considerati lesi nell'onore sociale, collettivo quale bene comune a tutti i membri, senza che ciò escludesse la configurazione delle offese anche nei confronti dei singoli.
A lungo discusso è stato, invece, l'inserimento degli incapaci di intendere e di volere tra i soggetti passivi del reato, in ragione dell'incapacità, appunto, di una percezione soggettiva del delitto. Ma, considerato che "l'oggetto della tutela penalistica va individuato in termini più ampi, nel valore della dignità umana in quanto tale" e che non era necessario "che il soggetto a cui le espressioni offensive vengono rivolte sia in grado di percepirle e in effetti le percepisca", l'orientamento della giurisprudenza ritiene non vi fosse ragione di escludere dalla protezione i soggetti incapaci (cfr. ex multis, Cass. n. 2486/1998).
Elemento oggettivo del reato
Secondo il disposto dell'art. 594 c.p., l'ingiuria doveva essere commessa in presenza del soggetto passivo del reato; viceversa, si dovrebbe ritenere sussistente la diversa fattispecie incriminatrice della diffamazione.
Il requisito della presenza, tuttavia, per la giurisprudenza pacifica, non va inteso come una "contiguità fisico-spaziale" tra la vittima e l'autore del reato, potendo configurarsi la fattispecie anche quando "la vittima delle espressioni offensive non possa dirsi effettivamente presente", essendo sufficiente, per la consumazione del reato che l'ingiuria, pur non proferita direttamente alla persona interessata, fosse divulgata a terze persone, in modo che venga comunicata all'offeso. Rispondeva, infatti, del reato, anche colui il quale si serviva di un intermediario, con la consapevolezza "che l'ingiuria sarà comunicata all'offeso e che questi ne abbia effettiva comunicazione" (Cass. n. 29221/2014; n. 2781/1962).
La condotta
Il delitto di ingiuria era a forma libera, per cui poteva configurarsi mediante una varietà di condotte e con qualsiasi mezzo.
Poteva, pertanto, ritenersi sussistente il reato in presenza di ingiuria verbale, commessa quindi con l'uso della parola, così come, secondo l'espresso disposto dell'art. 594, 2° comma, c.p., poteva configurarsi la fattispecie incriminatrice se l'offesa era manifestata "mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa".
Potevano integrare la fattispecie de qua, anche i comportamenti materiali (ingiuria reale), che costituivano una manifestazione di disprezzo nei confronti di colui al quale erano diretti (Cass. n. 37301/2013; n. 4845/1990), con l'obiettivo di causare una sofferenza morale e non fisica (si pensi ad es. ad uno sputo, ad uno schiaffo, ecc.).
Elemento soggettivo del reato di ingiuria
Secondo l'orientamento giurisprudenziale dominante, in materia di delitto di ingiuria, non era richiesta la presenza del dolo intenzionale, essendo sufficiente la sussistenza della volontà dell'autore del reato di utilizzare espressioni ingiuriose con la consapevolezza di offendere l'altrui onore e decoro.
Il reato di ingiuria era, infatti, "figura giuridica caratterizzata dal dolo generico e riguarda ogni espressione lesiva della dignità e dell'onore della persona" (Cass. n. 26936/2014).
Ritorsione e provocazione
La punibilità del reato di ingiuria era limitata o esclusa nelle ipotesi espressamente previste dall'art. 599 c.p.
Nel primo caso, la c.d. "ritorsione" era causa di limitazione se le offese erano reciproche, giacché il giudice poteva dichiarare non punibili "uno o entrambi gli offensori".
Nel secondo caso, la c.d. "provocazione", laddove le offese fossero arrecate "nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso", valeva come causa di esclusione della colpevolezza.
La querela e la prova liberatoria
Secondo il disposto dell'art. 597 c.p., il reato di ingiuria era perseguibile a querela della persona offesa.
Qualora, la persona offesa decedeva prima della presentazione della querela e non fosse ancora decorso il termine (tre mesi da quando il defunto ha avuto notizia del fatto che costituisce reato), questa poteva essere proposta dai prossimi congiunti, dall'adottante e dall'adottato; analogamente si procedeva nell'ipotesi in cui la persona offesa moriva successivamente alla proposizione della querela di parte.
Per quanto concerne il regime probatorio, ai sensi dell'art. 596 c.p., l'autore dell'ingiuria non era ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa (c.d. esclusione della prova liberatoria), se non nei casi previsti espressamente dalla stessa norma.
Ingiuria come illecito civile
Il reato di ingiuria è stato depenalizzato ad opera del d.lgs. n. 7/2016.
Oggi chi commette il fatto un tempo giudicato come delitto non risponde più penalmente ma è tenuto:
al risarcimento del danno in favore del danneggiato;
obbliga al pagamento di una sanzione civile verso lo Stato, di importo compreso tra 200 e 12.000 euro, devoluti alla Cassa delle ammende.
Data: 15 febbraio 2021