PRODUTTIVITA' E RETRIBUZIONE INCENTIVANTE
Le retribuzioni incentivanti[1] svolgono un importante ruolo nel rapporto di lavoro; nel campo delle relazioni industriali favoriscono la convergenza tra datore di lavoro e sindacati nel definire lo scambio retribuzione/prestazione; nella gestione del personale indirizzano in modo più diretto ed efficace l’organizzazione del lavoro agli obiettivi d’impresa . Quando la retribuzione incentivante è frutto del confronto tra impresa e rappresentanti dei lavoratori e non è puramente imposta dal management, configura una strada per la partecipazione dei dipendenti e, come qualcuno sostiene, un superamento della distinzione tra capitale e lavoro. Comunque, il modello partecipativo rappresenta un messaggio simbolico per le relazioni industriali e per l’impresa del futuro, socialmente responsabile e all’interno di economie sociali di mercato[2].
Nel suo senso più ampio un incentivo retributivo comprende ogni elemento della retribuzione direttamente finalizzato a un miglioramento qualitativo e quantitativo della prestazione di lavoro. Vi rientrano, dunque, diversi strumenti: dal cottimo alla partecipazione agli utili anche in forma azionaria,legata ai profitti aziendali; dalle provvigioni ai dipendenti legate all’andamento degli affari, fino ai più complessi sistemi premianti basati sugli indicatori di performance. La varietà di questi strumenti si riflette nella diversità della loro valutazione, sul funzionamento, sulle procedure di erogazione e di controllo. La retribuzione a incentivo stimola i lavoratori ad una maggiore produttività, facendoli partecipare alla redditività dell'azienda e ai risultati che questa ha ottenuto con l'aumento della produttività; essa serve anche all’impresa per rispondere alla flessibilità del mercato.
All'inizio questo tipo di retribuzione ha incontrato non pochi oppositori; la tendenza oggi è, però, ad assumere una sempre maggiore importanza in tutti i settori (privato, pubblico e no profit). In Italia c'è stata una forte spinta verso la definizione dei premi a seguito degli accordi del 1993 e del 2009. Anche da noi è confermata la tendenza internazionale alla diffusione di forme retributive a incentivo insieme al decentramento della struttura contrattuale. Ma gli accordi con forme di retribuzione incentivante si diffondono particolarmente nelle fasi di espansione economica. Il contrario accade in momenti di crisi economica. Un ulteriore fattore che incide sull’allargamento e la riduzione della diffusione delle forme incentivanti sta nella maggiore o minore convinzione sull’utilità dello strumento di chi partecipa alle relazioni industriali, in particolare del sindacato.
L’accelerazione nell’utilizzo della retribuzione incentivante si è avuta con l'accordo interconfederale del 23 Luglio 1993. Questo aveva come scopo principale l’abbattimento dell’inflazione; al tempo stesso modificava il sistema di relazioni industriali superando la sovrapposizione dei livelli di contrattazione e rendendo meno costoso in termini di efficienza il confronto tra le parti sulle questioni normative (riviste ogni 4 anni, mentre l’aspetto retributivo doveva essere rivisto ogni 2 anni).[3] La stessa intesa assegnava alla contrattazione decentrata il compito di istituire forme di salario variabile legate a “incrementi di produttività,di qualità ed altri elementi di competitività” aziendale.
Una considerazione largamente condivisa e sottolineata dall'accordo del 2009 è l'esigenza di collegare la retribuzione agli andamenti della redditività e produttività nei contratti decentrati. La più recente intesa mira a precludere tale compito al contratto nazionale, finalizzato alla sola salvaguardia del potere di acquisto delle retribuzioni. La tendenza ad escludere il contratto nazionale dalla redistribuzione della produttività è data anche dalla difficoltà di trovare indicatori riferibili ad ambiti molto vasti come la categoria/settore. La restrizione degli ambiti negoziali permette di avere indicatori meglio rispondenti alle esigenze aziendali e meglio misurabili.
In alternativa alla contrattazione decentrata, nell'accordo del 2009 è stato previsto un elemento di garanzia che è un elemento fisso determinato dal contratto nazionale per i dipendenti di aziende che non fanno uso della contrattazione di secondo livello e che non percepiscono trattamenti economici aggiuntivi rispetto a quelli determinati dal contratto nazionale.
Elemento di garanzia e retribuzione incentivante possono entrare in conflitto. Si è sostenuto, infatti, che per l’impresa può essere preferibile evitare un faticoso negoziato e puntare a corrispondere direttamente l’elemento di garanzia[4]. Altri hanno notato che la scelta di adottare retribuzioni incentivanti dipende dall'utilità della contrattazione integrativa sia per i lavoratori che per le imprese. La contrattazione integrativa sarà preferita nel caso in cui si riesca a costruire una relazione virtuosa tra salario e produttività, che porti beneficio a tutti. La retribuzione incentivante in questo caso non sarà percepita dalle imprese come un aumento dei costi, perché compensata dall'aumento della produttività. Tutto questo sarà reso ancora più vantaggioso considerando i benefici fiscali e contributivi che il legislatore attribuisce alle retribuzioni incentivanti. Al contrario, qualora l’impresa non ritenga di poter ottenere benefici diretti dalla contrattazione decentrata, preferirà pagare l'elemento fisso, che è , peraltro, privo di benefici fiscali.[1] Qualora non diversamente specificato, i riferimenti del presente capitolo sono a: Tiziano TREU, Le forme retributive incentivanti, Rivista italiana di diritto del lavoro, 2010, numero 4.
[2] Michele FAIOLI (2011), Attualità e dibattito in tema di costo del lavoro,retribuzione e politiche dei redditi, sta in Pasquale SANDULLI, Angelo PANDOLFO, Michele FAIOLI, Bilateralità, lavoro e turismo,Giappichelli Editore, Torino, p114.
[3] Andrea BRANDOLINI (2009), Produttività,salari e distribuzione del reddito:un’introduzione, sta in Commissione CARNITI, Il lavoro che cambia, Roma, www.portalecnel.it, p6.
[4] Banca d’Italia (2008), Indagine conoscitiva sull’assetto delle relazioni industriali e sulle prospettive di riforma della contrattazione collettiva. Audizione di Ignazio Visco, Vice Direttore Generale alla 11a Commissione della Camera dei Deputati (Lavoro pubblico e privato), www.bancaditalia.it, p8.